Prededuzione nel successivo fallimento del credito sorto post omologa di un concordato con continuità: il tribunale di Modena fissa i paletti

Alessandro Lendvai
12 Novembre 2021

In caso di consecuzione tra procedure concorsuali, il creditore, che chieda l'ammissione in prededuzione al passivo del successivo fallimento del credito sorto post omologazione di un concordato con continuità, ha l'onere di provare tanto che il credito stesso sia stato espressamente previsto nella proposta omologata o nel piano, o tragga origine da una prestazione necessaria e insostituibile ai fini della prosecuzione stessa dell'attività di impresa, quanto che le due procedure trovino il loro presupposto nel medesimo stato di insolvenza.
La massima

In caso di consecuzione tra procedure concorsuali, il creditore, che chieda l'ammissione in prededuzione al passivo del successivo fallimento del credito sorto post omologazione di un concordato con continuità, ha l'onere di provare tanto che il credito stesso sia stato espressamente previsto nella proposta omologata o nel piano, o tragga origine da una prestazione necessaria e insostituibile ai fini della prosecuzione stessa dell'attività di impresa, quanto che le due procedure trovino il loro presupposto nel medesimo stato di insolvenza.

Il caso

Le decisioni in commento sono state pronunciate all'esito di due opposizioni allo stato passivo del medesimo fallimento, proposte da un agente della società fallita e da un fornitore di servizi logistici. In entrambi i casi si tratta di crediti maturati successivamente al decreto di omologa di un concordato con continuità aziendale a cui è seguita, alcuni anni dopo, omisso medio su istanza del P.M., la dichiarazione di fallimento.

Gli opponenti hanno contestato l'ammissione al passivo del proprio credito rispettivamente solo con il privilegio di cui all'art. 2751 bis n. 3) c.c. e in chirografo, vantandone invece la prededuzione sulla base di una giurisprudenza di legittimità favorevole a tale soluzione. Il tribunale di Modena, pur dubitando tout court della soluzione prospettata, l'ha ritenuta non accoglibile in concreto, con le argomentazioni su cui si tornerà più nel dettaglio, per difetto di allegazione e prova della funzionalità della prestazione - da remunerare, in tesi, con la preferenza accordata dalla prededuzione - all'adempimento del concordato con continuità e per difetto di consecutio tra la procedura di concordato, nell'ambito della quale detta prestazione è avvenuta, e il successivo fallimento, del cui stato passivo il credito concorre alla formazione.

La questione

La Cassazione, a partire almeno dalla sentenza n. 17911/2016, a cui è seguita la “gemella” n. 12044/2018, rese entrambe in giudizi di opposizione allo stato passivo del medesimo fallimento dichiarato dal tribunale di Busto Arsizio, ha affermato il principio per cui nel concordato con continuità aziendale, che ha “di mira il recupero e rilancio di compendi aziendali se non addirittura dell'intero corpo d'impresa”, deve applicarsi la regola secondo cui “godono del trattamento preferenziale (cd. prededuzione) i crediti che attengono sia alla prosecuzione dei contratti pendenti, per il periodo successivo all'ammissione, sia quelli instauratisi successivamente come nuovi rapporti, purchè in conformità del piano industriale oggetto dell'approvazione da parte dei creditori e dell'omologazione da parte del Tribunale, in modo che così si realizzi quella piena coerenza tra le obbligazioni assunte dall'impresa in concordato ed il piano approvato”.

Successivamente, partendo da quanto elaborato nel citato precedente, ha affermato il principio per cui “i crediti nascenti da nuovi contratti che, pur se non espressamente contemplati nel piano concordatario, siano stipulati dal debitore, in corso di esecuzione del concordato preventivo omologato, ai fini del raggiungimento degli obiettivi previsti dal piano medesimo e dell'adempimento della proposta, devono ritenersi sorti in funzione della procedura e vanno ammessi in prededuzione allo stato passivo del fallimento consecutivo, dichiarato per effetto della risoluzione del concordato” (Cass. 10 gennaio 2018, n. 380, in questo portale, con nota critica di Sovieni, La natura prededucibile dei crediti sorti successivamente all'omologa del concordato; v. anche Nardecchia, La prededuzione e la lesione della par condicio creditorum, in Fall., 2018, 418).

Il Tribunale di Modena non condivide “in linea di principio, la prededucibilità di crediti sorti nei confronti della società in epoca successiva alla omologazione di un concordato in continuità aziendale” (decreto 24 aprile 2020). Tuttavia ha preferito non rigettare le opposizioni puramente e semplicemente, ma ha indagato quali sono i presupposti per poter configurare eventualmente la (pur non condivisa) prededucibilità e ha concluso per la non ricorrenza in concreto degli stessi. Nel dettaglio si tratta alternativamente:

- dell'espressa previsione, nella proposta e nel piano omologati, della spesa insorgenda, quale spesa necessaria all'adempimento della proposta, esattamente determinata nell'an e nel quantum e come tale già sottoposta allo scrutinio preventivo degli organi della procedura e dei creditori, così da evitare qualsiasi incertezza e discrezionalità sulla natura prededucibile del credito in questione;

- oppure, in mancanza di tale previsione nella proposta e nel piano, della necessità e insostituibilità della prestazione da cui origina il credito ai fini non solo dell'adempimento della proposta concordataria, ma della “prosecuzione stessa dell'attività di impresa, altrimenti irreversibilmente compromessa [come nel caso esaminato dalla citata S.C. n. 380/2018: “in difetto di erogazione di tali forniture (di energia elettrica), lo stabilimento non avrebbe potuto funzionare”]” (decreto 22 settembre 2020).

Ulteriore presupposto, necessario a ritenere trasferita e suscettibile di accoglimento nella procedura successiva la pretesa prededucibile maturata nella prima, è la consecuzione tra la procedura di concordato in continuità omologato e il successivo fallimento, che richiede che dette procedure siano volte ad affrontare e regolare il medesimo stato di insolvenza, senza che l'imprenditore, nell'eventuale lasso temporale non trascurabile intercorso fra le stesse, abbia effettuato atti di gestione dell'impresa idonei a variare in modo sostanziale la consistenza economica del suo stato di dissesto, introducendo elementi di difformità rilevante rispetto alla situazione già manifestata agli organi giudiziari e ai creditori (Cass. 11 giugno 2019, n. 15724).

Sia i presupposti inerenti alla funzionalità del credito che quelli inerenti alla consecutio sono stati ritenuti insussistenti, con l'inevitabile conseguenza del rigetto delle opposizioni allo stato passivo.

Osservazioni

Il Tribunale di Modena, pur avendo individuato i criteri molto rigorosi appena illustrati per configurare eventualmente la prededucibilità dei crediti sorti dopo l'omologa del concordato, delineando un sistema adeguato a tranquillizzare rispetto agli effetti di un'indiscriminata attribuzione di tale trattamento preferenziale, afferma comunque a chiare lettere la propria contrarietà di principio ad attribuire natura prededucibile ai crediti in questione.

Nel prosieguo sarà utile approfondire l'analisi dei motivi su cui si fonda tale posizione.

La prima obiezione rilevante deriva dall'espressa previsione dell'art. 181 l. fall., secondo cui “la procedura di concordato preventivo si chiude con il decreto di omologazione”, con la conseguenza che non potrebbero configurarsi crediti sorti in funzione di una procedura che non esiste più.

La sentenza della Cassazione n. 380/2018, in realtà, già proponeva una lettura volta a superare l'ostacolo, sostenendo che la chiusura del concordato “pur determinando la cessazione del regime di amministrazione dei beni previsto, durante il corso della procedura, dall'art. 167, non comporta (salvo che alla data dell'omologazione il concordato sia stato già interamente eseguito) l'acquisizione in capo al debitore della piena disponibilità del proprio patrimonio, che resta vincolato all'attuazione degli obblighi da lui assunti con la proposta omologata, dei quali il Commissario Giudiziale, come espressamente stabilito dall'art. 185, è tenuto a sorvegliare l'adempimento, "secondo le modalità stabilite nella sentenza (o nel decreto) di omologazione".

La fase di esecuzione, nella quale - come si desume dalla stessa rubrica dell'art. 185 – si estrinseca l'adempimento del concordato, non può allora ritenersi scissa, e come a sé stante, rispetto alla fase procedimentale che l'ha preceduta: l'assoggettamento del debitore, dopo l'omologazione, all'osservanza del provvedimento giurisdizionale emesso ai sensi dell'art. 180, implica infatti la necessità che egli indirizzi il proprio agire al conseguimento degli obiettivi prefigurati nella proposta presentata ed approvata dai creditori”.

Al di là delle critiche a cui è stata, pur acutamente, sottoposta questa ricostruzione (v. Nardecchia, op. cit.) sembra comunque doversi prendere atto che “le due fasi (giudiziale e di esecuzione) vanno a comporre l'unitario procedimento di concordato preventivo che, come tale, non potrà dirsi concluso fino a quando non sarà stato esattamente adempito da parte del proponente” (così, con chiarezza e sintesi mirabili, Trib. Arezzo, 28 settembre 2016, in ilcaso.it) e pertanto non è peregrino ritenere che il criterio della funzionalità previsto dall'art. 111 l. fall. possa applicarsi anche a crediti sorti nella fase esecutiva.

Il collegio modenese evidenzia, inoltre, “la tendenziale incompatibilità, salvo eccezioni tassative e di stretta interpretazione (cfr. art. 182 quater, comma 1, l.fall.) del criterio ‘teleologico' della prededuzione (di norma preventivo, cioè al fine di favorire l'accesso alla procedura e non la sua esecuzione) con la riespansione della iniziativa economica dell'imprenditore, nuovamente in bonis dopo la chiusura della procedura concordataria (id est, con l'omologazione), ancorché sotto la ‘mera sorveglianza' degli organi della procedura (privi di poteri inibitori)”, manifestando il timore che “la ‘preferenza processuale' della prededuzione (nel successivo fallimento) rischierebbe di sovvertire ingiustificatamente la posizione dei creditori (pre e post-concordatari), menomando proprio la tutela dei crediti (finanche privilegiati) al soddisfacimento dei quali detta procedura è preordinata e ritardando, anziché favorendo, la tempestiva emersione dell'insolvenza (post-concordataria) ‘nella continuità'” (decreto 22 settembre 2020).

Anche sul punto può osservarsi che i poteri di intervento del commissario giudiziale appaiono più incisivi di quanto prospettato, essendo ben possibile fornire un'efficace tutela ai creditori destinando loro un adeguato flusso informativo volto a stimolare la richiesta di risoluzione “anche prima della scadenza del termine previsto per il pagamento dei creditori, quando dall'analisi dei risultati della gestione economica della società sia evidente la mancata realizzazione degli obiettivi del piano e sia probabile, in base ad una ragionevole previsione, rimessa al prudente apprezzamento del giudice, che la proposta non potrà più essere adempiuta” (così Nardecchia, op. cit.; ulteriori spunti sulla funzione di monitoraggio attribuita al commissario giudiziale, ricavabile dal combinato disposto degli artt. 185, comma 1, e 186-bis, comma 7, l.fall., in Bonfatti, I presupposti e gli effetti del sostegno finanziario alle imprese in crisi. Uno sguardo d'insieme, in dirittobancario.it, 2018).

Peraltro, appare opportuno evidenziare che il sistema che emerge dalla giurisprudenza di legittimità, come ricostruito dal tribunale di Modena con maggior rigore (di cui sembra essere espressione la già vista regola dell'insostituibilità della prestazione da cui origina il credito in prededuzione ai fini non solo dell'adempimento della proposta concordataria, ma della prosecuzione stessa dell'attività di impresa) si configura con caratteristiche tali da tutelare sufficientemente dall'“incubo” – come è stato efficacemente definito (v. Bonfatti, op. cit.) – “della formazione di un indebitamento post-concordatario destinato ad una collocazione preferenziale sul ricavato dal patrimonio dell'imprenditore (…) idoneo a compromettere massicciamente le speranze di soddisfacimento delle obbligazioni pregresse”.

A ben vedere il punto non sembra essere tanto quello della collocazione antergata nel successivo fallimento dei crediti sorti post omologa, quanto la verifica adeguata che gli stessi siano stati contratti in conformità al piano approvato e omologato o, comunque, con certa funzionalità all'adempimento dello stesso e quindi volti a realizzare il miglior soddisfacimento dei creditori. Infatti, “potendo/dovendo le obbligazioni pecuniarie contratte dall'imprenditore -tornato in bonis con l'omologazione del concordato- trovare ‘normale' e tempestivo adempimento con i flussi di cassa derivanti dalla continuità, ovvero, nel caso di inadempimento, reazione con gli strumenti ordinari, anche in executivis (non preclusi ai creditori post-concordatari, come desumibile dal tenore dell'art. 184 l.f.) (decreto 22 settembre 2020), l'erosione ingiustificata di attivo da destinare ai creditori anteriori, compresi i privilegiati, si realizzerebbe comunque se tali obbligazioni pecuniarie non fossero state contratte in modo corretto. Se si ritiene, come nel decreto in commento, che un credito sia munito della prededuzione endo-concordataria e sia realizzabile anche coattivamente, secondo le regole ordinarie, il problema non sembra essere tanto la sua eventuale collocazione in prededuzione nel successivo fallimento, ma la verifica costante della sua effettiva funzionalità all'adempimento del concordato.

Non può tacersi, infine, che la rigorosa applicazione delle regole sulla consecutio costituisce un'ulteriore garanzia dalla realizzazione dell'“incubo”.

Infatti, difficilmente iniziative arbitrarie e onerose dell'imprenditore, estranee alle previsioni del piano, non funzionali all'adempimento del concordato e sfuggite al controllo del commissario, potranno configurare la “sostanziale sovrapponibilità dei presupposti delle singole procedure consecutive” in modo che le stesse siano volte a “dare soluzione alla medesima situazione di crisi economica”, come voluto dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. n.15724/19, cit.).

Nel caso di cui si è occupato il Tribunale di Modena si apprende, significativamente, che:

i) la procedura di concordato preventivo è stata omologata il 23 novembre 2016 e la sentenza dichiarativa di fallimento, senza previa risoluzione del concordato, è intervenuta in data 10 aprile 2019;

ii) in tale considerevole lasso di tempo sono emersi inequivoci elementi di variazione sostanziale dello stato di insolvenza della società, nel triennio successivo all'omologazione, in conseguenza dell'inadempimento delle obbligazioni post-concordatarie assunte;iii) in particolare si è verificata “la consistente riduzione del fatturato di oltre il 30% nel 2018, rispetto ai dati del 2017, e l'assunzione di nuovi debiti post-concordatari verso i fornitori per oltre € 1.000.000,00, nonché verso l'Erario e gli enti previdenziali” (decreto 22 settembre 2020).

Appare, quindi, corretto che nel caso di specie non si possa configurare un medesimo stato di insolvenza, essendo verosimile che l'imprenditore abbia effettuato atti di gestione dell'impresa idonei a variare in modo sostanziale la consistenza del suo dissesto.

Conclusioni

Le decisioni del Tribunale di Modena annotate consentono di integrare opportunamente l'apertura della giurisprudenza di legittimità verso la prededucibilità dei crediti sorti dopo l'omologa del concordato, individuando criteri rigorosi idonei a scongiurare l'ingiustificata erosione di attivo provocabile da iniziative arbitrarie dell'imprenditore lesive della finalità di realizzare il miglior soddisfacimento dei creditori.