Figlio maggiorenne con disabilità: mantenimento e assegnazione della casa famigliareFonte: Trib. Monza , 22 aprile 2021
30 Novembre 2021
Massima
In presenza di un figlio maggiorenne, portatore di handicap grave trovano applicazione, ai sensi dell'art. 337-septies c.c., le disposizioni relative al mantenimento e all'assegnazione della casa coniugale dettate per i figli minori. Non possono essere assunti provvedimenti di affidamento di un figlio maggiorenne, anche se portatore di handicap grave, che si presume capace di intendere e di volere sino a quando non intervenga un diverso provvedimento nell'ambito di un giudizio di interdizione o di amministrazione di sostegno. Il caso
Alla luce della CTU espletata sulla figlia nel corso del giudizio, il resistente richiedeva, in via principale, di potersi prendere cura di questa in via diretta ed esclusiva. Conseguentemente chiedeva la revoca dell'assegno di mantenimento della figlia poiché quarantenne laureata nella possibilità di rendersi autosufficiente economicamente. Insisteva altresì per ottenere l'assegnazione della casa coniugale e la revoca dell'assegno di mantenimento nei confronti della moglie, non sussistendo i motivi giustificanti la previsione di un assegno divorzile. La moglie resisteva richiedendo la conferma di quanto previsto nell'omologa di separazione. Domandava perciò l'assegnazione della casa famigliare in quanto corrispondente all'interesse della figlia maggiorenne e non economicamente autosufficiente, il mantenimento in favore della figlia e la concessione dell'assegno divorzile. La questione
Quali sono le condizioni di applicazione dell'art. 337-septies comma 2 c.c.? Le soluzioni giuridiche
A fronte della divergente prospettazione delle parti, il Tribunale ha in prima battuta valutato se la figlia versasse in una situazione di inerzia nel raggiungimento dell'indipendenza economica. Espletata la CTU è emerso che la figlia dei coniugi soffriva di un disturbo dello spettro della schizofrenia e che necessitava di un percorso terapeutico riabilitativo continuo presso una struttura comunitaria. La CTU evidenziava altresì l'impossibilità per il soggetto di sostenere un'attività lavorativa continua a causa dell'assenza di consapevolezza della malattia che la portava ad una discontinuità di cura e abbandono del programma terapeutico. Alla luce delle risultanze, il Tribunale ha concluso ritenendo che la figlia versasse in una situazione personale tale da renderla inidonea allo svolgimento di un'attività lavorativa, il che consentiva di escludere l'inerzia nel raggiungimento dell'indipendenza economica. Richiamando un proprio precedente, i giudici hanno applicato l'art. 337-septies c.c. in forza del quale si applicano al figlio maggiorenne portatore di un handicap grave le disposizioni relative al mantenimento e all'assegnazione della casa coniugale. Secondo il Tribunale, poi, nel caso di specie non possono, invece, essere assunti provvedimenti di affidamento di un figlio maggiorenne portatore di handicap grave se non a seguito di provvedimenti di tutela (p.e. amministrazione di sostegno) in linea con quanto stabilito dalla Corte di Cassazione. Per questo motivo, la domanda del ricorrente di poter provvedere direttamente ed esclusivamente alla figlia non è stata accolta. La maggiore età della figlia, infatti, ha escluso qualsiasi disamina del regime di affido e collocamento della stessa. Inoltre, dovendosi applicare le disposizioni relative ai figli minorenni per l'assegnazione della casa famigliare, la casa è rimasta assegnata alla resistente. Sin dalla separazione, la figlia infatti ha vissuto nella casa con la madre e nel corso del processo non è emerso la volontà di modificare tale impostazione. Il Tribunale infine ha statuito l'attribuzione di un assegno di mantenimento da parte del ricorrente a favore della figlia, da versare tuttavia alla madre vista la situazione medico-clinica della giovane donna Il giudizio si è completato con l'invio degli atti alla procura per l'assunzione di ogni iniziativa a tutela degli interessi della figlia Osservazioni
Il mantenimento della figlia maggiorenne non economicamente autosufficiente è da ritenersi la questione spinosa della sentenza del Tribunale di Monza. Centrale risulta a tal proposito l'art. 337-septies c.c. che in seguito al d.lgs 28 dicembre 2013, n. 154 riproduce quasi integralmente l'abrogato art. 155-quinquies c.c. La disposizione infatti disciplina il caso del mantenimento del figlio maggiorenne differenziando i motivi per giustificare il ricorso a tale misura assistenziale: nel primo comma è richiesta la non indipendenza economica, nel secondo caso invece un handicap grave. Se l'obbligo di mantenimento gravante sul genitore non cessa con il raggiungimento della maggiore età da parte del figlio, tuttavia, questo non può protrarsi illimitatamente nel tempo. Cessa qualora il figlio contragga matrimonio o, comunque, costituisca un nuovo nucleo familiare (Cass. n. 1830/2011); oppure qualora il figlio ingiustificatamente rifiuti un'occasione di lavoro e di guadagno o sia colpevolmente inerte nel conseguimento di un titolo di studio o di una possibile occupazione remunerativa (Cass. n. 27377/2013; Cass. n. 21752/2020). L'inerzia, dunque, nel raggiungimento dell'indipendenza economica è oramai un elemento per poter negare l'assegno di mantenimento al figlio maggiorenne. Le risultanze della CTU hanno dimostrato, tuttavia, come la situazione economica della figlia non dipendesse da una sua inerzia, quanto piuttosto da una malattia mentale non adeguatamente curata. Il tribunale ha ritenuto perciò che la condizione medico-clinica della figlia fosse così grave da poter applicare l'art. 337-septies. È pur vero che nella motivazione non è stato dato riscontro dell'art. 37- bis delle disp. att. c.c. Tale articolo fornisce un'interpretazione disponendo che i soggetti a cui si applica il 337-septies comma 2 c.c. sono coloro i quali siano portatori di handicap ai sensi dell'art. 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104. In base a quest'ultimo articolo deve ritenersi handicap grave “qualora la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l'autonomia personale, correlata all'età, in modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione”. Tuttavia, tale lacuna non è tale da inficiare, a parere di chi scrive, il giudizio espresso dal Tribunale. Nel giro infatti di pochi mesi la Corte di Cassazione ha affrontato un caso analogo e, con l'ordinanza n. 21819/2021 ha precisato che il giudice deve verificare non solo che il figlio sia portatore di un handicap, ma che questo sia grave al punto da richiedere un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione. In caso contrario, la condizione giuridica del figlio è assimilabile non a quella dei minori bensì allo status giuridico dei figli maggiorenni. Nella pronuncia in esame, la risultanza della CTU ha dimostrato come la figlia delle parti non fosse in grado di poter svolgere un'attività lavorativa se non avesse affrontato prima un percorso terapeutico-riabilitativo. Il Tribunale di Monza, perciò, ha coerentemente inquadrato la fattispecie anticipando, rispetto alla pronuncia della Corte di Cassazione, una sensibilità per la tutela delle persone fragili e vulnerabili.
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