Improcedibilità: nessun dubbio sulla legittimità costituzionale del regime transitorio
01 Dicembre 2021
L'improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione supera il suo primo “test”.
L'istituto - introdotto dalla riforma Cartabia e in vigore dal 19 ottobre 2021 - e in particolar modo il regime transitorio previsto dall'art. 2 comma 3 l. n. 134/2021 sono stati oggetto per la prima volta di una pronuncia di legittimità (ord. n. 43883/2021).
Il citato art. 2 comma 3 prevede che le disposizioni di cui all'art. 344-bis c.p.p. «si applicano ai soli procedimenti di impugnazione che hanno ad oggetto reati commessi a far data dal 1° gennaio 2021». Tale previsione, secondo la settima sezione penale della Cassazione, non presenta profili di illegittimità costituzionale, come invece sostenuto dalla Difesa.
La questione di legittimità costituzionale era stata sollevata sostenendo che l'istituto dell'improcedibilità abbia natura sostanziale e non processuale, con tutte le conseguenze che ne derivano in tema di prevedibilità della sanzione e retroattività della norma più favorevole al reo. Pertanto limitarne l'efficacia nel tempo integrerebbe una violazione degli artt. 3, 25 e 111 Cost., e quindi del principio del favor rei, oltre a porre in essere una disparità di trattamento ingiustificata tra soggetti che si trovano nella stessa situazione.
I giudici di legittimità hanno ritenuto la questione manifestamente infondata in quanto la previsione di un regime transitorio è funzionale all'esigenza di coordinamento con la riforma introdotta dalla legge 9 gennaio 2019, n. 3, in materia di sospensione del termine di prescrizione nei giudizi di impugnazione, anch'essa applicabile ai reati commessi dal 1° gennaio 2020, oltre ad essere ragionevole la graduale introduzione dell'istituto per consentire un'adeguata organizzazione degli uffici giudiziari.
Spiegano infatti i giudici in motivazione: «[…] la modulazione processuale del regime transitorio previsto dalla legge 134/2021 può ben correlarsi non solo all'esigenza di coordinamento con l'impianto delle precedenti riforme (e, in particolare, con le modifiche di cui alla legge n. 3 del 2019, che giustifica la limitata retroattività ai reati commessi a far data dal 1 gennaio 2020, ovvero il termine previsto per l'entrata in vigore delle disposizioni che hanno disposto la sospensione del termine prescrizionale nei giudizi di impugnazione), ma anche alla necessità di introdurre gradualmente nel sistema processuale un istituto così radicalmente innovativo, sicché ha la sua ragionevolezza la previsione di un periodo finalizzato a consentire un'adeguata organizzazione degli uffici giudiziari. Né si apprezza la fondatezza dell'ulteriore profilo di disuguaglianza di trattamento denunziato dalla difesa nella parte finale della sua memoria. L'impossibilità di far valere l'improcedibilità per i reati commessi prima del 1 gennaio 2020 trova il suo ragionevole fondamento nella circostanza che per tali reati non opera la normativa della citata legge n. 3/2019, relativa alla sospensione del termine prescrizionale dopo la sentenza di primo grado, per cui non può ritenersi che vi sia una disparità di trattamento ingiustificata tra soggetti che si trovano nella medesima situazione».
Infine la Suprema Corte ha altresì precisato che l'inammissibilità del ricorso per cassazione – come avvenuto nel caso di specie -, impedendo la costituzione di un valido rapporto processuale, preclude l'eventuale declaratoria di improcedibilità. |