Modifiche condizioni divorzio e applicabilità art. 38 disp. att. c.c.
12 Novembre 2021
Al procedimento di modifica delle condizioni economiche (disposte a suo tempo con decreto del tribunale ordinario all'epoca in cui i figli erano minorenni) relative al figlio maggiorenne, si applica il rito camerale (procedimento quindi introdotto con ricorso) o è di competenza del giudice monocratico (atto introduttivo citazione)? Il Tribunale di Milano ha ritenuto applicabile l'art.38 disp. att. c.c. anche ai figli maggiorenni non economicamente autosufficienti applicando il rito camerale anche per le modifiche relative i figli (non matrimoniali) divenuti maggiorenni, È legittima l'applicazione analogica di una norma processuale?
Va premesso che ai sensi dell'art. 38 disp. att. c.c., come modificato dalla l. 219/2012 e dal d.lgs. 154/2013, sono di competenza del tribunale ordinario tutti i provvedimenti relativi ai minori di cui agli artt. 337-bis e ss. c.c., anche con riguardo a figli nati da genitori non coniugati. L'articolo 38 disp. att. c.c. stabilisce, inoltre, che nei procedimenti in materia di affidamento e di mantenimento dei minori si applicano, in quanto compatibili, gli articoli 737 e s.s. c.p.c. che prevedono che il Tribunale decida con rito camerale. Il problema dell'applicabilità di tale disposizione anche ai figli maggiorenni è stato oggetto di disamina da parte della giurisprudenza. Secondo l'orientamento maggioritario lospeciale procedimento camerale previsto dall'art. 38 disp. att. c.c., riguarderebbe unicamente i provvedimenti relativi ai minori e i procedimenti in materia di affidamento e mantenimento dei minori, con conseguente inapplicabilità nei casi di figli maggiorenni, anche se non autosufficienti, per i quali deve essere incardinato il giudizio ordinario di cognizione(Cfr. Trib. Forlì, decr., 24 novembre 2014, est. Vacca; Trib. Modena prov., 27 gennaio 2011; Trib. Bari, I, 12 novembre 2009, n. 3421). Anche il Tribunale di Firenze in una recente pronuncia emessa in il 7 febbraio 2020 ha chiarito che «la domanda a tutela del contributo al mantenimento dei figli maggiorenni deve essere introdotta con atto di citazione e rito ordinario». Dello stesso avviso il Tribunale di Brescia (sez. III civ., decreto 25 ottobre 2018) secondo cui: «Al processo che ha ad oggetto il diritto al mantenimento del figlio maggiorenne trova applicazione il rito ordinario (o sommario) di cognizione, atteso che il rito camerale è riservato ai procedimenti in cui sono dedotti gli interessi di minorenni (art. 38 att. c.c.)». La domanda per la modifica del contributo al mantenimento del figlio “non matrimoniale” divenuto nel frattempo maggiorenne è soggetta, quindi, in assenza di riti speciali, al rito ordinario. In nessun caso può essere richiamato l'art. 38 disp. att. c.c. atteso che tale norma prevede la forma del procedimento in camera di consiglio (ricorso e competenza collegiale) solo con riferimento ai provvedimenti che riguardano i figli minori. Vi sono però state anche pronunce di segno contrario (Cfr. Trib. Roma 16 giugno 2017) che hanno stabilito che la modifica delle modalità di mantenimento di un figlio maggiorenne potrebbe comunque essere richiesta anche nelle forme del rito camerale proprie dell'art. 38 disp. att. c.c., essendo tale rito pienamente rispettoso dei principi del giusto processo e della sua ragionevole durata, nonché del contraddittorio e delle garanzie difensive della parte resistente. Nella prassi giudiziaria può capitare d'introdurre un giudizio con un atto non conforme al modello legale normativamente previsto (ad esempio ricorso piuttosto che atto di citazione). Sebbene non possa trovare applicazione l'art. 38 disp. att. c.c. per i figli maggiorenni - atteso che nel nostro ordinamento il rito camerale è previsto solo nei casi tipizzati e previsti dal legislatore - è però importante evidenziare anche che nel caso di specie, a prescindere dal rito che si instaura, nessuna delle norme regolanti i giudizi di revisione delle statuizioni economiche riguardanti i figli e adottate dal Tribunale (artt. 737 e ss. c.p.c., 336, 337-quinquies c.c.) prevede espressamente la sanzione processuale della “inammissibilità della domanda” ove l'atto introduttivo non abbia rispettato il modello legale ivi previsto. |