I beneficiari dell'amministrazione di sostegno
24 Novembre 2021
L'amministrazione di sostegnoè stata introdotto nel nostro ordinamento con la legge 9 gennaio 2004, n. 6 e disciplina dagli artt. 404 e ss c.c. Con la normativa menzionata viene introdotta tale figura e, allo stesso tempo, vengono modificati e rivisti gli istituti dell'interdizione e dell'inabilitazione. L'amministrazione di sostegno costituisce un istituto profondamente diverso dall'interdizione e dall'inabilitazione, ed intende valorizzare e promuovere l'autonomia residua della persona (beneficiario) e non emarginarla o escluderla. I presupposti per l'applicazione dell'amministrazione di sostegno sono indicati, innanzitutto, nell'art. 404 c.c., che dispone: «la persona che si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, per effetto di una infermità, ovvero di una menomazione fisica o psichica». La norma individua, dunque, un requisito soggettivo, consistente nella sussistenza di un'infermità o di una menomazione fisica o psichica, nonché un requisito oggettivo, rappresentato dall'impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, personali o patrimoniali. Richiede, inoltre, la sussistenza di un rapporto di causalità tra l'infermità o la menomazione fisica e psichica e l'impossibilità di attendere ai propri interessi. È possibile che l'istituto dell'amministrazione di sostegno possa essere disposto non solo in presenza dei requisiti soggettivi indicati dall'art. 404 c.c. (infermità o menomazione fisica o psichica), ma anche in assenza di una specifica patologia, laddove il soggetto sia «privo di autonomia nell'espletamento delle funzioni della vita quotidiana» anche per ragioni di tipo sociale, relazionale, culturale, etnico, ecc. In tale ottica, quindi, l'amministrazione di sostegno potrà essere utilizzata anche per far fronte a situazioni di disagio, che può estrinsecarsi sul piano sociale, affettivo, relazionale oppure lavorativo. I beneficiari dello stato di protezione
In sintesi, tenendo conto sia dei requisiti previsti dall'art. 404 c.c., sia della più generale indicazione di cui all'art. 1 della legge n. 6/2004, l'istituto dell'amministrazione di sostegno potrà trovare applicazione nei seguenti casi: - Sussistenza di un'infermità mentale che abbia i caratteri della abitualità e della gravità, nonché di una meno grave menomazione psichica che privino la parte (anche parzialmente e in via temporanea) della capacità di provvedere ai propri interessi, personali o patrimoniali. Il riferimento è alle gravi patologie psichiatriche (psicosi, gravi depressioni, autismo, ecc.), nonché neurologiche, anche di carattere degenerativo (demenze, patologia di alzheimer); alle dipendenze (alcool dipendenza, tossicodipendenza, prodigalità, oniomania); ma anche a quelle condizioni morbose transitorie che siano suscettibili di un'evoluzione positiva. - Ai sensi dell'art. 404 c.c., sussistenza di un'infermità o di una menomazione fisica, che privino la parte (anche parzialmente e in via temporanea) della capacità di provvedere ai propri interessi, personali o patrimoniali. Il riferimento è alle più svariate patologie fisiche, ivi compresi gli stati vegetativi e il coma; gli ictus, le malattie terminali; così come i deficit sensoriali (cecità, sordomutismo, ecc.). - Ai sensi dell'art. 1 legge n. 6/2004, sussistenza di una condizione di inadeguatezza gestionale, non necessariamente dovuta ad una patologia, ma caratterizzata dalla mancanza in tutto o in parte di autonomia nell'espletamento delle funzioni della vita quotidiana.
Secondo l'art. 404 c.c., per infermità si intende normalmente l'infermità mentale. In ogni caso, si ritiene che “l'infermità mentale rilevante per giustificare la nomina dell'amministratore di sostegno sia qualsiasi condizione morbosa che colpisca l'individuo rendendolo totalmente o parzialmente inabile alle normali attività della vita di relazione (…)”, tenuto conto della specificità della condizione sociale del soggetto, della natura e della consistenza dei propri interessi patrimoniali, nonché, in generale, dell'insieme degli atti che attengano alla propria vita familiare e ai propri doveri verso di sé. Quanto, invece, alla menomazione psichica, essa si identifica con “l'indebolimento delle facoltà intellettive che non sfocia nella malattia mentale”. In essa rientrano, pertanto, come vedremo dalla disamina della casistica riportata di seguito, tutta una serie di forme di disagio psichico di varia entità, nonché diverse condizioni di fragilità che possono compromettere l'autonomia della persona nella gestione dei propri interessi (patologie depressive, sindrome di Down, insufficienza mentale, autismo, ecc.). In ogni caso, si richiede che l'infermità mentale o la menomazione psichica abbiano una minima persistenza temporale. Possono, comunque, ricomprendersi nelle definizioni sopraindicate anche le cosiddette sindromi intermittenti: ciò significa che l'infermità mentale non deve essere continuativa, ma può sussistere ugualmente in presenza di sindromi intervallate da ricorrenti significativi periodi di reintegrazione psichica, laddove i cosiddetti intervalli lucidi non siano tali da escludere la necessità di un provvedimento di protezione del soggetto. Invece, le infermità o menomazioni fisiche consistono in qualsiasi alterazione nel corpo, che lasci anche intatta la sfera cognitiva e volitiva, ma che incida sull'autonomia della persona. Le condizioni di infermità o le menomazioni fisiche o psichiche devono essere attuali, ovvero debbono sussistere al momento in cui si richiede la predisposizione della misura: ciò significa che non potrà farsi luogo alla misura di protezione,se le manifestazioni morbose abbiano esaurito la loro fase attiva e se, al momento dell'accertamento, non presentano più sintomi; ciò significa, inoltre, che, tendenzialmente, la misura non potrà essere attivata nel momento in cui la patologia non si sia ancora manifestata. Ai sensi dell'art. 404 c.c., si potrà applicare l'amministrazione di sostegno quando le condizioni di infermità o le menomazioni fisiche o psichiche abbiano come conseguenza quella di privare la parte (anche parzialmente e in via temporanea) della capacità di provvedere ai propri interessi. Il riferimento non è soltanto agli affari di natura patrimoniale o finanziaria, ma a tutti gli interessi della persona, tra i quali vi sono naturalmente la cura della propria salute, l'adempimento dei propri doveri familiari e pubblici (basti pensare agli adempimenti fiscali, previdenziali, amministrativi, ecc.), nonché la gestione di aspetti negoziali, sociali, relazionali. L'impossibilità potrà essere anche solo parziale, il che significa che un soggetto potrà essere in grado di gestire una certa categoria di interessi, ma non altri (ad esempio quelli personali, ma non quelli patrimoniali; e viceversa). Inoltre, l'impossibilità potrà essere anche temporanea, laddove il soggetto sia affetto da una patologia per la quale si possa ragionevolmente prevedere un miglioramento, o comunque un'evoluzione. In tal caso, l'amministrazione di sostegno potrà essere disposta per un periodo di tempo determinato (amministrazione a termine), con riserva di un'eventuale proroga o con successiva cessazione della misura, nel caso in cui ne vengano meno i presupposti applicativi. Infine, va sottolineato che la connessione tra l'infermità o la fragilità del soggetto debole e l'incapacità di provvedere ai propri interessi è una condizione indispensabile per la predisposizione della misura, di modo che, in assenza di tale collegamento, potrebbe ritenersi affetto da nullità un provvedimento che, ad esempio, disponga l'amministrazione in ragione della mera esistenza di un'infermità mentale. Ci si è chiesti se nei confronti di tutti quei soggetti che versino in uno stato vegetativo o comatoso sia applicabile l'amministrazione di sostegno o se sia preferibile disporre l'istituto dell'interdizione. La questione è stata oggetto di un vivace dibattito in ambito giurisprudenziale, con un'evoluzione interpretativa che è oggi orientata nel senso di ritenere possibile il ricorso all'amministrazione di sostegno laddove sia sufficientemente adeguata a garantire la piena tutela dei predetti soggetti. Ciò in linea con l'orientamento espresso dalla Suprema Corte (Cass. civ. 12 giugno 2006, n. 13584), la quale ha affermato che “il criterio da adottare al fine di stabilire di volta in volta quale sia, in particolare, tra l'amministrazione di sostegno e l'interdizione, la misura più idonea alla protezione del soggetto debole, non potrebbe essere individuato con riguardo ad un elemento meramente quantitativo” e, cioè, tenendo conto del quantum dell'incapacità dalla quale il soggetto da proteggere è affetto come sarebbe confermato anche dalla formulazione dell'art. 404 c.c. introdotto dalla legge 6/2004, che indica come beneficiario dell'amministrazione di sostegno chi si trovi nella impossibilità, anche parziale e temporanea, di provvedere ai propri interessi, cosi lasciando intendere che essa possa essere anche totale e permanente. Il discrimen consisterebbe piuttosto nell'idoneità dell'uno o dell'altro istituto ad assicurare la protezione più adeguata del soggetto cui esso va applicato. La giurisprudenza di merito ha tendenzialmente seguito la linea interpretativa dettata dalla Cassazione, pur con qualche orientamento contrastante. Un Tribunale di merito (Trib. Reggio Emilia 4 novembre 2006), con decreto, con riferimento ad un soggetto in coma vegetativo a seguito di un episodio di arresto cardiocircolatorio, ha disposto l'apertura dell'amministrazione di sostegno, sottolineando che: «il legislatore (…) ha inteso avere riguardo all'intero spettro delle incapacità, come si desume dal fatto che al n. 3 dell'art. 405 ha previsto,come possibile oggetto dell'incarico, gli atti che l'amministratore può compiere in rappresentanza esclusiva (“in nome e per conto”) della persone, al successivo n. 4 della medesima disposizione, gli atti che la persona stessa può compiere solo con l'assistenza dell'amministratore». Anche altro Tribunale (Trib. Roma 28 giugno 2006), con riferimento ad un soggetto incosciente, tetraplegico, alimentato per via parenterale in seguito a complicanze sorte nel corso di un intervento chirurgico, ha disposto l'apertura dell'amministrazione di sostegno ritenendola misura in grado di soddisfare le esigenze di tutela, sia perché il soggetto interessato godeva dell'assistenza dei familiari e dei sanitari, sia perché non era possibile prevedere la durata dello stato di incapacità, né le eventuali possibilità di recupero. ll giudice Tutelare di altro Tribunale (Trib. Varese, 5 marzo 2006) mutando indirizzo, rispetto al proprio precedente orientamento, ha disposto l'amministrazione di sostegno in favore di una beneficiaria in coma post anossico e portatrice di cannula tracheale. Il giudice, richiamandosi alla citata linea interpretativa della Corte di Cassazione, ha ritenuto di poter applicare la misura di protezione meno afflittiva, dato che il soggetto in coma o in stato vegetativo, di per sé, non può essere né autolesivo, né eterolesivo, risultando così superfluo fare ricorso all'istituto di tutela più restrittivo. In conclusione, dunque, deve ritenersi che l'amministrazione di sostegno possa essere utilizzata anche nel caso di soggetti in coma o in stato vegetativo, purché sia adeguata a garantirne la miglior protezione. Ciò in linea con la stessa Corte di Cassazione, che, in contrasto con l'indirizzo per il quale l'individuo in stato di incoscienza non percepirebbe l'effetto stigmatizzante che connota l'istituto interdittivo nella sentenza, ha sottolineato che: «il soggetto potrebbe non essere in grado di compiere gli atti della vita quotidiana, né di mantenere, una,pur limitatissima, vita di relazione, o di rendersi conto della realtà che la circonda. e tuttavia la dignità della persona, che potrebbe essere violata da strumenti troppo invasivi, è valore da garantire e preservare, anche se il soggetto non ne abbia consapevolezza»(Cass. civ. 24 luglio 2009, n.17421). Le misure di protezione sugli inabilitati
La misura dell'amministrazione di sostegno trova applicazione anche in alcune fattispecie tradizionalmente riconducibili all'istituto dell'inabilitazione. Ci si riferisce, in particolar modo, alle ipotesi di prodigalità e di utilizzo abituale di sostanze alcooliche o stupefacenti. L'art. 415 comma 2 c.c. dispone, infatti, che possono essere sottoposti ad inabilitazione «coloro che, per prodigalità o per abuso abituale di bevande alcoolici che o di stupefacenti,espongono sé o la loro famiglia a gravi pregiudizi economici». Secondo la definizione corrente, la prodigalità consiste in un impulso patologico che inficia la capacità del soggetto di valutare il significato economico dei propri atti e che lo spinge ad un'eccessiva liberalità nel donare e nello spendere. Di contro, non rientrano nella condotta prodigale né l'inettitudine agli affari (ovvero la cattiva capacità di amministrazione, cioè l'incapacità di gestire vantaggiosamente il proprio patrimonio e la tendenza ad effettuare scelte finanziarie o forme di investimento fallimentari), né la condotta, relativamente pregiudizievole e derivante da scelta consapevole, che sia in qualche modo giustificabile in ragione delle ingenti disponibilità patrimoniali o da una consuetudine familiare alla spesa (Cass. civ., 3 dicembre 1988,n. 6549) Inoltre, perché si integri una condotta prodigale è necessario che il motivo per cui sono sperperate le sostanze sia da considerare obiettivamente futile e frivolo: le spese sconsiderate che il soggetto compie devono essere prive di alcuna utilità e non devono essere riconducibili a finalità o motivazioni che abbiano una loro sensatezza o una loro intrinseca coerenza (Cass. civ., 13 ottobre 2017, n. 786). All'ambito della prodigalità, si riconducono anche altre condotte, tra cui la dedizione al gioco d'azzardo, ovvero la ludopatia, nonché la cosiddetta oniomania, ovvero la tendenza all'acquisto compulsivo correlata all'incapacità di valutare in maniera obiettiva le proprie disponibilità economiche e a un'alterazione del rapporto col denaro (shopping compulsivo). La ludopatia o dipendenza da gioco costituisce un fenomeno in costante incremento: basti pensare all'intensificarsi dell'apertura di sale giochi e di spazi dedicati alle slot machine ne gli esercizi commerciali delle nostre città. Il disturbo di gioco d'azzardo è una vera e propria forma di dipendenza, classificato nel DSM V nel capitolo relativo a Substance-Related and addictive Disorders: la stessa ricerca neurobiologica e la neuroimaging hanno mostrato sovrapposizioni dei diversi quadri di addiction, evidenziando che, mentre è in atto il comportamento di gioco o vengono effettuate delle scommesse, l'organismo si trova in uno stato fortemente eccitatorio e rilascia endorfine così come avviene tramite l'assunzione di sostanze stupefacenti. L'oniomania non è invece classificata espressamente tra i disordini mentali dal manuale di DSMV, ma è di norma considerata un disturbo psicologico del controllo degli impulsi, e implica, quindi, una sorta di menomazione psichica. Con riferimento a questi temi, la giurisprudenza si è a lungo interrogata intorno ad un quesito di non facile soluzione, domandandosi se e quando l'ordinamento abbia titolo di intervenire oblativamente sulla capacità di agire di una persona, che disponga nei termini predetti delle proprie sostanze. Il quesito acquista particolare pregnanza nel caso in cui la condotta di sperpero riguardi un soggetto agiato e capace di intendere e di volere, che voglia “vivere dilapidando il proprio patrimonio alla costante ricerca di piaceri che i comuni mortali non possono permettersi”(Trib. Modena 25 settembre 2006). L'amministrazione di sostegno ha, poi, incontrato applicazione come utile strumento di protezione nei confronti di soggetti che, in ragione della propria dipendenza patologica, abbiano perduto autonomia e capacità gestionale. Tuttavia, la possibilità di un utilizzo della misura a finalità terapeutiche e riabilitative è di norma subordinata all'adesione da parte della persona. Più difficile, invece, è il tema della possibilità per l'amministratore di sostegno di imporre al beneficiario riluttante di sottoporsi a determinati programmi di recupero, oppure di accettare il ricovero in strutture comunitarie con finalità di disintossicazione. Tra i provvedimenti in materia, merita di essere segnalato, per la posizione assunta dal giudice, il decreto di un Tribunale (Trib. Milano 13 dicembre 2007), relativo al caso di una ragazza affetta da dipendenza da stupefacenti e da disturbo borderline di personalità, con un quadro clinico caratterizzato da abuso di eroina per endovenosa, cocaina per endovenosa, cannabinoidi, in condizione generale di grave deperimento fisico. La giovane, dopo un ricovero presso una casa di cura, aveva preteso di essere dimessa anticipatamente, rifiutando ogni percorso terapeutico per poi condurre una vita sregolata, da strada, frequentando gruppi di pregiudicati, e prostituendosi. I genitori avevano, quindi, presentato ricorso per la nomina dell'amministratore di sostegno, a seguito del quale il giudice tutelare aveva nominato un amministratore di sostegno in via provvisoria e urgente, affermando che “anche la sola condizione di tossicodipendenza, ancorché frutto di scelta originariamente consapevole, possa porre i soggetti in uno stato di alterazione psico-fisica, non soltanto nel momento dell'assunzione della sostanza, ovvero all'opposto nella fase critica di astinenza …, bensì anche come condizione di base caratterizzata da minorate capacità volitive e intellettive, comunque compromesse o appannate da quella dipendenza da sostanze che diviene il motore e l'obiettivo univoco dell'esistenza”.
Ci si è chiesti se la senilità possa giustificare di per sé un provvedimento di amministrazione di sostegno, in quanto dalla stessa emergerebbero delle menomazioni psichiche. In una società che vede in crescente aumento l'aspettativa di vita media e il costante innalzamento dell'età della popolazione, si tratta di un quesito non certo di scuola, ma potenzialmente ricco di notevoli conseguenze sul piano pratico. Tuttavia, se è vero che, con la vecchiaia, le capacità cognitive possono affievolirsi, così come possono subentrare patologie tali da compromettere, in vario modo, l'autonomia di una persona, d'altra parte, lo spirito della legge non può essere stravolto al punto da applicare la misura di protezione in via preventiva o cautelativa nei confronti di una parte così ampia della popolazione, solo in considerazione dell'età avanzata. La senilità, pertanto, non può costituire da sola presupposto per l'applicazione della misura. Coerentemente con l'impianto del sistema, la giurisprudenza, fin dalle prime applicazioni dell'istituto, ha richiamato la necessità di far luogo alla predisposizione della misura di protezione nei confronti di soggetti anziani solo in presenza dei presupposti di cui all'art. 404 c.c. (infermità o menomazione fisica o psichica, che compromettano la capacità delsoggetto di attendere ai propri interessi) o, al limite, dell'art. 1 della legge n. 6/2004 (inadeguatezza gestionale) affermando che “l'età avanzata non può essere, di per sé stessa, presupposto fondante di un provvedimento di amministrazione di sostegno; ciò che, invece, può darsi quando la vecchiaia possa determinare una limitazione apprezzabile delle funzioni della vita quotidiana” (Trib. Modena, 16 marzo 2018). Si è così precisato che l'amministrazione di sostegno: “non può essere applicata a coloro che, pur essendo affetti da menomazione fisica o da altre limitazioni a causa dell'età, mantengano integre le proprie funzioni cognitive e siano, pertanto, in grado di organizzare la propria quotidianità, conferendo in piena autonomia a persone di loro fiducia la gestione dei propri interessi” (Trib. Roma 26 maggio 2008). Ne discende che, per escludere l'applicazione della misura, non occorre che la persona anziana sia perfettamente in grado di attendere a tutte le proprie necessità, alla stessa stregua di un soggetto più giovane, ma è sufficiente che essa, pur limitata, abbia le capacità cognitive per decidere liberamente da chi farsi aiutare. Al di là di specifiche patologie, infatti, potrebbero comunque emergere particolari situazioni di debolezza psichica tali da richiedere, specie in relazione alle condizioni personali e patrimoniali del soggetto, adeguate forme di sostegno. Si segnala, in particolare che, anche a fronte di un quadro neurologico adeguato e privo di alterazioni significative, potrebbero riscontrarsi condizioni tipicamente associate alla senilità, come la cosiddetta “rigidità o tendenza alla perseverazione” ovvero la tendenza “ad applicare in modo ripetitivo schemi precedenti, nonostante la situazione richieda un adattamento, un cambiamento, cioè un nuovo assetto mentale”. Organizzazioni mentali di questo tipo, di norma prive di ricadute significative, possono rivelarsi particolarmente pericolose nel caso di soggetti che, nonostante l'età avanzata, rivestano ancora ruoli professionali importanti con funzioni direttive e con ampia capacità decisionale. Si pensi ad esempio all'ipotesi in cui un anziano imprenditore, lucido ma affetto da “tendenza alla perseverazione” possa gestire la propria azienda assumendo decisioni basate su schemi stereotipati e rigidi, senza saper valutare le mutate condizioni del mercato e compiendo così atti gravemente pregiudizievoli per sé e per la sua impresa. Situazioni simili possono certamente legittimare l'applicazione di una misura di protezione, anche solo riferita agli aspetti patrimoniali, onde evitare il prodursi di conseguenze estremamente dannose per la parte e per la sua attività imprenditoriale (Corte App. Bologna, 23 novembre 2007). Se, dunque, la vecchiaia in sé non legittima un automatico ricorso alla misura di protezione, è pur vero che ad essa sono associate molteplici patologie gravemente invalidanti e in grado di compromettere anche in maniera assoluta l'autonomia dell'individuo. Basti pensare alla notevole diffusione di malattie degenerative, come la demenza o la malattia di alzheimer, nonché agli esiti di patologie acute, come ictus, infarti e altre cardiopatie, che, nelle fasi avanzate dell'età, hanno un'incidenza più frequente e presentano le conseguenze più dannose. È dunque inevitabile che l'amministrazione di sostegno trovi larga applicazione nella fascia più anziana della popolazione, in quanto affetta da tali disturbi. I cittadini stranieri
Il tema dell'applicabilità dell'amministrazione di sostegno ai cittadini stranieri non è di poco conto, perché, a fronte del costante incremento del fenomeno migratorio, c'è da ritenere che la questione si porrà con sempre maggiore frequenza e richiederà risposte chiare e tempestive. La materia, attualmente, è regolata dagli articoli 43 e 44 l. n. 218/95 (Riforma del sistema italiano del diritto internazionale privato), che disciplinano, rispettivamente, la legge applicabile e la giurisdizione in tema di protezione dell'incapace straniero. Ai sensi dell'art. 44, la giurisdizione del giudice italiano sussiste, oltre che nei casi previsti dagli articoli 3 (convenuto domiciliato o residente in Italia) e 9 della medesima legge, (quando il provvedimento richiesto concerne un cittadino italiano o una persona residente in Italia o quando esso riguarda situazioni o rapporti ai quali è applicabile la legge italiana), anchequando è necessario proteggere, in via provvisoria e urgente, la persona o i beni dell'incapace che si trovino in Italia; oppure quando è necessario modificare o integrare un provvedimento straniero riconosciuto ai sensi dell'art. 66 della medesima legge. Per quanto concerne la legge applicabile nel caso di cittadini stranieri, l'art.43l. n. 218/1995 dispone che “i presupposti e gli effetti delle misure di protezione degli incapaci maggiori di età, nonché i rapporti fra l'incapace e chi ne ha la cura, sono regolati dalla legge nazionale dell'incapace”. Ciò nonostante, una parte della giurisprudenza di merito continua a seguire un'applicazione rigorosa dell'art.43 l. n.218/1995, escludendo la possibilità di ricorrere all'amministrazione di sostegno e facendo invece luogo all'interdizione, laddove il Paese di origine del cittadino straniero non preveda un istituto assimilabile alla misura di protezione di cui alla l. n.6/2004. Con riferimento a questa posizione, si segnala la sentenza di un Tribunale (Trib. Alessandria 21 aprile 2010) emessa con riguardo ad una cittadina albanese. L'organo giudicante, pur affermando la giurisdizione del giudice italiano in materia di misure di protezione nei confronti del cittadino straniero residente in Italia, ha precisato di dover applicare la legge nazionale di quest'ultimo, salvo il caso di provvedimenti urgenti come la nomina di un tutore provvisorio. Più precisamente, il Tribunale ha pronunciato l'interdizione della cittadina albanese residente in Italia, applicando il codice di famiglia di quel Paese, cui il nostro ordinamento rinvia, che non prevede la misura dell'amministrazione di sostegno (Trib. La Spezia 10 marzo 2011). In conclusione
Il ruolo centrale dell'amministratore di sostegno, unitamente al giudice tutelare che lo nomina, pone l'accento sulla funzione di protezione dei soggetti deboli, che nel panorama della disciplina codicistica (art. 404 e ss c.c.) e della l. n.6/2004, mira a tutelare un ampio numero di beneficiari, aventi particolari patologie e non solo. Tale misura di protezione è applicabile sia nei confronti d beneficiari con infermità o le menomazioni fisiche o psichiche, anche parziali, nonchè alle fattispecie tradizionalmente riconducibili all'istituto dell'inabilitazione, in particolar modo, alle ipotesi di prodigalità e di utilizzo abituale di sostanze alcooliche o stupefacenti, anche alle patologie legale all'invecchiamento nonché, in determinati casi, nei confronti dei cittadini stranieri. L'istituto giuridico più adottato nei nostri Tribunali è proprio caratterizzato dalla duttilità ed applicabilità nelle diverse fattispecie, al fine di poter far fronte alle esigenze ed alle difficoltà dei più bisognosi, senza limitarne del tutto la loro capacità d'agire. Riferimenti
Frivoli, La responsabilità dell'amministratore di sostegno in Il Familiarista, 2021; Masoni, Amministratore di sostegno, in Il Familiarista, 2021; Mercanti, Amministratore di sostegno e conflitto di interessi: quali soluzioni?, in Il Familiarista, 2021; Masoni, Amministratore di sostegno: procedimento, in Il Familiarista, 2016.
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