Gli ordini di protezione nell'ambito della c.d. violenza assistita

16 Novembre 2021

Quali sono le forme di sostegno più idonee per tutelare la minore coinvolta in episodi di violenza domestica?
Massima

Va disposto l'allontanamento dalla residenza familiare del figlio maggiorenne che si sia reso protagonista di condotte violente e minacciose perpetrate nei confronti dei genitori a cui abbia assistito anche la sorella minorenne, perciò esposta a un potenziale pericolo derivante dalla convivenza con il fratello.

Il caso

Dinanzi al Tribunale per i Minorenni di Caltanissetta veniva incardinato un procedimento ex art. 333 c.c. conseguente ai maltrattamenti attuati nei confronti dei genitori dal figlio maggiorenne della coppia, che avevano visto il coinvolgimento indiretto della figlia minore con loro convivente, culminati in un ultimo episodio di violenza nel corso del quale, quest'ultimo mediante l'uso di un coltello da cucina, cagionava ai familiari lesioni personali.

Siffatta situazione veniva ritenuta dal Tribunale potenzialmente lesiva per la minore, anche in considerazione della mancata volontà del soggetto maltrattante di intraprendere percorsi di sostegno, pur sollecitati dai genitori, ragion per cui veniva ravvisata la necessità di disporre l'allontanamento di quest'ultimo dalla casa familiare, oltre che di avviare un percorso di monitoraggio dalle capacità genitoriali di entrambi i componenti della coppia e, più in generale, l'idoneità educativa del nucleo familiare, da attuarsi dai Servizi Sociali, nonché di prevedere lo svolgimento di un'attività di sostegno in favore della minore, affidato al locale servizio di Neuropsichiatria Infantile.

La questione

La problematica posta all'attenzione del Tribunale attiene all'individuazione delle forme di sostegno più idonee al fine di tutelare la minore, in considerazione sia della specifica natura del procedimento incardinato che in relazione alle peculiarità del caso di specie, come derivanti dalla qualità del soggetto maltrattante e dalla posizione assunta dalla vittima, destinataria indiretta degli episodi di violenza.

Le soluzioni giuridiche

Con la pronuncia in esame, il Tribunale - in applicazione delle disposizioni di cui all'art. 333 c.c. e delle previsioni contenute all'art. 572 c.p., ravvisando la necessità di apprestare strumenti di protezione in favore della minore - disponeva l'allontanamento dalla casa familiare del fratello maggiorenne di quest'ultima, resosi protagonista di episodi di violenza che avevano indirettamente coinvolto la sorella, a cui si accompagnava l'adozione di misure volte alla verifica delle capacità di entrambi i genitori, onde valutare la sussistenza delle condizioni per l'eventuale applicazione di misure incidenti sulla responsabilità genitoriale.

In particolare, il giudice adito giustificava l'adozione del citato provvedimento di allontanamento del maltrattante in virtù dell'orientamento giurisprudenziale formatosi sul punto, a tenor del quale il ricorso a siffatta misura è da ritenersi legittima non solo per gli abusi o maltrattamenti commessi direttamente in danno del minore ma anche, come nel caso di specie, in tutte quelle circostanze in cui quest'ultimo sia destinatario indiretto di tali episodi, perpetrati nei confronti di altri familiari conviventi, non potendosi per dette ipotesi escludersi la configurabilità di una situazione di potenziale pericolo (Cfr Trib. Min. L'Aquila 19 luglio 2002).

Tale orientamento veniva ritenuto dal Tribunale pienamente condivisibile in considerazione del tenore letterale dell'art 572 c.p., come modificato a seguito della legge n. 69/2019, che qualifica il minore che abbia assistito a episodi di violenza domestica o di genere, quale persona offesa dal reato.

In aggiunta alle considerazioni innanzi esposte, il giudice adito poneva, a fondamento della decisione assunta, la necessità di pervenire a una interpretazione estensiva del termine convivente, cui fanno riferimento sia l'art. 572 c.p. che l'art 333 c.c., tale da ricomprendere nel novero della categoria dei soggetti maltrattanti qualunque familiare maggiorenne che abusi o maltratti un minore con lui convivente.

Da ultimo, con specifico riferimento al soggetto destinatario della misura assunta, individuato nel maltrattante in luogo del maltrattato, il Tribunale assumeva la necessità di evitare di arrecare ulteriori pregiudizi alla minore che, diversamente opinando, avrebbe aggiunto al trauma già subito in considerazione degli episodi di violenza di cui, pur se indirettamente, era stata vittima, quello conseguente al doversi allontanare dall'ambiente familiare in cui era inserita.

Osservazioni

La pronuncia in esame consente di compiere una breve disamina circa gli strumenti apprestati dall'ordinamento in favore dei minori per il caso in cui gli stessi siano stati vittima di comportamenti pregiudizievoli, da cui sia derivata la necessità di provvedere alla loro tutela.

La prima disposizione che viene in evidenza è l'art. 333 c.c. nel cui ambito, in linea generale, il legislatore non ha proceduto alla predeterminazione del contenuto delle misure applicabili, avendo rimesso la loro individuazione al prudente apprezzamento del giudice.

Unica eccezione a tale impostazione è data dall'allontanamento che costituisce la sola ipotesi tipizzata, cui poter far ricorso allorchè, pur configurandosi l'inadeguatezza dei genitori a svolgere il ruolo educativo loro affidato, detta carenza non sia di gravità tale da pervenire ad una pronuncia di decadenza della responsabilità genitoriale (Cfr Cass. 12363/2018).

Tale misura potrà riguardare direttamente il minore, o in alternativa- in virtù delle modifiche introdotte con la legge 28 marzo 2001, n. 149 - colpire il genitore o il convivente maltrattante, così da risparmiare alla vittima di un abuso il danno ulteriore di essere allontanato dal suo ambiente.

Analoga misura è prevista dall'art. 342-bis c.c. che espressamente disciplina gli ordini di protezione contro gli abusi familiari, la cui portata, in virtù del contenuto dell'art. 5 della legge n. 154/2001, va estesa a tutti i componenti del nucleo familiare, ivi compresi i figli minori.

Detta norma ha, con ogni evidenza, la finalità di offrire forme di intervento in tutte le situazioni di conflitto familiare che non siano sfociate in un procedimento di separazione o divorzio.

Dall'esame delle citate disposizioni emerge, tuttavia, che entrambe le ipotesi in esame si fondano su presupposti del tutto analoghi poiché, in tutti e due i casi, si fa riferimento al pregiudizio all'integrità fisica o morale o alla libertà dell'individuo come derivante da una condotta di maltrattamento o di abuso proveniente da un familiare o convivente.

Tale duplicazione normativa non può che tradursi in un difetto di coordinamento del sistema normativo di riferimento, che risulta maggiormente accentuato per i casi analoghi a quello in esame, in cui viene in evidenza la c.d. "violenza assistita", in cui la vittima diretta dei maltrattamenti sia un genitore e i figli vengano loro malgrado costretti ad assistervi.

Per detti casi, infatti, potrà verificarsi una sovrapposizione di competenze tra il giudice civile, cui andrà devoluta la cognizione per le ipotesi rientranti nelle previsioni di cui all'art 342 bis c.c., e il Tribunale per i minorenni competente, invece, ai sensi delle disposizioni di cui all'art. 333 c.c.

Siffatta criticità è stata affrontata dalla giurisprudenza che ha concluso nell'individuare una competenza concorrente del tribunale ordinario e di quello per i minorenni (Cfr Trib. Piacenza 23 ottobre 2008).

Nel caso di specie, tale problematica risulta superata in considerazione delle ulteriori previsioni assunte dal Tribunale, ad avviso del quale il disposto allontanamento dall'abitazione del genitore del soggetto maltrattante doveva accompagnarsi all'adozione di provvedimenti volti alla verifica delle capacità genitoriali in funzione dell'eventuale assunzione di misure incidenti sulla responsabilità genitoriale, la cui competenza, in assenza di un procedimento di separazione o di divorzio, è da attribuirsi in via esclusiva alla cognizione del giudice specializzato.

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