Impugnazioni via PEC prima e dopo la conversione del Decreto Ristori: i chiarimenti della Cassazione

03 Dicembre 2021

In tema di impugnazioni, la legge di conversione del c.d. “Decreto Ristori” consente il deposito a mezzo PEC degli atti di impugnazione di qualsiasi tipo, degli atti di opposizione e dei reclami giurisdizionali proposti successivamente alla data della sua entrata in vigore, mentre conservano efficacia...
Massima

In tema di impugnazioni, la legge di conversione del c.d. “Decreto Ristori” consente il deposito a mezzo PEC degli atti di impugnazione di qualsiasi tipo, degli atti di opposizione e dei reclami giurisdizionali proposti successivamente alla data della sua entrata in vigore, mentre conservano efficacia le impugnazioni in formato elettronico proposte anteriormente a tale data solo se sottoscritte digitalmente e trasmesse alla casella di posta elettronica certificata del giudice competente.

Il caso

Con ordinanza del 14 gennaio 2021, il Tribunale di Milano dichiarava l'inammissibilità della richiesta di riesame avverso decreto di sequestro preventivo presentata da una società, ritenendo l'impugnazione non legittimamente proposta perché trasmessa a mezzo pec.

La società ricorreva per cassazione, lamentando tra la violazione dell'art. 24, commi 4 e 5, d.l. 137/2020 - c.d. "Decreto Ristori" - e del comma 6-quinquies quale inserito dalla relativa legge di conversione n. 176/2020. Secondo la ricorrente, il citato art. 24, comma 4, che prevede la possibilità di depositare nel periodo di emergenza sanitaria presso gli uffici giudiziari "tutti gli atti, documenti e istanze comunque denominati", doveva essere inteso come riferibile anche agli atti d'impugnazione, interpretazione poi legittimata dall'espresso chiarimento di cui al comma 6-quinquies della legge di conversione. Non era invece condivisibile la contraria interpretazione dell'ordinanza impugnata e del conforme precedente di legittimità nella stessa richiamato, né era possibile opporre, in contrario, la statuizione del successivo comma 6-sexies che reputa inammissibile l'atto depositato via pec privo di firma digitale, trattandosi di requisito non previsto nell'originaria versione del decreto-legge ed inapplicabile ai depositi medio tempore effettuati prima dell'entrata in vigore della legge di conversione.

La questione

Con quali modalità telematiche si possono proporre le impugnazioni penali prima e dopo la conversione del Decreto Ristori?

Le soluzioni giuridiche

Il quadro normativo originario: impugnazioni via PEC escluse

Nel testo originario, l'art. 24, c. 4, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137, contenente disposizioni per contrastare l'emergenza da Covid-19, ha previsto che, “per tutti gli atti, documenti e istanze comunque denominati” diversi da quelli da depositare tramite Portale dei Depositi Penali (PDP), fino alla scadenza del periodo emergenziale ivi previsto è consentita l'invio con valore legale dalla casella pec inserita nel ReGIndE agli indirizzi pec degli uffici giudiziari destinatari indicati in apposito provvedimento del DGSIA, con cui sono indicate anche le specifiche tecniche relative ai formati degli atti.

Tale previsione può intendersi riferita anche alle impugnazioni? No, risponde l'ordinanza milanese senza esaminare le modifiche della legge di conversione, perché per tali atti vige il principio di tassatività inderogabile in assenza di espressa previsione, come affermato da Cass. sez. I, n. 32566/2020.

La sentenza della Suprema Corte qui in esame, da un lato, ribadisce che, contrariamente a quanto si opina in ricorso, il principio di tassatività delle modalità di presentazione delle impugnazioni delineate dagli artt. 582 e 583 c.p.p. va certamente affermato in base ad un orientamento interpretativo da tempo consolidato ma, dall'altro, che il tema nel caso di specie è da ritenersi superato dall'introduzione con legge di conversione di un'espressa previsione legislativa legittimante l'uso della pec per la presentazione delle impugnazioni penali, rispondente al predetto principio di tassatività.

La legge di conversione: estensione condizionata alle impugnazioni via PEC

Il comma 6-duinquies, infatti, prevede espressamente che, alle condizioni di cui ai commi 6-bis, 6-ter e 6-quater, il deposito a mezzo PEC si applica “a tutti gli atti di impugnazione, comunque denominati, e, in quanto compatibili, alle opposizioni di cui agli articoli 410,461 e 667, c. 4, c.p.p. e ai reclami giurisdizionali previsti dalla legge 26 luglio 1975, n. 354”. Il successivo comma 6-decies inoltre, pure inserito nel corpo dell'art. 24 d.l. 137/2020, chiarisce l'ambito di applicazione anche temporale di tale estensione e prevede che “le disposizioni di cui ai commi da 6-bis a 6-novies si applicano agli atti di impugnazione di qualsiasi tipo, agli atti di opposizione e ai reclami giurisdizionali proposti successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Fino alla suddetta data conservano efficacia gli atti d'impugnazione di qualsiasi tipo, gli atti di opposizione e i reclami giurisdizionali in formato elettronico, sottoscritti digitalmente, trasmessi a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto alla casella di posta elettronica certificata del giudice competente, ai sensi del comma 4”.

Si tratta, rileva la Cassazione nel provvedimento qui in commento, di una sorta d'interpretazione autentica delle originarie previsioni, consentendo la loro estensione agli atti di impugnazione soltanto laddove siano soddisfatte alcune condizioni, che rispondono anche alle obiezioni che avevano indotto la citata sent. 32566/2020 ad andare in contrario avviso. La disposizione, in particolare, distingue due fasi temporali:

  • impugnazioni trasmesse dall'entrata in vigore del decreto-legge fino all'entrata in vigore della legge di conversione: sono efficaci laddove ricorrano due condizioni minime necessarie, sostanzialmente riconducibili ai requisiti di ammissibilità previsti dal comma 6-sexies alle lett. a) ed e):
    • che l'atto sia stato inviato alla casella pec del giudice competente quale prevista dal quarto comma dello stesso art. 24;
    • che si tratti di atto recante sottoscrizione digitale.
  • impugnazioni proposte successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione: trovano piena applicazione i requisiti previsti dai commi da 6-bis a 6-novies;

La soluzione del caso concreto

Rileva la Corte nella sentenza in commento che l'istanza di riesame trasmessa il 2 novembre 2020 rientra pacificamente nella prima fase temporale e che, alla luce del quadro normativo sopra delineato, non soddisfa nessuno dei due requisiti di legge, sicché la sopravvenuta disposizione d'interpretazione autentica invocata in ricorso, pur non esaminata dall'ordinanza impugnata, non può trovare applicazione.

a) PEC

In primo luogo, l'atto non risulta trasmesso ad uno degli indirizzi previsti per il Tribunale di Milano dal provvedimento del Direttore del DGSIA del 9 novembre 2020, adottato in forza dell'art. 24, comma 4, d.l. n.137/2020. La previsione circa il deposito telematico degli atti contenuta in detta ultima disposizione, rimandando per la sua attuazione al menzionato decreto direttoriale anche soltanto per l'individuazione degli indirizzi PEC abilitati alla trasmissione, non era di fatto applicabile prima che il regolamento fosse adottato e questa conseguenza è stata espressamente attestata dalla legge di conversione al citato comma 6-decies. Si tratta, secondo il Supremo Collegio, di una formalità necessaria per consentire agli Uffici di predisporre le misure organizzative indispensabili per poter tempestivamente dar seguito alle impugnazioni, le quali prevedono rigorosi termini per la proposizione.

b) Firma digitale

In secondo luogo, come espressamente si ammette in ricorso, la richiesta di riesame trasmessa a mezzo PEC non era firmata digitalmente, requisito indispensabile secondo il Supremo Collegio sulla base di due ordini di ragioni:

  • il provvedimento del Direttore del DGSIA che, all'art. 3 comma 3, nell'esplicitare, come da espressa delega legislativa, le specifiche tecniche della trasmissione degli atti, ha previsto che “le tipologie di firma ammesse sono PAdES e CAdES. Gli atti possono essere firmati digitalmente da più soggetti purché almeno uno sia il depositante”;
  • la necessità di consentire la verifica della paternità dell'atto di impugnazione, che ne costituisce imprescindibile requisito di ammissibilità, stante la tassativa e precisa individuazione dei soggetti legittimati ad esercitare il relativo diritto: a parere della Cassazione, proprio per questo, con inequivoca statuizione non suscettibile di diversa interpretazione, la citata norma intertemporale ha subordinato l'efficacia delle impugnazioni medio tempore proposte alla condizione che le stesse rechino la sottoscrizione digitale.
Osservazioni

L'importanza della sottoscrizione digitale dell'impugnazione è stata ribadita dalla Corte Suprema in una sentenza di poco successiva a quella in esame, la n. 29843 depositata il 29 luglio 2021, che ha confermato l'inammissibilità dell'appello inviato telematicamente dalla parte pubblica tra l'altro per non essere in condizione di poter sottoscrivere digitalmente l'atto di impugnazione.

Anche in questo caso la Corte Suprema ha ribadito che la necessità della firma digitale, conforme alle specifiche tecniche stabilite dalla normativa di riferimento, è funzionale ad assicurare la provenienza dell'impugnazione dal suo autore e per tale motivo è prevista a pena di inammissibilità dell'impugnazione, al pari dell'invio della medesima da un indirizzo riferibile al suo sottoscrittore o verso una casella di posta corretta.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.