Accordo transattivo con il lavoratore: le indennità corrisposte a titolo risarcitorio sono imponibili (se hanno funzione sostitutiva o integrativa del reddito)

06 Dicembre 2021

Ai sensi dell'art. 6, comma 2, TUIR, devono, quindi, essere ricondotte a tassazione le indennità corrisposte a titolo risarcitorio, sempreché le stesse abbiano una funzione sostitutiva o integrativa del reddito del percipiente; sono in sostanza imponibili le somme corrisposte al fine di sostituire mancati guadagni (lucro cessante) sia presenti che futuri del soggetto che le percepisce.
Massima

Ai sensi dell'art. 6, comma 2, TUIR, devono, quindi, essere ricondotte a tassazione le indennità corrisposte a titolo risarcitorio, sempreché le stesse abbiano una funzione sostitutiva o integrativa del reddito del percipiente; sono in sostanza imponibili le somme corrisposte al fine di sostituire mancati guadagni (lucro cessante) sia presenti che futuri del soggetto che le percepisce.

Il caso

Il lavoratore Tizio e la società Alfa s.p.a. convenivano un accordo transattivo, confluito in un verbale di conciliazione, sottoscritto in data in data 8 marzo 2007, con il quale il lavoratore riceveva la somma di € 500.000,00 a titolo di transazione della controversia azionata nei confronti società per azioni, volta ad ottenere il pagamento delle somme dovutegli a titolo di danno emergente e lucro cessante per la cessazione illegittima (dimissioni anticipate per comportamenti umilianti e ritorsivi a carico del lavoratore) del rapporto di lavoro.

Il competente Ufficio delle Entrate, sul presupposto che le somme ricevute in transazione fossero riconducibili esclusivamente ai danni consistenti nella perdita di redditi, emetteva un avviso di accertamento con il quale recuperava a tassazione l'importo erogato.

In tale circostanza l'Ente Impositore applicava l'imposta sostitutiva con aliquota al 42,79%, utilizzata per la determinazione dell'imposta relativa al TFR (a tassazione separata d.P.R. n. 917/1986, ex art. 17, comma 1), oltre sanzioni di pari importo.

Avverso tale avviso di accertamento, Tizio proponeva ricorso innanzi alla competente Commissione Tributaria Provinciale, rilevando il difetto di motivazione dell'avviso, nonché l'illegittimità del recupero a tassazione, sia perché le somme non erano assoggettabili a tassazione separata, in quanto costituenti solo risarcimento del danno emergente, sia perché le sanzioni non erano applicabili per la sussistenza di cause di non punibilità.

Il Giudice adito rigettava il ricorso.

Avverso tale decisione era spiegato appello principale, poi rigettato dal secondo Giudice, il quale riteneva che vi fosse una sostanziale difformità tra l'oggetto della transazione e le domande proposte in giudizio.

La CTR evidenziava, inoltre, che non era possibile distinguere - anche per carenza di prova sul punto - la somma percepita a titolo di risarcimento puro da quella relativa gli emolumenti non percepiti, sicché riteneva legittima l'imputazione operata dall'Ufficio al risarcimento dei danni di natura economica derivanti dallo scioglimento del contratto di lavoro (cosiddetto lucro cessante) per perdita di redditi.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione.

Tale impugnazione non era condivisa dalla Suprema Corte la quale, nel rigettare il ricorso, osservava che sussiste l'incertezza normativa oggettiva, causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, ai sensi dell'art. 10 della l. n. 212/2000 e dell'art. 8 del d.lgs. n. 546/1992, allorquando è ravvisabile una condizione di inevitabile incertezza su contenuto, oggetto e destinatari della norma tributaria.

Osservava la Corte che tale incertezza non deve essere riferita ad un generico contribuente, né a quei contribuenti che, per loro perizia professionale, siano capaci di interpretazione normativa qualificata e neppure all'Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell'ordinamento a cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione.

Nella specie, non sussisteva il contrasto paventato tra la prassi amministrativa (Risoluzione n. 106/E) e l'orientamento giurisprudenziale condiviso, considerato che la Risoluzione n. 106/E del 2009, cui il contribuente assumeva di aver fatto affidamento incolpevole.

Infine il Giudice di Legittimità affermava la tassabilità dei risarcimenti tesi a riparare un pregiudizio collegato al reddito, con funzione sostitutiva o integrativa.

La questione

La questione giuridica sottesa nel caso in esame, verte nello stabilire se debbano essere ricondotte a tassazione le indennità corrisposte a titolo risarcitorio, laddove le stesse abbiano una funzione sostitutiva o integrativa del reddito del percipiente.

La soluzione giuridica

Prima di fornire soluzione alla questione giuridica in premessa, occorre una breve disamina degli istituiti coinvolti nel caso in disamina.

A mente del comma 2 dell'art. 6 TUIR costituiscono redditi imponibili i proventi conseguiti in sostituzione di altri redditi e le indennità risarcitorie per la perdita di redditi.

In merito alla loro classificazione, essi costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti.

Rientrano in questa categoria, ad esempio:

  1. l'indennità di malattia o di maternità erogata dall'INPS, che rientra tra i redditi di lavoro dipendente;
  2. l'indennità di inabilità temporanea erogata dall'INAIL nel caso di infortunio, anch'essa rientrante tra i redditi di lavoro dipendente;
  3. l'indennità di maternità erogata dalle Casse previdenziali private alle lavoratrici autonome, rientrante tra i redditi di lavoro autonomo “professionale” (v. art. 53 co. 1 del TUIR).

Non hanno, invece, natura reddituale, in quanto non “sostitutive” di altri redditi le indennità per inabilità permanente, le rendite e gli assegni in caso di morte e le somme corrisposte a titolo di indennizzo per menomazioni fisiche connesse all'attività di servizio.

Laddove l'indennizzo vada a compensare in via integrativa o sostitutiva un mancato guadagno, o nel caso di lavoro dipendente la mancata percezione di redditi di lavoro, le somme corrisposte, in quanto sostitutive di reddito (c.d. lucro cessante), vanno assoggettate a tassazione e così ricomprese nel reddito complessivo del soggetto percipiente (v. Ris. Agenzia delle Entrate nn. 106/2009 e 155/2002).

Solo laddove il risarcimento abbia la funzione di reintegrazione patrimoniale per una perdita sofferta, ovvero non rappresenti una ricchezza nuova, avendo la sola funzione di riequilibrare, in termini pecuniari, il valore d'un patrimonio perduto (il c.d. danno emergente), tale somma non sarà assoggettata a tassazione (v. Ris. Agenzia delle Entrate n. 16/E/2018).

In merito alle indennità percepite a fronte del risarcimento dei danni consistenti nella perdita di redditi (lucro cessante), anche se corrisposte in forma assicurativa, esse costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti.

Ciò in quanto è possibile delineare una correlazione tra il mancato guadagno e l'inadempimento della controparte.

In tale evenienza necessita distinguere in base a quale titolo sia stata percepita l'indennità.

Laddove le somme siano percepite a titolo di risarcimento del “danno emergente” (somme percepite per “reintegrare” il soggetto danneggiato), non essendovi un nesso causale univoco tra la perdita del reddito e l'inadempimento, dette somme non costituiscono reddito imponibile in capo al percipiente (cfr. Ris. Agenzia delle Entrate 27.5.2002 n. 155).

Per ciò che attiene al trattamento fiscale delle somme erogate, la Risoluzione 3/2017 dell'Agenzia delle Entrate richiama la risposta ad interrogazione parlamentare 23.6.2016 n. 3-02923, in base alla quale la funzione dell'indennizzo forfetario in parola consiste nel ristoro del pregiudizio subito in ragione della violazione degli obblighi di informazione, diligenza, correttezza e trasparenza previsti dal TUF (v. d.lgs. 58/1998).

In merito alle somme erogate a fronte di transazioni di lavoro, la distinzione tra “danno emergente” e “lucro cessante” (somme percepite a fronte della perdita di redditi) non è sempre agevole e dovrà essere adeguatamente dimostrata la natura del danno subito.

A titolo esemplificativo, l'indennità percepita dai dirigenti a fronte del licenziamento illegittimo non ha carattere risarcitorio, bensì retributivo, sostituendo di fatto la retribuzione perduta (il “mancato guadagno” o “lucro cessante”).

Come tale, essa deve essere assoggettata a tassazione (v. Cass. 1349/2010, Cass. 18369/2005 e Cass. 11687/2002).

Le somme percepite da un dipendente in sede conciliativa per coprire il danno all'immagine professionale derivante da un licenziamento ingiustificato non sono, invece, imponibili (v. Cass. 8366/2006 e Cass. 14167/2003).

Le indennità risarcitorie a fronte di danni consistenti nella perdita di redditi relativi a più anni possono essere assoggettate a tassazione separata (v. art. 17 co. 1 lett. i del TUIR).

Qualora i redditi in esame siano conseguiti da persone fisiche nell'esercizio di imprese commerciali, essi verranno tassati separatamente, a condizione che ne sia fatta richiesta nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d'imposta al quale sarebbero imputabili come componenti del reddito d'impresa.

Il contribuente ha la facoltà di non avvalersi della tassazione separata in relazione ai redditi in esame, optando quindi per la tassazione ordinaria, a condizione che non siano conseguiti nell'esercizio di imprese commerciali e lo faccia constare espressamente nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d'imposta in cui è avvenuta o ha avuto inizio la loro percezione.

Laddove si dovesse optare per la tassazione ordinaria, le indennità risarcitorie in esame rientreranno nella stessa categoria dei redditi perduti.

Ciò detto e tornando al caso in premessa, in seguito all'accordo transattivo convenuto tra il lavoratore ed il datore di lavoro, con cui il lavoratore conseguiva il pagamento delle somme dovutegli a titolo di danno emergente e lucro cessante per la cessazione illegittima del rapporto di lavoro, l'Ente Impositore emetteva un avviso di accertamento con il quale recuperava a tassazione l'importo erogato sul presupposto che le somme ricevute in transazione fossero riconducibili esclusivamente ai danni consistenti nella perdita di redditi.

In tale circostanza l'Ente Impositore applicava l'imposta sostitutiva con aliquota al 42,79%, utilizzata per la determinazione dell'imposta relativa al TFR (a tassazione separata d.P.R. n. 917/1986, ex art. 17, comma 1), oltre sanzioni di pari importo.

Tale avviso di accertamento era impugnato dal lavoratore, il quale risultava soccombente in entrambi i gradi di merito.

Il contribuente, pertanto, adiva la Suprema Corte la quale non condividendone le censure, rigettava il ricorso.

Osservazioni

Con l'ordinanza n. 25027 del 16 settembre 2021 la Corte di Cassazione escludeva la sussistenza del contrasto paventato dal ricorrente tra la prassi amministrativa (Risoluzione n. 106/E) e giurisprudenza, considerato che anche la Risoluzione n. 106/E del 22.04.2009, affermava la tassabilità dei risarcimenti con funzione sostitutiva o integrativa, tesi a riparare un pregiudizio collegato al reddito (v. Risoluzione n. 356/E del 07 dicembre 2007).

Difatti, ai sensi dell'articolo 6, comma 2, TUIR (d.P.R. 917/1986), laddove le indennità corrisposte a titolo risarcitorio abbiano una funzione sostitutiva o integrativa del reddito del percipiente, esse vanno ricondotte a tassazione (v. Cassazione civile, sez. trib., ord. 16 settembre 2021, n. 25027).

Diversamente, non assumono rilevanza reddituale (v., anche, Agenzia delle Entrate con la risposta all'interpello n. 27 del 06 febbraio 2020) le indennità risarcitorie erogate al fine di reintegrare il patrimonio del soggetto, ovvero al fine di risarcire la perdita economica (danno emergente) subita dal patrimonio (v. Cass. 8031/2021).

Va da sé che, al fine di pervenire alla corretta qualificazione giuridica delle somme corrisposte, nei sopracitati documenti di prassi è stato precisato che deve essere cura dell'interessato provare concretamente l'esistenza e l'ammontare di tale danno.

In assenza di tale prova torna applicabile il principio più volte affermato dalla Corte di Cassazione, secondo cui alla somma versata dal datore di lavoro in base ad una definizione transattiva della controversia, che tenga ferma la cessazione del rapporto, deve essere presuntivamente attribuita, al di là delle qualificazioni formalmente adottate dalle parti, la natura di ristoro della perdita di retribuzioni che la prosecuzione del rapporto avrebbe implicato, e quindi il risarcimento di un danno qualificabile come lucro cessante (v. Cass. 360/2009, Cass. 14167/2003 e Cass. 4099/2000).