La Suprema Corte in tema di firma digitale

Redazione scientifica
15 Novembre 2021

La validità della firma digitale, quale requisito essenziale per attribuire la paternità all'atto, deve essere dimostrata non da chi appone la sottoscrizione, bensì dalla società o ente abilitato al rilascio di essa.

Il GIP dichiarava inammissibile l'appello presentato dal difensore dell'imputato con le modalità telematiche di cui all'art. 24 d.l. n. 137/2020, convertito con modificazioni dalla l. n. 176/2020: nello specifico, il giudice, ricevuta l'impugnazione trasmessa tramite PEC con firma digitale del difensore, ne dichiarava de plano l'inammissibilità, sulla base dell'attestazione di cancelleria della «impossibilità di trovare la lista di revoca» della firma digitale del difensore.

L'imputato ricorre in Cassazione, sostenendo la regolarità della firma digitale.

Il ricorso è fondato. La Corte di Cassazione, infatti, afferma che le liste di revoca della firma digitale, gestite secondo stringenti requisiti tecnici dai gestori abilitati al rilascio delle firme digitali, contengono l'elenco, aggiornato in tempo reale, delle firme che siano state revocate o sospese: la validità della firma digitale, quale requisito essenziale per attribuire la paternità all'atto, deve essere dimostrata non da chi appone la sottoscrizione, bensì dalla società o ente abilitato al rilascio di essa.

Inoltre, la consultazione delle liste di revoca, messe a disposizione dal provider che ha rilasciato all'utente la firma digitale, avviene nell'ufficio giudiziario per il tramite di un sistema applicativo di una terza parte, alla quale il sistema accede in tempo reale per il tramite dei sistemi di rete dell'ufficio giudiziario: da ciò si desume che la impossibilità di consultare le liste di revoca delle firme rilasciate dal certificatore abilitato può dipendere da un problema tecnico dell'ufficio che effettua la verifica il quale, verosimilmente a causa di alcune errate impostazioni del sistema, non è posto in grado di raggiungere le liste di revoca pubblicate dal certificatore, pur presenti all'indirizzo elettronico interrogato dall'applicazione della terza parte deputata a compiere i controlli di regolarità della firma.

Nel caso di specie, l'anomalia verificatasi al momento della verifica della lista di revoca del certificato di firma rilasciato all'avvocato che ha sottoscritto l'impugnazione non costituisce una anomalia che, di per sé, costituisce ostacolo al soddisfacimento del requisito legale di cui all'art. 24, comma 6-sexies, d.l. n. 137/2020 che riguarda, piuttosto, la validità della firma digitale. La circostanza che, al momento del controllo della firma digitale del difensore che ha sottoscritto l'atto, il sistema software abbia confermato la regolarità della firma e parallelamente indicato la impossibilità di accedere alle liste di revoca dei certificati di firma rilasciati all'utente che ha sottoscritto l'atto, avrebbe dovuto indurre l'ufficio a tenere distinti i due aspetti e a compiere approfondimenti sulle ragioni che hanno impedito alla cancelleria di accedere alle richiamate liste di revoca: la difficoltà tecnica in cui è incappato l'ufficio non può, dunque, essere addossata a colui che ha apposto la firma.

Per questi motivi, la Corte di Cassazione annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata.

(Fonte: Diritto e Giustizia)

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