La tutela della coesione familiare tra ordine pubblico ed interesse del minore
29 Novembre 2021
Massima
In tema di autorizzazione all'ingresso o alla permanenza in Italia del familiare di minore straniero che si trova nel territorio italiano, ai sensi dell'art. 31, comma 3, d.lgs. n. 286 del 1998, il diniego non può essere fatto derivare automaticamente dalla pronuncia di condanna per uno dei reati che lo stesso testo unico considera ostativi all'ingresso o al soggiorno dello straniero, tuttavia detta condanna è destinata a rilevare in quanto suscettibile di costituire una minaccia concreta ed attuale per l'ordine pubblico o la sicurezza nazionale da porsi in bilanciamento con l'interesse del minore, al quale la norma, in presenza di gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico, attribuisce valore prioritario ma non assoluto. Il caso
Due cittadini extracomunitari, in proprio e nella qualità di esercenti la potestà genitoriale sul figlio minore, proponevano ricorso avverso il decreto con il quale la Corte d'Appello di Bologna aveva rigettato il reclamo dai medesimi proposto avverso il decreto del Tribunale per i Minorenni di Bologna con cui era stata rigettata la richiesta di permesso di soggiorno a norma dell'art. 31, comma 3, d.lgs n. 286/1998. La valutazione del giudice di merito era fondata sia sulla condanna penale riportata dall'istante che sull'interesse del minore. Con il ricorso per cassazione articolato in un'unica censura i ricorrenti deducevano la violazione o falsa applicazione dell'art. 31,d.lgs n.286/1998 nonché l'illogicità della motivazione per avere il giudice di merito omesso totalmente di effettuare una valutazione prognostica in ordine al pericolo di danno grave ed irreparabile per lo sviluppo psicofisico del minore. La questione
La questione oggetto dell'ordinanza attiene al rilascio dell'autorizzazione all'ingresso o alla permanenza in Italia del familiare ex art. 31, d.lgs. n. 286 del 1998 allorché l'istante abbia riportato condanne per reati ostativi con il suo soggiorno nel territorio italiano e debba quindi operarsi un bilanciamento tra le esigenze di tutela dell'ordine pubblico e l'interesse del minore. Le soluzioni giuridiche
Con la pronuncia in esame la Corte ha ritenuto il motivo di ricorso manifestamente infondato oltre che inammissibile. Ha argomentato che in tema di autorizzazione all'ingresso o alla permanenza in Italia del familiare di minore straniero che si trova nel territorio italiano, ai sensi dell'art. 31, comma 3, d.lgs. n. 286/1998, in presenza di ragioni ostative alla concessione quali la sussistenza di condanne per una serie di reati, il giudice di merito è chiamato ad effettuare un giudizio di bilanciamento tra l'interesse all'ordine pubblico e quello alla sicurezza nazionale da una parte e quello del minore dall'altra. Ciò posto, nella specie, la Corte ha ritenuto che il giudice di merito si sia attenuto a tale principio avendo valutato, da un lato, la condanna con sentenza definitiva del padre del minore in territorio italiano per il reato di cessione illecita di stupefacenti nonché il suo coinvolgimento in un'operazione di polizia che ha riguardato 91 persone di nazionalità albanese, e, dall'altro, l'insussistenza di un effettivo radicamento del minore sul territorio italiano, quali la frequentazione dell'asilo nido, non avendo peraltro i genitori costruito significative relazioni sociali in Italia ove non possono contare neppure su un'adeguata rete di supporto parentale, e non sussistendo neanche ragioni di salute del minore che possano giustificare la sua presenza in Italia. La Corte inoltre, dopo aver ritenuto che il giudice del merito abbia effettuato una compiuta valutazione degli interessi in conflitto, ha concluso che le censure dei ricorrenti siano in realtà finalizzate a sollecitare una rivisitazione del giudizio di merito, preclusa in sede di legittimità. La pronuncia de qua si inscrive nella tematica del ricongiungimento familiare la cui disciplina si rinviene nel testo unico in tema di immigrazione mediante la c.d. clausola di salvaguardia di cui all'art. 5, comma 5, e l'art. 31 comma 3. La ratio di tali previsioni, che costituiscono una deroga alle altre disposizioni del d.lgs. n. 286/1998, sulla presenza dello straniero sul territorio nazionale, va individuata in una incisiva protezione del diritto del minore alla famiglia ed a mantenere rapporti continuativi con entrambi i genitori. Va per di più considerato che l'art. 31 individua due differenti ipotesi, l'autorizzazione all'ingresso in Italia del genitore che si trova all'estero, ovvero alla permanenza del genitore che già si trova in Italia, da cui potrebbero derivare, una diversa valutazione dei gravi motivi. In tale ambito la valutazione che il giudice di merito è chiamato a svolgere (vedi Cass. S.U. 21799/2010) ai fini del rilascio di detta autorizzazione si incentra sulla sussistenza di gravi motivi connessi allo sviluppo psico-fisico del minore, che non richiedono necessariamente l'esistenza di situazioni di emergenza o di circostanze contingenti ed eccezionali strettamente collegate alla sua salute, potendo comprendere qualsiasi danno effettivo, concreto, percepibile ed obiettivamente grave che, in considerazione dell'età o delle condizioni di salute ricollegabili al complessivo equilibrio psico-fisico, deriva o deriverà certamente al minore dall'allontanamento del familiare o dal suo definitivo sradicamento dall'ambiente in cui è cresciuto. Si tratta di un giudizio prognostico che, alla luce delle allegazioni delle parti e dei riscontri probatori, consente di valutare se l'allontanamento del familiare possa determinare nel minore, in relazione alla sua attuale condizione di vita, un grave disagio psico-fisico dovuto al suo rimpatrio o, nell'ipotesi in cui, al rigetto della domanda debba conseguire anche l'allontanamento del minore, se il definitivo sradicamento dall'ambiente in cui è vissuto possa produrre le conseguenze pregiudizievoli previste dalla norma, tenuto conto delle condizioni di salute e dell'età. Ciò detto, va altresì considerato che l'interesse del minore, pur prioritario nella considerazione della norma, può anche essere recessivo, non avendo, come ampiamente chiarito dalla giurisprudenza della Corte EDU, sull'interpretazione dell'art. 8, carattere assoluto. In particolare, il giudizio di bilanciamento con interessi di rilievo pubblicistici, è stato chiarito dalle S.U. nella sentenza n. 15750/2019 che si è pronunciata sulla questione interpretativa sollevata dalla prima Sezione Civile consistente nello stabilire se, in presenza di minore straniero che si trovi nel territorio italiano, l'art. 31, comma 3, attribuisca o meno rilevanza, non solo in fase di re voca ma anche ai fini del rilascio dell'autorizzazione all'ingresso o alla permanenza in Italia richiesta dal familiare, al suo comportamento incompatibile con la permanenza in Italia. Secondo la lettura che il Collegio ha ritenuto preferibile, l'art. 31, comma 3, nel prevedere le attività del familiare incompatibili con le esigenze del minore o con la permanenza in Italia, presenta una ratio destinata ad esplicarsi, con una sua intrinseca coerenza, non solo nella fase successiva all'autorizzazione (per la quale è espressamente prevista la revoca in presenza di condotte contrarie agli interessi del minore o tali da turbare gravemente la tranquillità e la sicurezza della popolazione), ma anche, ab origine, ai fini del rilascio della stessa. Chiarito tale aspetto, il diniego dell'autorizzazione de qua non può essere fatto derivare automaticamente dalla pronuncia di condanna per uno dei reati che lo stesso testo unico considera ostativi all'ingresso o al soggiorno dello straniero ma detta condanna è destinata a rilevare, al pari delle attività incompatibili con la permanenza in Italia, in quanto suscettibile di costituire una minaccia concreta ed attuale per l'ordine pubblico o la sicurezza nazionale, e può condurre al rigetto della istanza di autorizzazione all'esito di un esame circostanziato del caso e di un bilanciamento con l'interesse del minore, al quale la detta norma, in presenza di gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico, attribuisce valore prioritario ma non assoluto. Osservazioni
La pronuncia in commento si inscrive nel solco tracciato da Cass., S.U. n. 15750/2019 nello stabilire che il diniego dell'autorizzazione ex art. 31 d.lgs. n. 286/1998 non può derivare tout court dalla pronuncia di condanna per uno dei reati che lo stesso testo unico considera ostativi all'ingresso o al soggiorno dello straniero ma detta condanna è destinata a rilevare, al pari delle attività incompatibili con la permanenza in Italia, in quanto suscettibile di costituire una minaccia concreta ed attuale per l'ordine pubblico o la sicurezza nazionale, nell'ambito di un esame circostanziato del caso e di un bilanciamento con l'interesse del minore, al quale la norma attribuisce valore prioritario. Nella fattispecie concreta oggetto della pronuncia in commento il diniego del rilascio in realtà non sembra porre particolari problemi, considerati da un lato i precedenti dell'istante nonché il suo attuale coinvolgimento in un'operazione di polizia e dall'altro il mancato radicamento del minore in tenera età nel territorio nazionale. Da notare che il decreto impugnato si sofferma solo sulla figura del padre mentre nulla dice circa la condizione della madre potendosi soltanto evincere che entrambi i genitori versano in condizioni economiche precarie. È evidente che tale giudizio risulti ben più problematico a fronte di situazioni di effettivo radicamento del minore nel tessuto sociale nazionale o nel caso che lo stesso abbia problemi di salute che rendano necessaria o consigliabile la permanenza in Italia. In ogni caso va sottolineata la delicatezza ed al tempo stesso il carattere relativo di tale giudizio che necessariamente risente e si modella sulle peculiarità del caso concreto e che, proprio per le molteplici sfaccettature riguardanti sia la condizione degli istanti che quella del minore, non si presta a soluzioni prevedibili ex ante. |