L'incidenza delle scelte lavorative degli ex coniugi sulla quantificazione dell'assegno divorzile

Gloria Musumeci
22 Ottobre 2021

La corte di Cassazione con l'ordinanza in commento si interroga sulla seguente questione: le scelte lavorative del coniuge richiedente l'assegno incidono sulla determinazione dell'assegno divorzile?
Massima

Ai fini del riconoscimento dell'assegno divorzile, la valutazione delle condizioni economico-patrimoniali delle parti non può non considerare lo svolgimento, da parte del coniuge richiedente, di attività lavorativa a tempo parziale. Qualora, infatti, la scelta del part-time fosse riconducibile alla necessità di fare fronte contemporaneamente alle esigenze della famiglia ed all'accudimento dei figli, i relativi effetti non potrebbero non essere tenuti in conto ai fini della determinazione dell'assegno. Inoltre, nel caso in cui la scelta di svolgere l'attività lavorativa a tempo parziale fosse reversibile, lo squilibrio reddituale tra gli ex coniugi non potrebbe essere considerato come un effetto esclusivo di scelte compiute in costanza di matrimonio, ma risulterebbe almeno in parte riconducibile ad un'autonoma decisione del coniuge richiedente

Il caso

Il Tribunale di Terni, nel giudizio di cessazione degli effetti civili del matrimonio, ha posto a carico dell'ex marito l'obbligo di corrispondere alla ex moglie un assegno divorzile dell'importo di € 900,00 mensili e di contribuire al mantenimento della figlia con un versamento mensile di € 600,00.

La Corte d'Appello di Perugia ha parzialmente accolto il gravame proposto dall'ex marito, riducendo ad € 600,00 mensili l'importo dovuto da quest'ultimo a titolo di assegno divorzile. A fondamento della decisione, la Corte d'Appello ha richiamato ed applicato i criteri espressi dalla sentenza a Sezioni Unite n. 18287/2018 in tema di assegno divorzile: ha riconosciuto l'esistenza di uno squilibrio reddituale e patrimoniale delle parti in favore dell'ex marito e ha ritenuto che tale disparità fosse stata favorita dalla scelta della donna di dedicarsi esclusivamente alla famiglia nei primi anni di matrimonio, al fine di consentire al coniuge di impegnarsi nel proprio lavoro e di fare carriera. Ha evidenziato la durata non breve del matrimonio, protrattosi per circa sedici anni, l'età raggiunta dalla ex moglie e la conseguente impossibilità di trovare un'occupazione migliore.

Con ricorso incidentale articolato in 8 motivi, il marito ha chiesto alla Corte di Cassazione di riformare la decisione della Corte d'Appello di Perugia; in particolare, il ricorrente – con il secondo motivo – ha denunciato la violazione dell'art. 5, comma 6, l. n. 898/1970, rilevando che, nell'escludere l'adeguatezza dei mezzi economici a disposizione della ex moglie, la sentenza impugnata non avrebbe tenuto conto della scelta, dalla stessa compiuta, di lavorare a tempo parziale, e della conseguente possibilità di ottenere emolumenti aggiuntivi attraverso lo svolgimento di un'attività lavorativa a tempo pieno.

La questione

Le scelte lavorative del coniuge richiedente incidono sulla determinazione dell'assegno divorzile? Lo svolgimento di attività lavorativa a tempo parziale porta – di per sé - ad una diminuzione/revoca dell'assegno oppure è necessario valutare le ragioni che hanno portato alla decisione di non lavorare a tempo pieno?

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Cassazione, dopo avere preso atto della rinuncia della donna al ricorso principale e confermata l'efficacia del ricorso incidentale proposto dall'uomo, conseguentemente convertito in ricorso principale, ha analizzato tutti gli 8 motivi presentati alla base del ricorso, ritenendo fondato il secondo motivo di gravame.

In particolare, la Corte ha sostenuto che i giudici dell'appello, pur avendo correttamente richiamato l'orientamento più recente della giurisprudenza di legittimità in tema di assegno divorzile, non ne avessero fatto corretta applicazione.

La Corte d'Appello, invero, ha condiviso l'assunto secondo cui - avuto riguardo alla funzione non solo assistenziale, ma anche compensativa-perequativa dell'assegno divorzile - la verifica dell'inadeguatezza dei mezzi economici a disposizione del richiedente e dell'incapacità di procurarseli per ragioni obiettive richiede, in primo luogo, una valutazione delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, da condursi alla stregua degli indicatori previsti dalla prima parte dell'art. 5, comma 6, l. n. 898/1970, in modo tale da accertare se l'eventuale rilevante disparità della situazione economico-patrimoniale dei coniugi dipenda dalle scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio, con sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti, in funzione di un ruolo trainante endofamiliare.

Tuttavia – ha evidenziato la Corte nell'ordinanza in esame – i giudici del secondo grado si sono limitati ad evidenziare lo squilibrio esistente tra gli introiti derivanti dalle attività lavorative svolte dalle parti, trascurando la circostanza che la moglie prestasse la propria attività a tempo parziale.

La Corte d'Appello avrebbe dovuto, invece, espletare una indagine approfondita al fine di valutare l'eventuale incidenza, nella determinazione dell'assegno divorzile, della scelta della moglie di lavorare part-time.

Secondo la Corte di Cassazione, la Corte d'Appello avrebbe dovuto verificare se la decisione di lavorare a tempo parziale fosse stata presa dalla moglie per fare fronte contemporaneamente alle esigenze della famiglia ed all'accudimento della figlia della coppia, appurando le seguenti circostanze:

- il momento in cui fosse maturata la decisione di trovare un'occupazione retribuita;

- le ragioni della scelta di trovare un'occupazione retribuita;

- se la scelta fosse stata presa dalla moglie in autonomia oppure concordata con il marito;

- se l'attività fosse stata prestata a tempo parziale sin dall'origine.

Qualora, infatti, la decisione di lavorare a tempo parziale fosse stata assunta dalla donna per attendere anche alle incombenze familiari, gli effetti di tale scelta avrebbero dovuto essere tenuti in conto ai fini della determinazione dell'assegno, sotto il duplice profilo del parziale sacrificio della capacità professionale e reddituale della moglie e del contributo da lei fornito alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune.

L'operato della Corte d'Appello è stato stigmatizzato dai giudici della Suprema Corte anche nella parte in cui è stato omesso di accertare se, in relazione all'età, la scelta compiuta dalla donna di lavorare part-time fosse da considerarsi ormai irreversibile oppure se quest'ultima avesse potuto incrementare il proprio reddito e, di conseguenza, diminuire il divario rispetto a quello dell'ex coniuge.

Del resto, nel caso di reversibilità della scelta, lo squilibrio reddituale non avrebbe potuto essere considerato come un effetto esclusivo di scelte compiute in costanza di matrimonio, ma sarebbe stato riconducibile ad una libera decisione della donna, la quale – pur non avendo impegni familiari – aveva scelto di impegnarsi nel lavoro soltanto per la metà del tempo disponibile, non mettendo a frutto pienamente la propria capacità professionale.

Osservazioni

Dalla sentenza a Sezioni Unite n. 18287/2018 con cui la Corte di Cassazione ha operato un profondo revirement giurisprudenziale in tema di assegno divorzile, sono seguite numerosissime pronunce con cui sono stati approfonditi, chiariti e spiegati diversi aspetti dell'istituto, alla luce dei nuovi principi regolatori della materia.

L'ordinanza in commento è una di quelle pronunce, poiché – dopo avere ribadito la funzione assistenziale e al tempo stesso compensativa-perequativa dell'assegno divorzile – afferma che nella valutazione della disparità economica-patrimoniale tra le parti assume un ruolo decisivo lo svolgimento di attività lavorativa a tempo parziale, anziché a tempo pieno. Ma la rilevanza non è tout court, lo è solo se la decisione di non fare fruttare appieno la propria capacità professionale deriva da una libera scelta: solo in questo caso, infatti, l'assegno dovrà essere diminuito o addirittura revocato; al contrario, quando la scelta è stata assunta al fine di assolvere contemporaneamente impegni familiari, allora l'assegno non dovrà essere rivisto.

È una pronuncia coerente, perfettamente in linea con l'orientamento giurisprudenziale maggioritario, che non presta il fianco a nessuna critica. Di certo, è una pronuncia che porterà una più intensa attività istruttoria, sia a carico delle parti sia a carico dell'autorità giudiziaria.