Donazioni con dispensa dalla collazione soggette ad azione di riduzione se lesive della legittima
06 Dicembre 2021
Massima
Ai fini della collazione non esiste differenza tra disponibile e indisponibile e il riferimento che a tali concetti fa l'art. 737 c.c., non rende rilevante la distinzione ai fini della collazione, ma costituisce applicazione del principio stabilito dall'art. 556 c.c., giacché la dispensa da collazione non può mai risolversi in una lesione dell'altrui legittima: il che peraltro non significa che se il valore della donazione dispensata eccede la disponibile, l'eccedenza è soggetta a collazione, ma piuttosto che il donatario è esposto, per l'eccedenza, all'azione di riduzione. Il caso
A seguito della morte di Tizio, il coniuge superstite Caia agisce in giudizio nei confronti dei figli del de cuius Primo, Secondo e Terzo. Il de cuius, con testamento pubblico aveva istituito eredi in parti uguali i figli Primo e Secondo, lasciando al coniuge e al figlio Terzo la quota di legittima. Il testamento prevedeva che la quota di legittima di Terzo avrebbe dovuto formarsi mediante distacco di una porzione dalla maggiore superficie del fondo Tuscolano. In aggiunta alla quota di legittima il testatore aveva disposto in favore del coniuge dell'usufrutto di un terreno e dell'usufrutto sui mobili che arredavano la casa di abitazione del testatore. La Corte d'Appello escludeva che il primo giudice fosse incorso in errore nel determinare le quote spettanti ai due eredi istituiti Primo e Secondo in base al testamento. A costoro, infatti, era stato riconosciuto in parti uguali, secondo l'istituzione testamentaria, l'asse relitto al netto dei legati e delle quote di legittima lasciate al coniuge e al figlio Terzo. La differenza del valore complessivo era dovuta solamente al diverso valore delle donazioni ricevute dai due eredi. Confermava quindi la decisione di primo grado pure nella parte relativa alla formazione della quota di legittima di Terzo, ponendo in luce che il tribunale aveva dato seguito all'indicazione contenuta nel testamento, in assenza di disposizione di revoca o modifica proveniente dal testatore. La causa approda in Cassazione. Le soluzioni giuridiche
La Suprema Corte si pronuncia ancora una volta in merito agli effetti della collazione sulla determinazione delle quote ereditarie ed affronta, seppur brevemente, anche il tema del rapporto fra collazione ed azione di riduzione. A tal proposito gli ermellini non ritengono corretta la decisione della Corte d'Appello e cassano la sentenza impugnata. Infatti - si legge nella pronuncia - la Corte d'Appello menziona l'esistenza di donazioni ricevute dai due figli; nondimeno, poi divide il relictum in parti uguali, in conformità alla istituzione testamentaria, pur dando atto che i figli erano stati gratificati in misura diversa. In questo modo la divisione è stata operata senza tenere conto delle donazioni fatte ai discendenti. Una simile conclusione può ritenersi legittima a patto che le donazioni fossero state elargite con dispensa da collazione. La dispensa opera in modo tale che la successione si svolge e la determinazione delle quote di eredità si attua come se la donazione non fosse stata fatta e il bene, che ne fu oggetto non fosse uscito dal patrimonio del de cuius a titolo liberale. Al contrario, in assenza di dispensa, le donazioni fatte al coniuge e ai discendenti condizionano il riparto, perché, nei rapporti indicati nell'art. 737 c.c., il valore delle quote si commisura anche sulle donazioni. Funzione della collazione è di conservare fra gli eredi la proporzione stabilita nel testamento o nella legge, permettendo ai coeredi, che siano il coniuge o il discendente, di conteggiare il valore della quota non solo sui beni relitti, ma anche sui beni donati a taluno di loro. Può anche avvenire che un medesimo soggetto si trovi a ricoprire, nello stesso tempo, la posizione di colui che ha diritto di pretendere la collazione delle donazioni altrui e la posizione di colui che sia tenuto a farla in relazione alle donazioni fatte dal defunto in proprio favore. In questi casi, se i donatari conferiscono per imputazione, potrà anche avvenire che le reciproche posizioni, attive e passive, si elidano a vicenda. L'ipotesi si verifica non quando le donazioni sono di pari valore, ma quando i coeredi sono stati gratificati nella stessa misura in proporzione della rispettiva quota. È ovvio che se le quote sono uguali, vantaggi e sacrifici saranno equivalenti quando di valore uguale sono le donazioni. Dunque - proseguono i giudici di Piazza Cavour - se i coeredi sono stati gratificati con donazione di diverso valore, il coerede donatario che ha ricevuto di meno, salvo (qualora consentito) il conferimento in natura da parte di chi ha ricevuto di più, deve recuperare la differenza sui beni relitti (artt. 724, 725 c.c.). La Corte d'Appello ha invece suddiviso il relictum in parti uguali fra i due figli, secondo l'istituzione testamentaria, non perché abbia riconosciuto che le donazioni fossero state fatte con dispensa, ma in base al rilievo che ciascuno dei coeredi donatari aveva avuto più della legittima. La considerazione è irrilevante, perché, fra i soggetti di cui all'art. 737 c.c., le donazioni sono soggette a collazione anche se non siano esse stesse lesive della legittima. Costituisce principio acquisito che per la collazione non esiste differenza tra disponibile e indisponibile e il riferimento che a tali concetti fa l'art. 737 c.c., non rende rilevante la distinzione ai fini della collazione, ma costituisce applicazione del principio stabilito dall'art. 556 c.c., giacché la dispensa da collazione non può mai risolversi in una lesione dell'altrui legittima: il che peraltro non significa che se il valore della donazione dispensata eccede la disponibile, l'eccedenza è soggetta a collazione, ma piuttosto che il donatario è esposto, per l'eccedenza, all'azione di riduzione.
Osservazioni
La collazione è l'istituto in virtù del quale quando alla successione concorrono figli ed i loro discendenti ed il coniuge, ciascuno è tenuto a conferire nell'asse ereditario (in natura o per imputazione del valore alla propria porzione, a scelta di chi conferisce) tutto ciò che ha ricevuto dal defunto per donazione direttamente o indirettamente, salvo che il defunto non li abbia da ciò dispensati (art. 737 c.c.). L'art. 1, comma 21, L. 20 maggio 2016, n. 76 ha esteso l'applicazione dell'art. 737 c.c. anche alle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. L'istituto della collazione trova il suo fondamento nella presunzione che il de cuius, facendo in vita donazioni ai figli ed al coniuge (eredi necessari), abbia semplicemente voluto compiere delle attribuzioni patrimoniali gratuite in anticipo sulla futura successione, cioè dare una anticipazione di quanto loro spettante sulla successione: la collazione serve a rimuovere la disparità di trattamento che le donazioni creerebbero ed a ristabilire la situazione di uguaglianza tra coeredi (Cass. 27 gennaio 1995, n. 989). In altri termini, la collazione ereditaria costituisce, in entrambe le forme previste dalla legge (conferimento del bene in natura oppure per imputazione) uno strumento giuridico volto alla formazione della massa ereditaria da dividere al fine di assicurare, nei reciproci rapporti tra i coeredi condividenti, equilibrio e parità di trattamento in guisa da non alterare il rapporto di valore tra le rispettive quote, da determinarsi, in relazione alla misura del diritto di ciascun condividente, sulla base della sommatoria del relictum e del donatum al momento dell'apertura della successione, sì da garantire a ciascun condividente la possibilità di conseguire una quantità di beni proporzionata alla rispettiva quota (Cass. 30 luglio 2004, n. 14553). Nella fattispecie che stiamo esaminando, la Suprema Corte ha cassato la sentenza della Corte d'Appello rilevato appunto una errata applicazione di tali principi. La giurisprudenza ha poi precisato che la differenza tra i due tipi di collazione sta nel fatto che, mentre quella in natura si determina un effettivo incremento dei beni in comunione e da dividere, in quella per imputazione i beni già oggetto di donazione rimangono di proprietà del coerede donatario, il quale li può trattenere in forza della pregressa donazione, versando alla massa solo l'equivalente pecuniario. In altri termini, una volta che il condividente donatario abbia optato per la collazione per imputazione la somma di denaro corrispondente al valore del bene donato, quale accertato con riferimento alla data di apertura della successione, viene sin da quel momento a far parte della massa ereditaria in sostituzione del bene donato, costituendo in tal modo ab origine un debito di valuta a carico del donatario cui si applica il principio nominalistico (Cass. 12 aprile 2018, n. 9177; Cass. 20 marzo 2015, n. 5659; Cass. 23 ottobre 2008, n. 25646). La collazione per imputazione costituisce, di fatto, una fictio iuris, per effetto della quale il coerede che, a seguito di donazione operata in vita dal de cuius, abbia già anticipatamente ricevuto una parte dei beni a lui altrimenti destinati solo con l'apertura della successione, ha diritto a ricevere beni ereditari in misura ridotta rispetto agli altri coeredi, tenuto conto del valore di quanto precedentemente donatogli determinato al detto momento dell'apertura della successione, senza che i beni oggetto della collazione tornino materialmente e giuridicamente a far parte della massa ereditaria, incidendo i medesimi esclusivamente nel computo aritmetico delle quote da attribuire ai singoli coeredi secondo la misura del diritto di ciascuno (Cass. 30 luglio 2004, n. 14553). In concreto – ha precisato recentemente la Suprema Corte - con la collazione in natura il bene diventa, in termini reali, oggetto di comunione fra il donatario e gli altri coeredi: esso sarà diviso fra i coeredi insieme alle altre cose presenti nell'asse in ragione della rispettiva quota ereditaria; con la collazione per imputazione è ripartito invece il valore della stessa donazione: attraverso il metodo dei prelevamenti o altro equivalente i coeredi non donatari conseguono sulla massa comune, in aggiunta al valore della quota quale sarebbe stata senza la collazione, anche il valore che loro compete sul bene donato in proporzione di quella stessa quota (Cass. 10 dicembre 2020, n. 28196). La collazione presuppone dunque l'esistenza di una comunione ereditaria e, quindi, di un asse da dividere, mentre, se l'asse è stato esaurito con donazioni o con legati, o con le une e con gli altri insieme, sicché viene a mancare un relictum da dividere, non vi è luogo a divisione e, quindi, neppure a collazione (Cass. 14 giugno 2013, n. 15026). Il donatario che concorre alla successione è esonerato dall'obbligo di conferire i beni ricevuti qualora il defunto abbia manifestato la volontà di riservare un trattamento preferenziale al donatario, dispensandolo dall'onere della collazione e così attribuendogli il diritto di conservare l'attribuzione patrimoniale oggetto di liberalità. Dunque, «la dispensa si traduce nella possibilità pel donatario di trattenere il dono avuto e di concorrere alla ripartizione del residuo attivo, senza che – per tale ripartizione – debbano calcolarsi nella formazione della quota a lui spettante anche i beni donati: il che rappresenta, in suo favore, una nuova liberalità» (G. Azzariti, Le successioni e le donazioni, Napoli, Jovene Editore, 1990, 764). Il principio fondamentale – ribadito anche dalla pronuncia in commento – è quello secondo cui in ogni caso la dispensa dalla collazione non può mai ledere i diritti dei legittimari, per cui il donatario, anche se espressamente dispensato dall'obbligo di conferire (in natura o per imputazione) la donazione, può ritenerla fino a concorrenza della quota disponibile. In sostanza, «traducendosi la dispensa in una ulteriore liberalità, non è possibile con essa ledere i diritti riservati per gli altri: il disponente, moderator et arbiter rei suae, può regolare le sue liberalità come meglio crede, ma non può ledere il diritto di riserva, ond'egli non può dare al suo beneficato la possibilità di conservare l'intero dono, pur se eccedente l'ammontare dei beni dichiarati dalla legge, nel singolo caso, disponibili» (G. Azzariti, cit., 765). Il coerede che ha ricevuto una donazione con dispensa dalla collazione può dunque ritenerla senza essere obbligato a conferirla (in natura o per imputazione) nella massa ereditaria, ma il suo diritto a conseguire la donazione in aggiunta alla quota ereditaria non può risolversi in una lesione dell'intangibile diritto alla quota di riserva degli altri legittimari; il donatario può quindi subire una eventuale azione di riduzione da parte degli altri legittimari laddove la liberalità (seppur con dispensa dalla collazione) risulti lesiva della loro quota di riserva. A tal proposito la Cassazione nella sentenza che qui commentiamo precisa correttamente che se il valore della donazione dispensata eccede la disponibile, l'eccedenza non è soggetta a collazione, ma il donatario è esposto, per l'eccedenza, all'azione di riduzione, secondo le regole ordinarie. Pertanto, è soggetta a riduzione, secondo i criteri indicati negli artt. 555 e 559 c.c., la donazione fatta ad un legittimario dal defunto a valere in conto legittima e per l'eventuale esubero sulla disponibile, con dispensa da collazione, non implicando tale clausola una volontà del de cuius diretta ad attribuire alla stessa liberalità un effetto preminente rispetto alle altre in caso di esercizio dell'azione di reintegrazione da parte degli altri legittimari lesi, secondo quanto invece stabilito per le disposizioni testamentarie dall'art. 558 c.c., comma 2, e rimanendo, pertanto, il medesimo donatario esposto alla riduzione per l'eccedenza rispetto alla sua porzione legittima (Cass. 30 maggio 2017, n. 13660). |