La Corte costituzionale dichiara infondata la q.l.c. sollevata sull’art. 120, comma, 5, c.p.a.

Alessandra Coiante
10 Novembre 2021

La Corte costituzionale dichiara non fondata la q.l.c. sollevata dal TAR Puglia, Lecce, ord. 20 marzo 2020, n. 120 sull'art. 120, comma 5, c.p.a., nella parte in cui fa decorrere il termine per proporre motivi aggiunti dalla ricezione della comunicazione di cui all'art. 79 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163.

La q.l.c. e l'ordinanza di rimessione. Il caso sottoposto all'attenzione del giudice rimettente riguardava l'impugnazione degli atti di una procedura di affidamento di un appalto di servizi avvenuta a seguito della comunicazione di aggiudicazione a favore della controinteressata in data 29 maggio 2019.

Successivamente all'accesso agli atti, consentito dalla S.A. solo il 15 luglio 2019, la ricorrente proponeva poi motivi aggiunti notificati il 31 luglio 2019. Ciò posto, a parere del giudice a quo, essi sarebbero irricevibili per tardività, in applicazione dell'art. 120, comma 5, c.p.a. e dai qui seguirebbe anche la rilevanza della questione di legittimità costituzionale della norma censurata.

Con riferimento alla non manifesta infondatezza il giudice rimettente ha evidenziato di essere vincolato ad applicare l'art. 120, comma 5, c.p.a. “nell'univoco senso espresso dalla lettera della disposizione, che riconnetterebbe la decorrenza del termine alla sola ricezione della comunicazione di aggiudicazione, inviata agli operatori concorrenti alla gara ai sensi dell'art. 79 del d.lgs. n. 163 del 2006”. Nell'ordinanza è stato poi specificato che dal momento che i vizi da porre a base dei motivi aggiunti potrebbero essere conosciuti solo in data successiva a tale ricezione (a seguito dell'accesso agli atti di gara), tale regime processuale sarebbe palesemente in contrasto con l'art. 24 Cost., perché, comportando che il termine per la proposizione dei motivi medesimi decorra prima della cognizione del vizio, impedirebbe “di fatto” la tutela giurisdizionale.

Il giudice a quo ha poi ritenuto inadeguata a risolvere il profilo di illegittimità costituzionale la soluzione interpretativa proposta dalla giurisprudenza amministrativa secondo cui, in caso di accesso agli atti di gara, il termine di trenta giorni per proporre ricorso, anche con motivi aggiunti, va incrementato di un numero di giorni pari a quelli che l'art. 79 Codice dei contratti pubblici del 2006 assegnava ai fini dell'accesso.

Nell'ordinanza di rimessione è stato evidenziato poi che l'art. 79 è stato abrogato, e che, ad oggi, la giurisprudenza si è attestata nel senso che il rinvio operato dall'art. 120, comma 5, c.p.a. a tale disposizione vada ora indirizzato al nuovo art. 76, comma 2, del Codice che, pur con una diversa formula letterale, assegnerebbe quindici giorni, anziché dieci, dalla comunicazione della aggiudicazione per un tempestivo accesso. Il termine per proporre motivi aggiunti potrebbe essere perciò incrementato di conseguenza. Tale soluzione, tuttavia, secondo il giudice rimettente, non sarebbe compatibile con la lettera della norma censurata, che continua a rinviare all'art. 79 del Codice dei contratti pubblici del 2006, per quanto abrogato e, inoltre, essa comporterebbe lo slittamento anche del termine per proporre il ricorso principale, “in radicale contrasto con la previsione del rito speciale accelerato in materia di appalti pubblici”.

La decisione della Corte. Alla luce della motivazione offerta dal giudice rimettente per contrapporsi all'interpretazione costituzionalmente orientata fornita dalla giurisprudenza, la Corte ha ritenuto la questione ammissibile ma infondata nel merito per le ragioni che seguono.

Anzitutto, ha osservato la Corte, non sussistono gli ostacoli logici e giuridici ravvisati dal giudice a quo, in merito alla praticabilità della “interpretazione adeguatrice” da ultimo sposata dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato.

Secondo il giudice a quo, il primo impedimento letterale che non consentirebbe di ritenere applicabile l'interpretazione fornita dalla giurisprudenza sotto la vigenza dell'art. 79 (poi riproposta per il sopravvenuto art. 76) riguarderebbe il rinvio operato, dalla norma censurata, alla comunicazione dell'aggiudicazione di cui all'art. 79 del Codice del 2006 che, ai fini della decorrenza del termine per proporre motivi aggiunti, “non permetterebbe di postergare in nessun caso il dies a quo, neppure per l'ipotesi di accesso agli atti di gara, né di adottare soluzioni correttive che garantiscano l'esercizio del diritto di difesa, nonostante simile decorrenza”.

Tuttavia, secondo la Corte, “il rimettente non avrebbe considerato che entrambe le disposizioni appena ricordate disciplinano non solo l'informazione attinente alla aggiudicazione, ma anche quelle successive che l'amministrazione è tenuta a rendere disponibili, ovvero a comunicare, a seguito di richiesta di accesso agli atti (…). Fermo restando, perciò, che l'inizio del termine per proporre il ricorso coincide (in questo caso e salve le altre ipotesi individuate dalla giurisprudenza amministrativa) con la data della comunicazione della aggiudicazione, è proprio il rinvio al testo integrale (e dunque comprensivo dell'attività conseguente alla richiesta di accesso) dell'art. 79 del “primo” cod. contratti pubblici (ed ora a quello del sopravvenuto art. 76 del “secondo” cod. contratti pubblici) a ricondurre nel cerchio delle interpretazioni compatibili con la lettera della legge, secondo il contesto logico-giuridico al quale pertiene la norma, la lettura che impone una dilazione temporale, correlata all'esercizio dell'accesso nei quindici giorni previsti attualmente dall'art. 76 del vigente “secondo” cod. dei contratti pubblici (e, in precedenza, ai dieci giorni indicati invece dall'art. 79 del “primo” cod. contratti pubblici)”.

In merito al secondo impedimento “letterale – che vede il censurato art. 120, comma 5, c.p.a. rinviare all'art. 79 del Codice 2006 (pur dopo l'abrogazione) – la Corte ha affermato che l'abrogazione dell'art. 79 e la perdurante vigenza dell'art. 120, comma 5, c.p.a. censurato, infatti, “pone un dubbio ermeneutico concernente la natura formale o materiale del rinvio disposto dalla disposizione censurata, e, nel caso in cui l'interprete si orienti per il carattere formale, un ulteriore profilo concernente l'individuazione, ove possibile, della norma eventualmente divenuta applicabile in luogo di quella abrogata, e delle forme e dei limiti entro i quali il rinvio può continuare ad operare”. Dunque, nel caso cui la legge disponga un rinvio ad una disposizione successivamente abrogata ciò non può costituire un ostacolo alla sua applicazione, ma al contrario deve rappresentare il punto di partenza che onera l'interprete del compito di assegnare alla norma il significato che essa acquisisce, a seguito dell'abrogazione della disposizione oggetto di rinvio.

Infine, la Corte passa poi all'esame del terzo impedimento sostenuto dal giudice rimettente. Secondo quest'ultimo, infatti, l'interpretazione intesa a individuare nell'art. 76 del Codice del 2016 l'oggetto del rinvio contenuto nell'art. 120, comma 5, c.p.a. sarebbe del tutto eccentrica, perché comporterebbe che il termine per proporre non solo i motivi aggiunti, ma anche il ricorso principale decorra non già dalla comunicazione dell'aggiudicazione, ma “solo a partire dal momento in cui l'interessato abbia avuto cognizione degli atti della procedura” a seguito di richiesta di accesso. Il rimettente ha ritenuto tale effetto “una conseguenza necessitata del presupposto secondo il quale la norma censurata dispone ora un rinvio all'art. 76, comma 2, del “secondo” cod. contratti pubblici, che disciplina le comunicazioni rese dall'amministrazione a seguito di istanza di accesso”.

Secondo la Corte, tuttavia, non vi sarebbe alcuna ragione per ritenere che la norma censurata contenga ora un rinvio solo a tale porzione dell'art. 76 del Codice dei contratti del 2016, e non anche al comma 1 dello stesso articolo, che continua a disciplinare la comunicazione dell'aggiudicazione.

Da ciò conseguirebbe quindi la compatibilità dell'art. 120, comma 5, c.p.a. con l'interpretazione della giurisprudenza, secondo la quale il dies a quo per proporre il ricorso principale ed i motivi aggiunti decorre dalla comunicazione dell'aggiudicazione (salve le ulteriori ipotesi di decorrenza di altra natura, ed estranee al presente incidente di legittimità costituzionale), fermo il già descritto meccanismo di dilazione temporale per denunciare i vizi che emergano a seguito dell'accesso agli atti di gara.

Dopo aver appurato che non vi è alcun impedimento letterale o logico ad adottare tale interpretazione della norma, la Corte passa a verificare se essa sia tale da assicurare la conformità della disposizione all'art. 24 Cost. ritenendo compatibili con quest'ultimo e con il diritto dell'UE tutte quelle interpretazioni per effetto delle quali “la parte ricorrente disponga di un termine non inferiore a trenta giorni per agire in giudizio, e comunque per proporre motivi aggiunti, tenuto conto della data in cui essa ha preso conoscenza, o avrebbe potuto prendere conoscenza usando l'ordinaria diligenza, dei profili di illegittimità oggetto dell'impugnativa. Si tratta, infatti, del termine discrezionalmente scelto dal legislatore per la proposizione sia del ricorso principale, sia dei motivi aggiunti, per i quali ultimi non è stabilita normativamente alcuna dimidiazione di esso”.

L'interpretazione respinta dal rimettente, ma avallata da ultimo dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, rientrerebbe nel novero appena descritto delle letture costituzionalmente orientate del censurato art. 120, comma 5, c.p.a. dal momento che assicura - mediante il meccanismo della cosiddetta dilazione temporale per i casi di accesso tempestivamente soddisfatto dall'amministrazione - che il termine per proporre i motivi aggiunti, pur decorrendo, per l'ipotesi prevista dalla disposizione censurata, dalla data di comunicazione dell'aggiudicazione, sia ugualmente pieno.