L'indipendenza economica quale criterio per il riconoscimento dell'assegno divorzile

Marina Pavone
07 Dicembre 2021

E' ancora possibile considerare rilevante, ai fini dell'attribuzione di un contributo al mantenimento in favore del coniuge economicamente più debole, il criterio dell'indipendenza economica?
Massima

A giustificare l'attribuzione dell'assegno divorzile al coniuge richiedente non è, di per sé, lo squilibrio o il divario tra le condizioni reddituali delle parti, all'epoca del divozio, né il peggioramento delle condizioni del coniuge richiedente l'assegno rispetto alla situazione (o al tenore) di vita matrimoniale, ma la mancanza della “indipendenza o autosufficienza economica” di uno dei coniugi, intesa come impossibilità di condurre, con i propri mezzi, un'esistenza economicamente autonoma e dignitosa.

Il caso

Nel giudizio di primo grado, avente ad oggetto un divorzio intervenuto dopo vent'anni di matrimonio, vengono posti a carico di Tizio, ex marito, un assegno di mantenimento per la figlia minorenne, metà delle spese straordinarie ed un assegno divorzile di € 500,00 in favore della ex moglie Caia.

La Corte d'appello di Genova conferma le suddette statuizioni, specificando, in punto di assegno divorzile, di avere tratto elementi di valutazione dall'accertato divario delle condizioni economiche degli ex coniugi. La moglie, infatti, insegnante liceale, ha un reddito di € 2.100,00 mensili, vive nella casa coniugale della quale è assegnataria ed è nuda proprietaria di altro immobile. Tizio, medico ospedaliero, ha un reddito mensile di € 4.300,00 ed è proprietario dell'appartamento nel quale risiede, acquistato grazie ad una donazione materna. Pur rilevando l'indipendenza economica di Caia, la Corte territoriale le ha riconosciuto l'assegno divorzile in ragione degli “obblighi di aggiornamento e di decoro che la sua professione di insegnante (…) le impone”, degli “oneri economici” connessi all'accompagnamento della figlia, convivente con la madre, alle gare di golf e dei maggiori redditi dell'ex marito.

Tizio affida il ricorso per Cassazione a tre motivi. La Corte d'Appello avrebbe errato: a) Nel riconoscere l'assegno divorzile alla ex moglie essendo, costei, economicamente indipendente, in violazione e falsa applicazione della l. 898/1970, art. 5 c. 6; b) nel dare rilievo agli oneri dell'aggiornamento professionale di Caia, pur in mancanza di prova, e ponendo alla base della decisione prove irrilevanti e tardive; c) nell'aver trascurato il miglioramento dello stato lavorativo della ex moglie la quale, all'epoca della separazione, era insegnate part-time mentre, dal 2012, è insegnate di ruolo.

La Cassazione, ritenendo fondati i suddetti motivi, cassa la sentenza impugnata e rimanda alla Corte d'appello in diversa composizione anche sulla questione delle spese di giudizio.

La questione

All'indomani della pronuncia della Suprema Corte a Sezioni Uniten. 18287/2018, che ha espressamente delineato la natura composita dell'assegno divorzile (assistenziale, ma a carattere prevalentemente compensativo e perequativo), è ancora possibile considerare rilevante, ai fini dell'attribuzione di un contributo al mantenimento in favore del coniuge economicamente più debole, il criterio dell'indipendenza economica?

Le soluzioni giuridiche

Preliminarmente, viene evidenziata l'infondatezza del ragionamento adottato dal giudice di secondo grado che ha riconosciuto l'assegno divorzile sulla base “dell'obbligo di decoro e di aggiornamento professionale della moglie”. Chiarisce la Corte come tale riferimento sia “eccentrico ed astratto”, oltre che privo di sostengo probatorio, mancando la prova di tali aggiornamenti, peraltro, contestati dall'ex marito. Parimenti, poco comprensibile risulta la scelta di riconoscere l'assegno divorzile sulla base di obblighi di accompagnamento della figlia ad attività sportive, considerando che il padre versa il mantenimento ordinario e contribuisce, seppure in quota parte, alle spese straordinarie. Pertanto, del tutto censurabile risulta la pronuncia impugnata, per falsa applicazione dei parametri normativi vigenti per l'attribuzione dell'assegno de quo.

Secondo la Corte, per valutare l'inadeguatezza dei mezzi del richiedente il contributo, o l'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, occorre verificare se l'ex coniuge sia in condizione di vivere in autonomia e dignitosamente con le proprie risorse (Cass. n. 11504/2017). Tale valutazione non può limitarsi a rilevare uno squilibrio economico tra le parti, o un alto livello reddituale dell'ex coniuge, dal momento che il confronto tra le condizioni reddituali e patrimoniali delle parti è coessenziale a ricostruire il tenore di vita, criterio ormai irrilevante ai fini del riconoscimento dell'assegno divorzile. Nel contempo, l'entità del reddito dell'altro coniuge non giustifica, ex se, la corresponsione di un assegno in proporzione alle sue sostanze (Cass. n. 21234 2019).

A chiarimento, la Corte ribadisce come il criterio della “indipendenza economica” non sia da collegarsi allo squilibrio o al divario tra le condizioni reddituali dei coniugi, all'epoca del divorzio, né al peggioramento delle condizioni del coniuge richiedente rispetto al tenore di vita tenuto in costanza di matrimonio. A sostegno di questa tesi, viene richiamata una giurisprudenza di legittimità che giustifica l'assegno solo in mancanza della indipendenza o autosufficienza economica di uno dei coniugi, intesa come impossibilità di condurre, con i propri mezzi, un'esistenza economicamente autonoma e dignitosa. Si tratta di un parametro da valutare con opportuna elasticità ed in considerazione dei bisogni del richiedente il contributo, da intendersi come persona singola – non in qualità di ex coniuge – inserita nel contesto sociale di riferimento. E così «per determinare la soglia dell'indipendenza economica occorrerà avere riguardo alle indicazioni provenienti, nel momento storico determinato, dalla coscienza collettiva e, dunque, né bloccata alla soglia della pura sopravvivenza, né eccedente il livello della normalità, quale, nei casi singoli, da questa coscienza configurata e di cui il giudice deve farsi interprete, ad essa rapportando, senza fughe, le proprie scelte valutative, in un ambito necessariamente duttile, ma non arbitrariamente dilatabile» (Cass. n. 3015/2017).

Osservazioni

L'art. 5 comma 6 della legge sul divorzio (l. 898/1970 come modificata dalla l. n. 74/1987) statuisce che, con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale disponga l'obbligo per un coniuge di corrispondere periodicamente, a favore dell'altro, un assegno qualora quest'ultimo non abbia mezzi adeguati, o comunque non possa procurarseli per ragioni oggettive, tenendo in considerazione le condizioni dei coniugi, le ragioni della decisione, il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare, nonché alla formazione patrimoniale (individuale o comune), il reddito di entrambi e la durata del matrimonio.

Intorno a questo delicatissimo tema si è sviluppata, sin da subito, una intensa disputa giurisprudenziale volta a colmare le lacune di un dato normativo alquanto scarno.

L'interpretazione della suddetta norma, per circa trent'anni, è stata guidata dall'intervento della Cassazione a Sezioni Unite (sent. 11490, 11491 e 11492 del 29 novembre 1990), secondo la quale il presupposto per il riconoscimento dell'assegno divorzile era costituito dall'inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente a mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio.

Pertanto, pur se autosufficiente, il richiedente aveva diritto all'assegno se, a seguito del divorzio, aveva subìto un apprezzabile deterioramento delle condizioni economico/patrimoniali precedentemente godute. Stabilito il diritto alla percezione del contributo (an debeatur), la quantificazione dell'importo (quantum debeatur) avveniva valutando i criteri tutti indicati dalla norma, al momento della pronuncia, che potevano avere anche un'incidenza negativa fino al punto di determinare la negazione dell'assegno stesso.

A mutare decisamente rotta è intervenuta, nel 2017, una pronuncia della Cassazione (n. 11504/2017 – cd. Sent. Grilli) che per valutare il diritto o meno all'assegno ha introdotto il principio dell'autoresponsabilità economica di ciascun ex coniuge, quale persona singola inserita in un determinato contesto storico e sociale, considerando dirimente il raggiungimento dell'indipendenza economica del coniuge richiedente. Secondo tale orientamento, il diritto all'assegno divorzile, connotato da una natura giuridica prettamente assistenziale, viene meno, pertanto, se il coniuge che lo richiede ha raggiunto una indipendenza economica, a prescindere da qualsiasi raffronto con la situazione economica dell'altro coniuge. E ciò, considerando l'evoluzione sociale del concetto di matrimonio da intendersi non più come “sistemazione definitiva”, in un'accezione prettamente patrimonialistica, ma come atto di libertà e autoresponsabilità, nonché, luogo di affetti e comunione di vita, pertanto, dissolubile. L'estinzione del matrimonio ha effetti non solo sul piano personale, ma anche economico patrimoniale “sicché ogni riferimento a tale rapporto finisce illegittimamente con il ripristinarlo, sia pure limitatamente alla dimensione economica del tenore di vita matrimoniale, in una indebita prospettiva di ultrattività del vincolo matrimoniale”. Si tratta di un'impostazione certamente innovativa e più rispondente alle esigenze di una società che si evolve ed ha necessità di estirpare il concetto di “rendita vitalizia”. Tuttavia, tale orientamento presenta delle criticità nella misura in cui, se non adeguato al caso specifico calato in un determinato contesto, il requisito dell'indipendenza economica rischia di violare il diritto di quanti hanno sacrificato, durante il matrimonio, le proprie ambizioni lavorative e professionali per avere cura della famiglia. Non sono mancate, infatti, pronunce che hanno applicato il nuovo criterio in maniera più flessibile, adeguando il parametro dell'autosufficienza alle caratteristiche soggettive dei coniugi richiedenti ed al contesto sociale di riferimento.

Dirimente, rispetto al dubbio interpretativo sorto sul punto, è stato l'intervento della Cassazione a Sezioni Unite la quale, con la nota pronuncia n. 18287/2018, ha definitivamente sancito l'abbandono del criterio del tenore di vita, quale presupposto per l'attribuzione del contributo, chiarendo la natura composita dell'assegno divorzile che svolge una funzione assistenziale e, nel contempo, compensativa e perequativa; pertanto, per l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi economici dell'ex istante, e dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, sarà necessaria una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione di tutti i criteri equiordinati di cui al dato normativo, essendo questi i parametri per decidere sia sull'attribuzione sia sulla quantificazione. L'accertamento del diritto all'assegno divorzile non può limitarsi a rilevare la mancanza di autosufficienza economica, dovendo l'inadeguatezza dei mezzi o l'incapacità di procurarli per ragioni oggettive, essere desunta dalla valutazione, del tutto equiordinata, degli indicatori contenuti nella prima parte dell'art. 5, comma 6. Ciò rilevato, l'adeguatezza dei mezzi assume un contenuto prevalentemente compensativo-perequativo, che non corrisponde nè a quello strettamente assistenziale nè a quello dettato dal raffronto oggettivo delle condizioni economico patrimoniali delle parti e deve, pertanto, essere valutata non solo in relazione alla loro mancanza o insufficienza oggettiva, ma anche in relazione a quel che si è contribuito a realizzare in funzione della vita familiare e che, sciolto il vincolo, produrrebbe effetti vantaggiosi unilateralmente per una sola parte. La nuova funzione composita dell'assegno divorzile comporta che si debba tener conto, dunque, non soltanto del raggiungimento di un grado di autosufficienza economica, ma in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare, alla luce delle aspettativa professionali ed economiche eventualmente sacrificate, in considerazione della durata del matrimonio e dell'età del richiedente.

In questo quadro di riferimento, la pronuncia in esame, da un lato, sembra guardare al passato richiamando il criterio dell'indipendenza economica quale elemento dirimente per l'attribuzione del contributo, dall'altro, rinforza l'orientamento delle Sezioni Unite 2018 confermando l'irrilevanza del tenore di vita, in favore del contributo apportato alla formazione del patrimonio comune, ovvero, a quello dell'ex coniuge. Invero, tale indipendenza, da intendersi come impossibilità di condurre con i propri mezzi un'esistenza autonoma e dignitosa, impone una valutazione da condursi “con la necessaria elasticità e l'opportuna considerazione dei bisogni del richiedente l'assegno, considerato come persona singola e non come ex coniuge, ma pur sempre inserita nel contesto sociale”. Dunque, al fine di individuarne i confini, l'interprete dovrà rintracciare il punto di equilibrio tra la soglia della pura sopravvivenza e ciò che eccede il livello della normalità, ispirato dalla coscienza collettiva nel momento storico di riferimento, effettuando le proprie scelte in maniera duttile, ma non arbitraria.

In tal senso, la pronuncia de qua evidenzia come tali principi non siano stati superati dall'intervento delle SS.UU. laddove, alla funzione assistenziale, viene affiancata la funzione compensativa e perequativa dell'assegno divorzile “a determinate condizioni”, ovvero, quando vi sia la necessità di «compensare uno dei coniugi per il particolare contributo che egli dimostri di avare dato alla formazione del patrimonio comune o dell'altro coniuge durante la vita matrimoniale, con l'effetto di avere sacrificato le proprie concrete (e non aleatorie) aspettative professionali» (Cass. 21234 e 21228/2019).