Non vi è sottrazione internazionale di minore se il genitore lasciato indietro non esercitava effettivamente il proprio diritto di custodia
07 Dicembre 2021
Massima
Deve escludersi la violazione dell'art. 3 della Convenzione dell'Aia del 1980 quando il trasferimento del minore non sia avvenuto in contrasto con i diritti di custodia di un genitore in base alla legislazione dello Stato nel quale il minore aveva la residenza abituale immediatamente prima del suo trasferimento. Il caso
La vicenda riguarda due cittadini romeni esercenti la responsabilità genitoriale sul figlio minore, collocato presso la madre ma temporaneamente inserito – su accordo di entrambi i genitori – presso l'abitazione della nonna materna, che per un certo periodo se ne era presa cura in via esclusiva stante il trasferimento all'estero della madre per l'esercizio di una attività lavorativa. Adito dalla madre, che frattanto aveva contratto matrimonio in Italia ove pure era stata assunta a tempo indeterminato, ma a cui il padre del minore aveva negato il consenso per il rilascio di un documento valido per l'espatrio del figlio, il giudice romeno rileva il disinteresse del resistente rispetto ai propri obblighi genitoriali e nonostante la sua opposizione concede l'autorizzazione al trasferimento senza vincoli temporali. Il padre presenta quindi al giudice italiano, per il tramite dell'Autorità Centrale, una domanda di ritorno in Romania ai sensi della Convezione dell'Aia del 1980. La questione
La questione di diritto affrontata dai giudici italiani nell'ambito di una procedura di ritorno incardinata ai sensi della Convenzione dell'Aia del 25.10.1980 sugli aspetti civili della sottrazione internazionale di minori attiene alla individuazione dei presupposti per poter ritenere illecito il trasferimento di un minore dallo Stato in cui aveva la sua residenza abituale, laddove detto trasferimento sia stato autorizzato da un provvedimento del giudice competente per il merito. Le soluzioni giuridiche
I giudici italiani, aditi con domanda di ritorno presentata attraverso l'Autorità Centrale convenzionale, hanno rilevato dagli atti di causa che il giudice romeno aveva disposto l'esercizio congiunto della responsabilità genitoriale, collocato il minore presso la madre e successivamente preso atto dell'accordo dei genitori per un inserimento temporaneo del figlio presso la nonna materna. Hanno quindi osservato come – su richiesta della madre – l'autorità giurisdizionale romena avesse superato il diniego del padre e concesso all'istante il rilascio del passaporto per il minore, autorizzandola a trasferirsi in Italia senza indicare un termine per il ritorno nel Paese di origine. Valutati dunque gli atti, sentito il minore e la neuropsichiatra infantile che lo aveva esaminato, e preso atto della mancata partecipazione al giudizio del padre, i giudici del Tribunale per i minorenni hanno ritenuto di non poter configurare come illecito il trasferimento in Italia ed hanno rigettato la domanda di ritorno. Osservazioni
Con la pronuncia in commento il Tribunale per i minorenni di Caltanissetta ha rigettato la domanda di ritorno presentata dal padre di un minore di nazionalità romena, trasferitosi in Italia al seguito della madre e previa autorizzazione del giudice dello Stato in cui egli aveva la residenza abituale. Nel fare ciò i giudici italiani hanno correttamente individuato gli elementi costitutivi della vicenda posta alla loro attenzione, dimostrando di fare buon governo delle nozioni di base su cui è costruita la Convenzione dell'Aia del 1980, ovvero quelle di trasferimento illecito e di effettivo esercizio del diritto di custodia riconosciuto al genitore c.d. lasciato indietro. Come è noto, per trasferimento illecito la Convenzione identifica quello avvenuto “in violazione dei diritti di custodia assegnati ad una persona, istituzione o ogni altro ente, congiuntamente o individualmente, in base alla legislazione dello Stato nel quale il minore aveva la sua residenza abituale immediatamente prima del suo trasferimento o del suo mancato rientro” (art.3, lett. a) a condizione che tali diritti fossero “effettivamente esercitati” (art.3, lett. b). Orbene, i due requisiti devono essere integrati simultaneamente (non essendo stati congegnati come alternativi) per cui occorre che il genitore lasciato indietro richieda il ritorno potendo vantare un titolo – legale, giudiziale o convenzionale – che gli attribuisca diritti di custodia, e che tali diritti fossero effettivamente esercitati al momento del cambio di residenza (o che avrebbero potuto essere esercitati se il trasferimento non fosse avvenuto). È dunque evidente che la fattispecie sottrattiva non può configurarsi laddove detto genitore non esercitava di fatto la responsabilità genitoriale. Sennonché la vicenda che ci occupa presenta almeno due profili di interesse: il primo è, appunto, la perimetrazione del concetto di effettivo esercizio del diritto di custodia, con i riflessi processuali dell'onere della prova; il secondo attiene all'eventuale efficacia “scriminante” dell'autorizzazione al trasferimento, concessa dal giudice della precedente residenza abituale. Quanto al primo profilo, è bene ricordare che la Convenzione dell'Aia affronta il tema in due norme ben distinte: la prima è l'art.3, ove l'esercizio effettivo è elemento costitutivo dell'illecito trasferimento; la seconda è l'art.13, ove la sua mancanza costituisce una ragione della pretesa a rigettare l'ordine di ritorno. La differenza tra le due disposizioni la si rinviene proprio sul piano dell'onere probatorio, nel primo caso incombendo sul genitore lasciato indietro il compito di dimostrare che il proprio diritto di custodia era effettivamente esercitato e che la sottrazione lo ha conculcato; nel secondo caso incombendo invece sul genitore sottraente la responsabilità di dimostrare che tale esercizio non avvenisse al momento del trasferimento o del mancato ritorno. Questa differenza è spiegata ancora meglio nella relazione esplicativa della Convenzione, dove si dà conto del fatto che nel primo caso il genitore lasciato indietro può limitarsi ad allegare tale presupposto ed a fornirne una “preliminary evidence” mentre nel secondo caso l'onere deve essere pienamente assolto al fine di superare la presunzione tacita che colui il quale ha il diritto di custodia lo esercita anche (cfr. par.73). D'altronde l'intera Convenzione – in uno con il Reg. (CE) n.2201/2003 (Reg. Bruxelles II-bis) che l'ha comunitarizzata adattandola alle esigenze della cooperazione giudiziaria in ambito regionale – poggia proprio sull'assunto che il trasferimento in violazione dei diritti di custodia produce sempre effetti nocivi sul minore. A tale preliminare valutazione hanno risposto i giudici italiani individuando i caratteri del mancato esercizio del diritto di custodia nelle evidenze processuali, in particolare nella sentenza del tribunale romeno che aveva dapprima disposto l'affidamento congiunto del minore ad entrambi i genitori ed in seguito consentito a che il medesimo fosse collocato temporaneamente presso la nonna materna “la quale si è occupata della crescita e della cura dello stesso, con il sostegno economico solo della madre”. La stessa sentenza del giudice romeno, riferiscono i giudici italiani, dava atto “del disinteresse manifestato dal padre del minore che non avrebbe, in siffatto periodo, contribuito in alcun modo ad assicurare quanto necessario per il figlio” che peraltro rifiutava di tornare a vivere con lui. Il secondo profilo di interesse della vicenda attiene, come si è sopra accennato, all'effetto che sul cambio di residenza abituale spiega l'eventuale autorizzazione del giudice. Il tema è stato affrontato proprio di recente dalla CGUE nella sentenza del 2 agosto 2021, A. contro B., C-262/21 con cui (sebbene in una vicenda avente ad oggetto un trasferimento da uno Stato all'altro disposto dal giudice nel contesto di una domanda di protezione internazionale) i giudici di Lussemburgo hanno chiarito che l'ottemperanza ad un ordine di trasferimento non può rendere illecita la condotta che lo realizza. Nel caso che ci occupa, sebbene il genitore sottraente non abbia eseguito un ordine di trasferimento ma ne abbia solo richiesto l'autorizzazione, non cambia l'effetto: la decisione giudiziale priva di illiceità il trasferimento. Il segmento italiano della vicenda in esame si è dunque concluso con un provvedimento motivato che nega il ritorno in Romania, ma il procedimento attivato con la domanda presentata all'Autorità Centrale potrebbe ora avere un seguito nello Stato della precedente residenza abituale. Sebbene il decreto del Tribunale per i minorenni non menzioni espressamente il Reg. Bruxelles II-bis è implicito che – trattandosi di allegata sottrazione intraeuropea – in Romania il padre potrebbe chiedere l'emissione di un provvedimento di ritorno nell'ambito del c.d. meccanismo di prevalenza di cui all'art.11, par.8, del regolamento sopra citato, a mente del quale il giudice sarà chiamato ad una nuova rivalutazione degli elementi addotti dal giudice italiano per rifiutare il ritorno, ed eventualmente a sovvertirlo con una decisione di segno contrario che, per l'appunto, in tal caso “prevarrà” e, diversamente dalla decisione del giudice dello Stato di rifugio, potrà riguardare anche il merito della responsabilità genitoriale e non solo la vicenda sottrattiva . |