Parto anonimo: il riconoscimento del figlio dopo l'affidamento preadottivo contrasta con l'interesse del minore
02 Novembre 2021
Massima
Nell'ipotesi di pronuncia di affidamento preadottivo, la madre biologica che al momento del parto si sia avvalsa della facoltà di non essere nominata nell'atto di nascita, perde il diritto di riconoscere il figlio. A seguito della richiesta di fissazione del termine per il riconoscimento, qualora non venga disposta la sospensione del procedimento e si giunga alla pronuncia dell'affidamento preadottivo, il riconoscimento effettuato successivamente, in contrasto con l'interesse del minore, deve considerarsi inefficace ai fini della revoca della dichiarazione di adottabilità del minore. Il caso
Una donna, al momento del parto, sceglieva l'anonimato ma, trascorsa qualche settimana, presentava un'istanza per la sospensione della procedura di adozione abbreviata, avviata dal Tribunale per i minorenni di Perugia ai sensi dell'art. 11, l. 4 maggio 1983, n. 184, chiedendo contestualmente il riconoscimento del figlio. Già respinta in primo grado in quanto il minore non risultava assistito dai genitori biologici o dai parenti entro il quarto grado, la domanda della ricorrente è stata rigettata anche dalla Corte d'Appello, che l'ha ritenuta inammissibile sul presupposto della carenza di interesse a impugnare la decisione da parte della madre, essendo nel frattempo intervenuta la sentenza dichiarativa dello stato di adottabilità del minore; doveva quindi ritenersi venuto meno l'interesse a impugnare il provvedimento che aveva negato la sospensione dell'iter di adottabilità, essendo intanto il procedimento stato definito. La Suprema Corte, adita dalla madre, con la sentenza Cass., 3 dicembre 2018, m. 31196, accoglieva il ricorso, enunciando il seguente principio di diritto: «in conseguenza di un parto anonimo, il diritto della madre biologica di effettuare il riconoscimento del figlio, avente carattere indisponibile, non è precluso, ai sensi della l. n. 184/1983, art. 11, u.c., dalla sopravvenuta declaratoria di adottabilità del minore, a meno che alla stessa non abbia fatto seguito l'affidamento preadottivo del minore; pertanto, in conseguenza della dichiarazione di adottabilità non viene meno il diritto della madre biologica a richiedere la concessione di un termine per procedere al riconoscimento del minore». Il giudizio veniva quindi riassunto innanzi alla Corte d'Appello che con sentenza del 24 maggio 2019 dichiarava inammissibile la domanda di fissazione del termine per il riconoscimento, sottolineando l'intervenuta trasformazione del contesto decisionale ed evidenziando, in particolare, che la concessione del termine ed il consequenziale riconoscimento non avrebbero, in ogni caso, legittimato la madre biologica ricorrente a chiedere la revoca dello stato di adottabilità. Sulla scorta di queste considerazioni, affermava che l'assegnazione del termine per il riconoscimento avrebbe rappresentato un provvedimento inutiliter datum, e precisavainoltre che il difetto di interesse materno all'assegnazione del termine ed alla revoca della dichiarazione dello stato di adottabilità precludeva la pronuncia in ordine sia alla revoca che alla sussistenza dello stato di abbandono. Rilevato infine che il principio cardine di ogni valutazione del merito era costituito dalla preminenza dell'interesse del minore, la Corte di merito osservava che la rescissione del legame e delle condizioni di vita del bambino all'interno della famiglia adottiva avrebbe sicuramente determinato un effetto traumatico per il minore, dal momento che tra quest'ultimo ed i genitori adottivi si era costituito uno status di filiazione piena, caratterizzata da effettività di vita familiare della durata di due anni e mezzo, mentre con la madre biologica non vi era alcun legame nè frequentazione. Avverso la predetta sentenza la madre proponeva ricorso per cassazione articolato in due motivi: con il primo si doleva che la Corte d'Appello in qualità di Giudice del rinvio, non avesse fatto applicazione del principio di diritto summenzionato, ma avesse riesaminato i fatti; col secondo lamentava nuovamente la violazione e falsa applicazione dei commi secondo e quinto dell'art. 11 della l. n. 184/1983, sostenendo che la dichiarazione dello stato di adottabilità avrebbe dovuto essere revocata perchè alla data della sentenza erano venuti a mancare tutti i presupposti per poterla pronunciare: già il deposito della domanda, farebbe venir meno la presunzione di abbandono. La Suprema Corte ritiene entrambi i motivi infondati. La questione
La questione attiene al termine finale per l'esercizio del diritto di riconoscimento del figlio in caso di parto anonimo, allorchè sia stato disposto l'affidamento preadottivo, ma anche l'opportunità del riconoscimento che contrasta con l'interesse del minore in considerazione sia dell'assenza di legame col genitore biologico che della durata ed effettività del rapporto familiare instauratosi tra il minore e la famiglia affidataria, formalizzato con la sentenza di adozione.
Le soluzioni giuridiche
Relativamente alla doglianza secondo cui il Giudice del rinvio avrebbe riesaminato i fatti, in particolare non avrebbero dovuto essere considerati l'affidamento preadottivo e la sentenza di adozione in quanto emessi in data antecedente alla pronuncia cassata e alla proposizione del ricorso per Cassazione, gli Ermellini rilevano come effettivamente il giudice del rinvio sia vincolato all'osservanza del principio di diritto e dei presupposti di fatto che ne costituiscono la premessa. Il riesame dei fatti già accertati in quanto coperto dal giudicato interno limiterebbe gli effetti della sentenza di cassazione, in contrasto con il principio della loro intangibilità. Pertanto, «in sede di rinvio, non possono quindi essere sollevate tutte quelle questioni, anche di fatto, che avrebbero potuto essere prospettate dalle parti o rilevate d'ufficio, e che costituiscano il presupposto necessario ed inderogabile della pronuncia di annullamento, dovendo le stesse ritenersi precluse, quale premessa logico-giuridica del principio affermato, in quanto risolte in via definitiva, e coperte dal giudicato interno» (Cass. 32132/2019; Cass. 7656/2011; Cass. 15952/2006; Cass. 11939/2006). Tuttavia, la Suprema Corte precisa che, secondo il principio di diritto affermato dalla Cassazione nel caso in esame con la sentenza Cass. n.31196/2018, il riconoscimento del figlio non è precluso dalla dichiarazione di adottabilità e può avvenire sino al momento in cui venga disposto l'affidamento preadottivo. Il principio, così enunciato, non sottende che, nel caso in esame, il provvedimento di affidamento non sia stato emesso. La Corte di merito aveva correttamente accertato l'affidamento preadottivo intervenuto dopo la sentenza d'appello, non ostandovi l'intervenuta cassazione della sentenza di rigetto dell'istanza di fissazione del termine per il riconoscimento, la quale era inidonea a determinare la caducazione della sentenza dichiarativa dello stato di adottabilità. Infatti, «l'efficacia preclusiva della sentenza di cassazione non esclude il potere del giudice di rinvio non solo di riesaminare i fatti che hanno costituito oggetto di discussione nelle precedenti fasi, nei limiti in cui la relativa necessità emerga dalla diversa impostazione giuridica data alla controversia da questa Corte (Cass. 11178/2019; Cass. 27823/2018; Cass. 9768/2017), ma anche di accertare fatti modificativi, estintivi o impeditivi verificatisi in un momento successivo a quello della loro possibile allegazione nelle pregresse fasi processuali»(Cass. 22989/2018; Cass. 7301/2013).Il potere di accertamento suddetto sussiste a maggior ragione nel procedimento d'adozione, imperniato sulla tutela dell'interesse del minore la cui valutazione è collegata all'evoluzione della situazione esistenziale e alle diverse esigenze che connotano lo sviluppo. (Cass. civ. Sez. I 17 aprile 1991, n. 4101). Da ciò deriva anche il mancato accoglimento del secondo motivo di ricorso. La ratio della disciplina dettata dall'art. 11 coma, 7 l. n. 184/1983, che prevede l'inefficacia del riconoscimento effettuato dopo la dichiarazione di adottabilità e l'affidamento preadottivo, sta nel privilegiare l'interesse del minore ad inserirsi in una famiglia che gli offra garanzie di stabilità più adeguate rispetto alla famiglia biologica, impedendo che il legame affettivo ed educativo che si è instaurato tra il minore e gli affidatari venga rescisso, indipendentemente dal fatto che il riconoscimento abbia luogo prima della sentenza di adozione. La sospensione del procedimento d'adozione, a fronte dell'istanza di fissazione del termine per il riconoscimento, non è automatica, ma è rimessa alla valutazione discrezionale del Giudice: se non è disposta, e il procedimento prosegue sino alla pronuncia d'affidamento preadottivo, il riconoscimento successivo è inefficace. E quand'anche avvenga prima, di per sé non giustifica comunque la revoca dell'adozione, che può essere disposta solo nel caso in cui venga meno lo stato di abbandono (art. 21 comma 1, l. n. 184/1983). L'intervenuto riconoscimento attesta solo la disponibilità del genitore biologico ad adempiere ai propri doveri, ma non anche la capacità genitoriale in capo al soggetto né la sua idoneità a far fronte ai propri obblighi. L'incertezza dell'esito di tale valutazione rispetto alle garanzie offerte dal nucleo familiare affidatario impone di prediligere l'affidamento preadottivo nel bilanciamento degli interessi contrapposti, quello del minore e quello dei genitori biologici a instaurare il rapporto di filiazione. In altre situazione, ricorda la Suprema Corte, l'interesse del primo prevale su quello dei secondi (Corte cost. 341/1990, 216/1998, 50/2006); proprio con riferimento all'art. 11 è stato affermato in passato che la richiesta di sospensione prevista dal secondo comma è indisponibile, ossia non può essere validamente rinunciata né è soggetta a termini processuali di decadenza potendo intervenire durante la pendenza del procedimento abbreviato purchè prima della sua definizione da parte del tribunale minorile; tuttavia il diritto alla genitorialità giuridica può essere compromesso dal non esercizio del diritto al riconoscimento del figlio biologico nelle forme e nei limiti anche temporali imposti dall'ordinamento positivo (Cass. civ. 7 febbraio 2014 n. 2802). Tra questi ultimi rientra anche la pronuncia d'affidamento preadottivo, termine ultimo per il valido riconoscimento. Sicchè il riconoscimento che interviene dopo è inefficace, ma può compirsi nel caso in cui venga revocato l'affidamento e il procedimento non si concluda con la sentenza d'adozione. La Suprema Corte rimarca come anche le principali fonti internazionali e sovranazionali ravvisino la preminenza dell'interesse del minore quale criterio guida in tutte le decisioni che riguardano il fanciullo: la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20/11/1989 (ratificata dall'Italia con l. 176/1991), la Carta dei Diritti Fondamentali dell'UE (art. 24), la Convenzione Europea sui Diritti dell'Uomo (art. 8). Con riferimento alla Corte Edu, in diversi casi è stato ritenuto che il minore vada tutelato in situazione analoghe a quelle del caso che ci occupa, ad esempio prevendendo che il legame con la famiglia non vada tutelato se il genitore non ha mai incontrato il figlio o non ha instaurato con lui rapporti affettivi (caso Nyland c. Finlandia sent. 29/6/1999, Todorova c. Italia sent. 13/172009) o che se si è instaurato tra il minore e la famiglia affidataria un legame significativo può non essere conforme all'interesse del primo rescinderlo attraverso la modifica di una precedente decisione (sent. 8/7/1987 W. C. Regno Unito, sent. 26/5/1996 Keegan c. Irlanda) o infine sancendo che la previsioni di limiti temporali per l'utilizzo degli strumenti giuridici predisposti al fine del riconoscimento o disconoscimento del rapporto di filiazione può ritenersi giustificata dall'esigenza di garantire la certezza delle situazione giuridiche e di tutelare l'interesse del minore (sent. 28/11/1986 Rasmussen c. Danimarca). La Cassazione condivide i suddetti principi cui la sentenza impugnata si è attenuta, ritenendo il riconoscimento tardivo contrastante con il supremo interesse del minore in considerazione sia dell'assenza di qualsivoglia legame, frequentazione o esperienza di vita tra la madre biologica e il minore sia della durata e dell'effettività del legame instauratosi tra il minore e la famiglia affidataria, formalizzato anche con la sentenza di adozione. Non si trattava quindi, tra minore e genitrice, di legame autentico da ricondursi alla nozione di vita familiare sancita dall'art. 8 CEDU e in ogni caso andavano preservate da ogni sconvolgimento la sfera affettiva e le abitudini di vita del bambino. La Corte, infine, esclude la violazione dell'art. 5 comma 4 della Convenzione europea in materia di adozione di minori del 24 aprile 1967 addotta dalla ricorrente, in particolare lamentando l'eccessiva rapidità con cui si era svolta la procedura considerato che ella era stata affetta da depressione post partum: invero, evidenziano gli Ermellini, la dichiarazione di adottabilità era stata emessa sei mesi dopo il parto e la sentenza d'adozione era intervenuta 8 mesi dopo l'affidamento preadottivo, sicchè la madre aveva avuto tutto il tempo necessario per presentare il proprio ricorso spiegando le ragioni che l'avevano indotta ad abbandonare il minore e quelle del successivo pentimento. Osservazioni
La Suprema Corte, con la pronuncia in commento, da un lato individua il decorso preclusivo del termine per effettuare il valido riconoscimento da parte della madre biologica, dall'altro si è soffermata sull'opportunità del riconoscimento alla luce del preminente interesse del minore. Interesse escluso in ragione dell'assenza di qualsiasi legame tra madre e figlio, a sua volta, invece, profondamente affezionato alla famiglia affidataria: sarebbe stato traumatizzante interrompere il secondo in ragione del primo, inesistente. Il diritto del minore a crescere ed essere educato nell'ambito della propria famiglia non possiede carattere assoluto, venendo meno nei casi di carenza di cure materiali e morali da parte dei familiari che possa pregiudicare in maniera grave il corretto sviluppo psico-fisico del bambino. I contrapposti interessi in gioco (diritto del minore a godere di legami affettivi concreti e diritto soggettivo alla genitorialità giuridica) impongono tuttavia un accertamento rigoroso della situazione di abbandono, oltre al fatto che il diritto alla genitorialità giuridica è indisponibile e non rinunciabile preventivamente, sia sul piano del diritto sostanziale che delle facoltà processuali relative al suo esercizio. Il diritto soggettivo alla genitorialità giuridica è irrimediabilmente estinto solo con l'intervenuta dichiarazione di adottabilità del minore e il suo affidamento pre-adottivo. Quindi la richiesta di sospensione del procedimento abbreviato può intervenire durante la pendenza ma prima della definizione del procedimento di primo grado, ovvero nei modi e nei termini individuati dall'ultimo comma dell'art. 11: coerentemente, la giurisprudenza di legittimità ritiene che il mancato riconoscimento immediato del figlio possa rappresentare un indice significativo in favore dell'abbandono ma che, in ogni caso, non possa mai essere considerato condizione necessaria e sufficiente ai fini della declaratoria di adottabilità del minore (Cass. civ., sez. I, n. 2136/1988). Tuttavia esso determina l'avvio del procedimento abbreviato da parte del Pubblico Ministero minorile “immediatamente”, recita l'art. 11. Occorre dunque interpretare l'avverbio immediatamente, il che presuppone che si tenga in considerazione l'eccezione rappresentata dall'istanza di sospensione. La quale non è soggetta a decadenza, in quanto espressione “processuale” del diritto sostanziale alla genitorialità giuridica. Si tratta allora di capire quale rilevanza ha l'accertamento delle condizioni di salute psico fisica della madre al momento della nascita del figlio, tenuto in considerazione dall'art. 5, comma 4 della Convenzione Europea sull'adozione dei minori, ratificata con l. n. 357/1974 («il consenso della madre all'adozione del figlio non potrà essere accettato che dopo la nascita di questi, allo spirare del termine prescritto dalla legge e che non dovrà essere inferiore a sei settimane o, ove non sia specificato un termine, nel momento in cui, a giudizio dell'autorità competente, la madre si sarà sufficientemente ristabilita dalle conseguenze del parto»). Da un lato il consenso alla base del riconoscimento deve essere “non viziato”, dall'altro col passare del tempo si stabilizza il legame tra il minore e la famiglia affidataria. Orbene, la scelta dell'interprete è di privilegiare il supremo interesse del minore e il suo diritto alla vita familiare, inteso come la valorizzazione del legame affettivo di fatto, in linea con l'opera ermeneutica condotta anche dalla Corte di Strasburgo. Il pentimento materno tardivo, qualsivoglia siano le ragioni della tardività, e quindi il diritto soggettivo alla genitorialità legale del genitore biologico, cede il passo al preminente interesse del bambino a conservare il legame di vita familiare nel frattempo instauratosi con la famiglia adottiva. |