Tutela dell'onore e della reputazione nella libertà di espressione: focus sulla diffamazione on-line e sul risarcimento del danno

Sabrina Peron
09 Dicembre 2021

L'articolo è una sintesi della relazione svolta in occasione del corso di formazione in memoria della dr.ssa Loretta Dorigo, avente come tema la “Libertà di espressione, privacy e dignità: il bilanciamento tra diritti fondamentali e forme di tutela”, tenutosi al Palazzo di Giustizia di Milano il 27 settembre 2021. Nell'articolo viene esaminata l'evoluzione giurisprudenziale in materia di diffamazione soprattutto con riguardo alla diffamazione on-line e alla liquidazione equitativa del danno. In particolare, a quest'ultimo riguardo viene proposta una ricerca aggiornata sull'applicazione delle Tabelle Milanesi in materia di diffamazione.
Breve premessa

È noto che, giurisprudenza consolidata, pacificamente ammette che il diritto di informare possa esercitarsi anche qualora ne derivi una lesione agli altrui diritti della personalità (quali onore, reputazione, identità personale, riservatezza etc.), a condizione che si tratti di un argomento di pubblico interesse (c.d. pertinenza), che siano rispettati i limiti dell'obiettività e della correttezza della forma espressiva senza che l'informazione trasmodi in un attacco gratuito (c.d. continenza) e che il suo contenuto sia sostanzialmente veritiero (fermo restando un margine di tolleranza per le inesattezze marginali). Tale ultimo requisito deve peraltro valutarsi unitamente al dovere di esaminare, verificare e controllare — in termini di adeguata serietà professionale — la consistenza della relativa fonte di informazione.

È altrettanto noto che, a partire dalla Cassazione n. 5259/1984, ancor oggi fondamentale punto di riferimento in materia, va sempre tentata una ragionevole ponderazione tra i diritti all'onore ed alla reputazione, da un lato, e la libertà di opinione e manifestazione del pensiero, dall'altro: è il c.d. bilanciamento tra gli artt. 2 e 3 Cost. con l'art. 21 Cost. (che va sorretto dai criteri di proporzione e di effettività della tutela). In forza del quale, se è vero che, la libertà di espressione - in particolare sub specie il diritto di cronaca e di critica esercitato dai giornalisti - costituisce pietra angolare di ogni ordinamento democratico (Corte. Cost. 84/1963), non è men vero che, la reputazione individuale è del pari un diritto inviolabile, strettamente legato alla stessa dignità della persona (Corte. Cost. 150/2021).

Principi analoghi sono espressi dalla giurisprudenza della Corte EDU che richiede di bilanciare i principi espressi dall'art. 10 CEDU (libertà di espressione) con quelli sanciti dall'art. 8 CEDU (rispetto alla vita privata e familiare), nel quale rientra il diritto alla tutela della propria reputazione. Si ricorda in proposito che la Corte EDU – a partire dalla storica sentenza Goodwin c. Regno Unito del 27 marzo 1996 - riconosce alla stampa il ruolo di «cane da guardia» della democrazia (ruolo che è ovviamente fonte anche di responsabilità). In particolare, la giurisprudenza della Corte EDU richiede ai giornalisti — proprio in funzione del delicato ruolo che sono chiamati ad assolvere — di improntare il loro lavoro ai principi del c.d. giornalismo responsabile.

La diffamazione nella rete: problematiche e soluzioni

Quelle sopra appena accennate sono le consolidate linee direttrici nelle quali si muove la giurisprudenza chiamata a giudicare casi di diffamazione connessa al c.d. giornalismo professionistico, ossia le notizie che vengono diffuse attraverso mezzi di comunicazione c.d. tradizionali (carta stampata, radio-televisione).

Tuttavia, la diffusione di internet, ha radicalmente sovvertito il mondo della comunicazione trasformandone radicalmente la produzione, distribuzione e utilizzazione ed incidendo sia sull'aspetto del diritto ad informare che su quello del diritto ad essere informati.

Attualmente siamo immersi in un profluvio enorme di informazioni che si autoalimenta con un flusso in costante aumento attraverso il sistema della loro condivisione tra gli utenti (il c.d. sharing): una qualunque informazione che cade nella rete viene ripresa e riciclata, circolando in maniera istantanea e cumulativa (teoricamente all'infinito sia nel tempo che nello spazio virtuale) da un sito all'altro, navigando all'interno di blog, transitando nei vari social network, arricchendosi di commenti etc., tanto che, in qualche caso, si arriva a smarrire il significato originario dell'informazione o, in altri casi, talune false informazioni vengono create, manipolate e fatte circolare ad arte per le finalità più disparate.
Si pensi al fenomeno delle c.d. fake news e/o dell'hate speech (che spesso si compenetrano l'un l'altro grazie a forme che vengono chiamate di “contagio emotivo”), snaturando con tali condotte la funzione di "cane da guardia" della democrazia che il mondo dell'informazione è chiamato a svolgere, potendo anche creare un pericolo per la democrazia, laddove ad esempio si combatte l'avversario mediante la menzogna sistematica, utilizzata come strumento per screditarlo agli occhi della pubblica opinione.

Recentemente la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 150/2021, ha osservato come i moderni mezzi di comunicazione - non solo la tradizionale carta stampata, ma anche la radio, la televisione, le testate giornalistiche online e gli altri siti internet, i social media, e così via – «possono incidere grandemente sulla vita privata, familiare, sociale, professionale, politica delle vittime. E tali danni sono suscettibili, oggi, di essere enormemente amplificati proprio dai moderni mezzi di comunicazione, che rendono agevolmente reperibili per chiunque, anche a distanza di molti anni, tutti gli addebiti diffamatori associati al nome della vittima. Questi pregiudizi debbono essere prevenuti dall'ordinamento con strumenti idonei, necessari e proporzionati, nel quadro di un indispensabile bilanciamento con le contrapposte esigenze di tutela della libertà di manifestazione del pensiero, e del diritto di cronaca e di critica in particolare».

Tutte le volte in cui, con tali nuovi mezzi di comunicazione di massa, vengono commessi reati di lesione dell'onore, della reputazione, dell'immagine, della privacy altrui, si pongono alcuni quesiti in ordine all'individuazione ed alla punizione dei responsabili, ai quali la giurisprudenza, in assenza di un intervento legislativo, sta cercando di trovare delle risposte che siano coerenti con il nostro sistema di tutele costituzionali.

Ciò posto, anzitutto vediamo che grazie della capacità di internet, in generale, e dei social network, più in particolare, di raggiungere un numero indeterminato di soggetti, giurisprudenza consolidata, non vi è dubbio che l'utilizzo di un sito web per la diffusione di immagini o scritti atti ad offendere un soggetto è un'azione idonea a ledere l'onore e la reputazione.

Quanto alla prova della percezione da parte di una pluralità di soggetti dei messaggi diffamatori, questa può presumersi tutte le volte in cui le «espressioni siano inserite in un sito internet, che è per sua natura destinato ad essere normalmente visitato da un numero indeterminato di soggetti, analogamente a quanto si presume nel caso di un tradizionale giornale a stampa, nulla rilevando l'astratta possibilità che la sua conoscenza sfugga a tutti o a determinati soggetti» (Cass. pen. 34916/2010).

Con riguardo, invece, all'individuazione del soggetto responsabile dei contenuti illeciti posti in rete - ferma restando la responsabilità dell'autore che ha materialmente commesso direttamente l'illecito – anzitutto va chiarita la responsabilità dell'hosting provider. A tal fine occorre preventivamente valutare se si tratta di un hosting provider attivo o passivo. Quest'ultimo ha un ruolo meramente tecnico ed automatico ed è passibile di responsabilità solo se, a conoscenza dell'illiceità, non si attivi immediatamente per rimuovere le informazioni o disabilitarne l'accesso, a condizione che l'illiceità del contenuto sia manifestamente illecito.

Ossia, qualora l'illiceità possa riscontrarsi, senza particolare difficoltà, alla stregua dell'esperienza e della conoscenza tipiche dell'operatore del settore e della diligenza professionale da lui esigibile, cosicché non averlo fatto integrerebbe quantomeno una grave negligenza dello stesso.

L'hosting provider attivo, invece, è il prestatore di servizi che dispone di un grado di controllo più elevato sui contenuti o che interferisce con i contenuti memorizzati e che, dunque, può venire effettivamente a conoscenza dell'illiceità dell'attività o dell'informazione archiviata a prescindere dalla contestazione da parte del terzo, si rimprovera il concorso mediante condotta attiva nella commissione dell'illecito e cioè nel caso in cui la sua attività si estenda a quella di «completare e arricchire in modo non passivo la fruizione dei contenuti da parte di utenti indeterminati», in presenza dell'elemento soggettivo e di particolari «indici di interferenza» o fattori spia, quali ad esempio: «attività di filtro, selezione, indicizzazione, organizzazione, catalogazione, aggregazione, valutazione, uso, modifica, estrazione, promozione dei contenuti, operate mediante una gestione imprenditoriale del servizio, come pure l'adozione di una tecnica di valutazione comportamentale degli utenti per aumentarne la fidelizzazione: condotte che abbiano, in sostanza, l'effetto di completare ed arricchire in modo non passivo la fruizione dei contenuti da parte di utenti indeterminati» (Cass. civ., n. 7708/2019).

Ne segue che l'hosting provider viene chiamato a rispondere:

a) quando abbia una precisa conoscenza di fatti o di circostanze che rendono manifesta l'illiceità dell'informazione. Ciò concretamente significa che «in caso di segnalazione di contenuti illeciti le informazioni fornite al provider debbano essere sufficientemente circostanziate». Il che peraltro rileva anche sotto un profilo processualistico «dell'editio actionis e, segnatamente, quanto alla determinazione della cosa oggetto della domanda. L'indicazione dei contenuti di cui è domandata la rimozione è ovviamente indispensabile in quanto è attraverso tale indicazione che è possibile individuare il petitum mediato della pretesa» (Cass. civ. n. 20861/2021).

b) quando la società di hosting, una volta che sia a conoscenza di tali fatti, su comunicazione delle autorità competenti, non agisca immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l'accesso.

La giurisprudenza sembra quindi orientata nel ritenere sussistente (ex art. 16 D.Lgs. 70/2003) la responsabilità dell'hosting provider, quando questi non abbia immediatamente rimosso i contenuti illeciti comunicati al pubblico tramite i propri servizi o abbia continuato a pubblicarli, solo se congiuntamente ricorrono anche le seguenti condizioni: la società (a) sia a conoscenza legale dell'illecito, anche a causa della comunicazione del titolare dei diritti; (b) possa ragionevolmente constatare l'illiceità dell'altrui condotta, conformemente al canone della diligenza professionale; (c) si possa attivare utilmente a tutela di tali contenuti protetti, in quanto sufficientemente a conoscenza dei materiali illeciti da rimuovere.

Non si tratta, dunque, di una responsabilità oggettiva o per fatto altrui, ma di responsabilità per fatto proprio colpevole, per di più innanzi ad una situazione di illiceità manifesta dell'altrui condotta, di cui non si impedisce la protrazione, mediante la rimozione delle informazioni o la disabilitazione all'accesso, secondo le espressioni tecniche mutuate dalla seconda fattispecie.

Al di là della responsabilità del provider rimane aperto il tema della responsabilità di altri soggetti. In particolar modo si segnala l'evoluzione giurisprudenziale in materia di testate telematiche.

In proposito, pare anzitutto utile ricordare che giurisprudenza consolidata ha generalmente escluso l'estensione dell'obbligo di registrazione per il giornale on-line e, conseguentemente, l'applicabilità ad internet del regime penalistico previsto dalla Legge sulla stampa (L. 47/1948) o dalla legge sul sistema radiotelevisivo (L. 223/1990).

In proposito si ricorda che la Dottrina aveva inizialmente escluso la possibilità di ricondurre l'informazione on-line alla nozione di stampa e tale impostazione aveva trovato sostanziale adesione anche da parte della giurisprudenza. Da ciò discende (sotto il profilo del divieto di interpretazione in malam partem), che per tutte le ipotesi di dichiarazioni diffamatorie contenute in un sito internet non potrebbero applicabili né l'art. 13, L. 47/1948, che punisce la diffamazione a mezzo stampa, né l'art. 30, c. 4, L. 223/1990, che sanziona la diffamazione commessa tramite trasmissioni radiofoniche e televisive. In questo contesto non trovano inoltre applicazione gli art. 57 (responsabilità del direttore responsabile), 57-bis (responsabilità dell'editore), 58 (responsabilità dello stampatore) c.p.

Tuttavia, nel 2008, la Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 10535, nel precisare che i forum on-line «non possono essere qualificati come un prodotto editoriale, o come un giornale “on-line”, o come una testata giornalistica informatica», trattandosi di una semplice area di discussione non soggetta alle regole e agli obblighi cui è soggetta la stampa (ad es. indicare un direttore responsabile; registrare la testata, giovarsi delle guarentigie in tema di sequestro che la Costituzione riserva solo alla stampa)», apriva la strada ad un'interpretazione evolutiva laddove lasciava intendere che sarebbe stato possibile giungere a conclusioni diverse per i «forum strutturalmente inseriti in una testata giornalistica diffusa per via telematica, di cui costituisca un elemento e su cui il direttore responsabile abbia la possibilità di esercitare il controllo (così come su ogni altra rubrica della testata)».

Tale tendenza evolutiva inizialmente intercettata nelle decisioni di alcuni Tribunali è stata ulteriormente delineata, dapprima, dalle sezioni unite penali (Cass. pen., sez. un., n. 31022/2015) e poi dalle sezioni unite civili (Cass. civ., sez. un, n. 23469/2016) negli elementi che possono così brevemente sintetizzarsi:

  • alla nozione di stampa possono ricondursi sia i giornali tradizionali che quelli telematici, laddove anche questi ultimi siano caratterizzati dai seguenti elementi: una testata, dalla diffusione regolare, dall'organizzazione in una struttura con un direttore responsabile che sia giornalista professionista o pubblicista, una redazione ed un editore registrato presso il registro degli operatori della comunicazione, dalla finalizzazione all'attività professionale di informazione diretta al pubblico, per tale intendendosi quella di raccolta e commento di notizie di attualità e di informazioni da parte di soggetti professionalmente qualificati;
  • solo le testate giornalistiche telematiche (ossia quelle registrate presso il tribunale), sono funzionalmente assimilabili alle testate in formato cartaceo, rientrando così nella nozione di “stampa” di cui all'art. 1, L. 47/1948;
  • l'interpretazione evolutiva e costituzionalmente orientata del termine “stampa” non può riguardare in blocco tutti i nuovi mezzi, informatici e telematici, di manifestazione del pensiero (forum, blog, newsletter, newsgroup, mailing list, social network, etc.), a prescindere dalle caratteristiche specifiche di ciascuno di essi.

A seguito di tale evoluzione giurisprudenziale la nozione di “stampa” è stata allargata così da ricomprendere anche a quell'informazione on-line che presenta profili strutturali e finalistici in qualche modo riconducibili nel concetto di “stampa”, sia pure intesa in senso più ampio rispetto alla nozione di stampa tradizionale.

La più recente giurisprudenza distingue, quindi, l'area dell'informazione di tipo professionale, veicolata per il tramite di una testata giornalistica on-line, dal vasto ed eterogeneo ambito della diffusione di notizie ed informazioni da parte di singoli soggetti in modo spontaneo. Solo queste ultime non godono - pur essendo espressione del diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero (art. 21 Cost., comma 1) - delle garanzie costituzionali in tema di sequestro della stampa e neppure sono soggette alle tutele e agli obblighi previsti dalla normativa sulla stampa (Cass. pen., n. 16751/2018 e Cass. pen., n. 16751/2018).

Mentre, la stampa telematica che presenta caratteristiche idonee ad offrire la divulgazione di un'informazione responsabile e professionale, può accedere al sovvenzionamento pubblico, nonché godere della tutela preventiva dal sequestro o da altre forme di controllo preventivo (Cass. civ., sez. un, n. 23469/2016). Parallelamente – e coerentemente - alla stampa telematica si estendono anche le «disposizioni volte ad impedire che col mezzo della stampa si commettano reati, tra le quali particolare rilievo assume il disposto dell'art. 57 c.p.», sulla responsabilità per omesso controllo del direttore responsabile della testata (Cass. pen., n. 13398/2017). Da ultimo, con riferimento invece al diritto di rettifica per gli articoli diffusi tramite blog, social network e testate telematiche, si segnalano due orientamenti. Un primo orientamento ritiene applicabile il ricorso ai mezzi cautelari atipici considerati assimilabili all'esercizio del diritto di rettifica (Trib. Milano, ord., 25.01.2018).

Un secondo orientamento invece, ritiene applicabile alle testate telematiche l'art. 8 L. 47/1948, anche se in questi casi, «dev'essere individuata una diversa modalità di rettifica, in grado di assicurare l'effettività della tutela degli interessi protetti dalla norma» (Trib. Torino, 06.04.2018). Tale modalità è stata individuata nel disporre in calce ad ogni singolo articolo (ciascuno identificato attraverso diversi URL) il testo di rettifica predisposto dal reclamante, previa positiva verifica che lo stesso non avesse “contenuto suscettibile di incriminazione penale” (ex art. 8, comma 1, L. 47/1948) né che superasse il limite delle trenta righe (ex art. 8 comma 4, L. 47/1948).

Forme di risarcimento / condanna nei casi di diffamazione civile

a) I danni risarcibili

Con riferimento al risarcimento, in sede civile, del danno da diffamazione tramite mass-media, occorre svolgere due ordini di considerazioni.

Anzitutto, in via meta-giuridica, va rimarcata la diffusa tendenza dei pretesi diffamati a preferire l'azione civile di risarcimento del danno (in luogo della querela per diffamazione), con la quale richiedere risarcimenti nell'ordine di svariate migliaia di euro.

In secondo luogo, in via strettamente giuridica, qualsiasi analisi del risarcimento danno da diffamazione non può prescindere dalla storica decisione resa dalle Sezioni Unite della Suprema Corte di cassazione in data 11 novembre 2008, n. 26972 (di contenuto identico ad altre tre sentenze, tutte depositate contestualmente), che ha rivisto i presupposti ed il contenuto della nozione di «danno non patrimoniale» di cui all'art. 2059 c.c. Quest'ultimo, venne interpretato come una categoria ampia ed omnicomprensiva, all'interno della quale non è possibile ritagliare ulteriori sottocategorie, se non con valenza meramente descrittiva e nel quale confluiscono «tutte le voci afferenti la dimensione personale dell'individuo».

In forza dei principi espressi dalle citate Sezioni Unite:

  • il danno non patrimoniale è risarcibile nei soli casi previsti dalla legge, i quali si dividono in due gruppi, ossia: le ipotesi in cui la risarcibilità a) è prevista in modo espresso, (ad es., nel caso in cui il fatto illecito integri gli estremi di un reato); b) pur non essendo espressamente prevista da una norma di legge ad hoc, deve ammettersi sulla base di una interpretazione costituzionalmente orientata all'art. 2059 c.c., per avere il fatto illecito vulnerato in modo grave un diritto della persona direttamente tutelato dalla Costituzione. Dunque, la lesione di uno o più diritti della personalità (onore, reputazione, immagine, identità personale, etc.) «fa sorgere in capo all'offeso il diritto al risarcimento del danno, a prescindere dalla circostanza che il fatto lesivo integri o meno un reato, sicché, ai fini risarcitori, è del tutto irrilevante che il fatto sia stato commesso con dolo o con colpa»;
  • il danno non patrimoniale - anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona – non è mai in re ipsa, ma costituisce danno conseguenza che deve essere allegato e provato, attenendo il pregiudizio (non biologico) ad un bene immateriale. È stato osservato come, diversamente opinando, si configurerebbe un risarcimento con funzione essenzialmente sanzionatoria e punitiva della mera condotta in contrasto con il vigente ordinamento, che prevede il diritto al risarcimento del danno conseguente all'effettivo pregiudizio subito dal titolare del diritto leso (Trib. Forlì 715/2021).

Tanto premesso, nelle fattispecie diffamatorie quanto ai danni patrimoniali, quasi mai viene raggiunta la prova dell'esistenza di un danno emergente o di un lucro cessante, eziologicamente connesso alla diffusione della notizia lesiva. Ragion per cui il danno patrimoniale, le rare volte in cui viene richiesto, non viene liquidato.

I danni non patrimoniali, invece, vengono per lo più riconosciuti sotto il profilo del danno morale soggettivo, inteso come sofferenza interiore (turbamento, disagio, imbarazzo, ancorché transitorio) patita a seguito della diffusione dello scritto diffamatorio. In questo caso, la prova del danno, si risolve nella dimostrazione di due condizioni, cioè l'esistenza di un fatto produttivo di conseguenze pregiudizievoli e l'idoneità del medesimo ad ingenerare una ripercussione “dolorosa” nella sfera personale del soggetto leso. Peraltro, tale secondo presupposto può ritenersi provato con il ricorso al notorio e tramite presunzioni, che debbono fondarsi, peraltro, su «circostanze gravi, precise e concordanti (art. 2729 c.c.) e non sulla semplice “ragionevolezza” delle asserzioni dell'interessato circa il pregiudizio all'immagine ed il discredito professionale o personale.

Quanto alla loro concreta liquidazione, i danni non patrimoniali non possono che essere liquidati in via equitativa ai sensi dell'art. 1226 c.c. e nella loro unitarietà, evitando duplicazioni di voci.

Come sempre, tale liquidazione equitativa non è censurabile in Cassazione, sempre che i criteri seguiti siano enunciati in motivazione e non siano manifestamente incongrui rispetto al caso concreto, o radicalmente contraddittori, o macroscopicamente contrari a dati di comune esperienza, ovvero l'esito della loro applicazione risulti particolarmente sproporzionato per eccesso o per difetto» (Cass. civ. 13153/2017).

Con riguardo all'individuazione degli indici applicati per la liquidazione equitativa del danno non patrimoniale, solitamente vengono individuati i seguenti

  • notorietà del diffamante;
  • carica pubblica / ruolo istituzionale o professionale del diffamato / reputazione del diffamato;
  • identificazione univoca del diffamato e sua riconoscibilità;
  • risonanza mediatica della notizia / l'ampiezza della sua diffusione nei social network / numero di visite al sito on-line;
  • natura e entità delle conseguenze sulla professione e/o sulla vita del diffamato;
  • lasso di tempo trascorso tra il fatto e la domanda risarcitoria;
  • pubblicazione, o meno, di una rettifica o comunque concessione al diffamato di uno spazio per chiarire le proprie posizioni / rifiuto del diffamato a rilasciare dichiarazioni;
  • intensità dell'elemento psicologico, natura della condotta diffamatoria (ad esempio utilizzo di espressioni denigratorie, dequalificanti, turpiloquio, possibile rilievo penale delle espressioni), reiterazione della condotta lesiva;
  • mezzo utilizzato per la diffamazione: mass-media tradizionali, social network (anche in combinazione tra loro); diffusione nazionale o locale; diffusione anche (o solo) on-line.

Con riferimento alla concreta liquidazione del danno sempre più spesso vengono applicate le c.d. tabelle milanesi, in riferimento alle quali - sulla base della presenza, o meno, degli indici sopra indicati anche in combinazione e bilanciamento tra loro - le Tabelle propongono degli scaglioni risarcitori:

1) diffamazioni di tenue gravità, individuabile dalla presenza dei seguenti indici:

  • limitata / assente notorietà del diffamante
  • tenuità dell'offesa considerata nel contesto fattuale di riferimento
  • minima/limitata diffusione del mezzo diffamatorio
  • minimo/limitato spazio della notizia diffamatoria
  • assente risonanza mediatica
  • tenue intensità elemento soggettivo
  • intervento riparatorio / rettifica del convenuto

condanna in via equitativa al pagamento di una somma tra € 1.000,00 e € 10.000,00.

2) diffamazioni di modesta gravità, individuabile dalla presenza dei seguenti indici:

  • limitata/modesta notorietà del diffamante
  • limitata diffusione del mezzo diffamatorio (1 episodio diffamatorio a diffusione limitata)
  • modesto spazio della notizia diffamatoria
  • modesta/assente risonanza mediatica
  • modesta intensità elemento soggettivo

condanna in via equitativa al pagamento di una somma tra € 11.000,00 e € 20.000,00.

3) diffamazioni di media gravità, individuabile dalla presenza dei seguenti indici:

  • media notorietà del diffamante
  • significativa gravità delle offese attribuite al diffamato sul piano personale e/o professionale
  • uno o più episodi diffamatori
  • media/significativa diffusione del mezzo diffamatorio (diffusione a livello nazionale/significativa diffusione nell'ambiente locale di riferimento)
  • eventuale pregiudizio al diffamato sotto il profilo personale e professionale
  • natura eventuale del dolo
  • condanna in via equitativa al pagamento di una somma tra € 21.000,00 e € 30.000,00.

4) diffamazioni di elevata gravità, individuabile dalla presenza dei seguenti indici:

  • elevata notorietà del diffamante,
  • uno o più episodi diffamatori di ampia diffusione (diffusione su quotidiano/trasmissione a diffusione nazionale)
  • notevole gravità del discredito e eventuale rilevanza penale/disciplinare dei fatti attribuiti al diffamato
  • eventuale utilizzo di espressioni dequalificanti/denigratorie/ingiuriose
  • elevato pregiudizio al diffamato sotto il profilo personale, professionale e istituzionale
  • risonanza mediatica della notizia diffamatoria
  • elevata intensità elemento soggettivo

condanna in via equitativa al pagamento di una somma tra € 31.000,00 e € 50.000,00.

5) diffamazioni di eccezionale gravità: l'Osservatorio propone una condanna in via equitativa al pagamento di una somma in misura superiore a € 50.000,00.

b) La riparazione pecuniaria ex art. 12 l. 47/1948

La sanzione pecuniaria ex art. 12 l. 47/1948, si aggiunge e non si sostituisce al risarcimento del danno causato dall'illecito diffamatorio.

Essa presuppone la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi del delitto di diffamazione e, quindi, non può essere comminata alla società editrice. Può invece applicarsi all'autore dell'articolo e al direttore responsabile purché la sua responsabilità sia dichiarata per concorso doloso nel reato di diffamazione e non per omesso controllo colposo della pubblicazione. Ovviamente deve trattarsi di articoli pubblicati su una testata giornalistica. In virtù della linea evolutiva costituzionalmente orientata della nozione di “stampa”, personalmente ritengo che possa applicarsi anche al direttore responsabile di una testata anche solo telematica, purché registrata.

c) La pubblicazione sentenza di condanna

Nell'ipotesi di diffamazione a mezzo stampa ed a mezzo di testata telematica, la pubblicazione della sentenza di condanna ex art. 120 c.p.c., su quotidiani nazionali con particolare diffusione sul territorio, può contribuire a riparare il danno, unitamente all'inserimento alla pagina on-line in cui l'articolo è diffuso via internet, di un link che richiami il dispositivo della sentenza. In proposito si noti che funzione diversa riveste la pubblicazione della sentenza ex art. 9 l. 47/1948: costituisce sanzione penale accessoria e presuppone una sentenza di condanna penale per il reato di diffamazione.

La pubblicazione della sentenza è un provvedimento, oggetto di un potere discrezionale del giudice il quale può disporla «indipendentemente dall'esistenza o dalla prova di un danno attuale, trattandosi di una sanzione autonoma che, grazie alla conoscenza da parte della collettività della reintegrazione del diritto offeso, assolve ad una funzione riparatoria in via preventiva rispetto all'ulteriore propagazione degli effetti dannosi dell'illecito nel futuro, ciò a differenza del risarcimento del danno per equivalente, che ha funzione reintegratrice di un pregiudizio già verificatosi» (Cass. civ., 1091/2016). In questa prospettiva si ritiene che la «misura in questione è volta non tanto alla riparazione del danno, quanto piuttosto a tutelare l'interesse generale a che non circolino false rappresentazioni della realtà» (App. Milano 826/2018).

Si noti, tuttavia, che la funzione riparatoria assolta dalla pubblicazione della sentenza ex art. 120 c.p.c., secondo la più recente giurisprudenza di merito, viene meno tutte le volte in cui sia trascorso un significativo lasso di tempo tra la data di pubblicazione del pezzo e la data della sentenza.

d) Appendice: esame dell'applicazione delle Tabelle milanesi sulla diffamazione (22 casi)

Senza pretese di completezza è stata effettuata una ricerca su una banca dati giuridica sui casi di risarcimento danni da diffamazione decisi dalle corti di merito, facendo applicazione delle Tabelle milanesi.

Il periodo preso in considerazione è stato luglio 2021 – giugno 2019.

In tale arco temporale in tutto sono state reperite 22 decisioni:

  • 12 casi decisi dai Tribunali: Bari (2 casi), Lecco, Vicenza, Pavia, Palermo (2 casi), Ferrara, Milano, Ancona, Crotone, Torino
  • 10 casi dalle Corti d'Appello: Torino, Bari (2 casi), Napoli, Milano (2 casi), Perugia, Venezia, Ancona, Aquila

Questi 22 casi sono stati così decisi:

  • 8 casi di diffamazione di tenue gravità;
  • 6 casi di diffamazione di modesta gravità;
  • 5 casi di diffamazione di media gravità;
  • 2 casi di diffamazione di elevata gravità;
  • 1 caso di diffamazione di eccezionale gravità;

L'ammontare dei risarcimenti è stato:

  • tenue gravità: totale € 46.000,00 / media 5.750,00 (1 caso di € 1.500 / 2 casi di € 3.000);
  • modesta gravità: totale € 80.000 / media € 13.300;
  • media gravità: totale € 136.000 / media € 22.600;
  • 2 casi di diffamazione di elevata gravità: totale € 75.000 / media € 37.500;
  • 1 caso di diffamazione di eccezionale gravità (T. Palermo – accusa falsa di associazione mafiosa) € 100.000.

Di seguito per completezza si riporta una tabella di sintesi delle decisioni esaminate:

Tribunale / Corte

Gravità

Indici

Danno liquidato

Trib. Bari

20.07.2021, n. 2813

Modesta

Ruolo dirigenziale diffamato/risonanza regionale della notizia da valutarsi con la modesta risonanza mediatica e dello spazio dedicato alla notizia/elemento soggettivo di natura colposa e in termini modesti

12.500

Trib. Lecco

22.06.2021, n. 365

Modesta

Diffusività del giornale locale proprio nel territorio ove si svolgono la vita, gli interessi e le relazioni dell'attore/portata diffamatoria dell'articolo, che identifica l'attore con nome, cognome, età e Comune di residenza/un unico articolo

15.000

App. Torino

26.05.2021, n. 583

Tenue

Assenza notorietà/ no turpiloquio/ scarsa diffusione/elemento soggettivo di minima intensità

8.000

Trib. Vicenza

03.05.2021, n. 917

Tenue

Media notorietà/media diffusione/significativa gravità offese / dolo

8.000

App. Bari

13.04.2021, n. 718

Tenue

Identificabilità solo cerchia ristretta/assenza notorietà/diffusione locale

7.500

App. Napoli

03.03.2021, 770

Media

Conferma I grado

10.000

Trib. Pavia

3.2.2021, n. 149

Tenue

Notorietà di chi diffama/professione diffamato/reiterazione della condotta diffamatoria/dolo del diffamante, diffusività e all'ambito territoriale della diffamazione

1.500

Trib. Palermo

11.01.2021, n.51

Eccezionale

Raddoppia la misura massima prevista nelle tabelle milanesi (il doppio di 25.000,00 euro) in ragione del fatto che, nella specie, la lesione all'immagine non discende da una condotta diffamatoria quanto, piuttosto, dall'avere contribuito a rafforzare la consorteria mafiosa sul territorio per un periodo oltremodo duraturo con riflessi screditanti nei confronti della comunità palermitana, protrattisi per lungo tempo (circa 20 anni).

100.000

App. Milano

30.12.2020, n. 3546

Media

Conferma I grado: oggettiva portata offensiva della rappresentazione della funzionaria come "asservita" ad una parte politica / elevato grado di colpevolezza, desumibile dal tenore del testo, e dall'uso di espressioni di dileggio / ampia diffusione dell'articolo, e la sua disponibilità anche sul Web, dunque non nel solo giorno dell'emissione, ma per periodo indefinito, con possibilità di ricerca sui browser attraverso parole chiave / evidenza e la collocazione data agli scritti diffamatori, in prima pagina del quotidiano, e poi nuovamente all'interno in una intera pagina a ciò dedicata/posizione del soggetto diffamato "tenuto conto del suo inserimento in un determinato contesto sociale e professionale"

40.000

App. Milano

10.11.2020, n. 2890

Media

Notorietà dell'autore della diffamazione, ossia giornalista televisivo/notorietà diffamati, titolari di cariche nella società pubblica / reiterazione e ripetizione delle condotte diffamatorie, attuate in diverse puntate televisive con frequenza pressoché quotidiana ed in orario di punta/la diffusione della condotta, attuata con mezzo televisivo, nonché il lungo lasso di tempo decorso fra le condotte e la presente sentenza

21.000 (ciascuna parte)

App. Perugia

27.11.2020, n. 537

Media

Elevata diffusione post su FB/elevata notorietà e seguito di cui gode la trasmissione “Striscia La Notizia”/rilevanza dell'offesa / posizione sociale della vittima che riveste una rilevante funzione pubblica

20.000

App. Venezia

24.11.2020, n. 3041

Media

Notorietà diffamato (sindaco)/diffusione nazionale del settimanale, anche se di carattere scandalistico/gravità delle offese arrecate/misura delle liquidazioni operate nel distretto per casi simili

30.000

Trib. Milano

30.10.2020, n. 6801

Tenue

Danneggiato no soggetto pubblico/offesa di modesta gravità rispetto al contesto in cui è stata pronunciata/diffusività del mezzo diffamatorio abbastanza contenuta e che è completamente priva di risonanza mediatica

10.000

App. Ancona

08.10.2020, n. 1026

Tenue

Media notorietà del diffamato titolare di una pagina Facebook con circa 140.000 followers/media/significativa diffusione del mezzo diffamatorio ed eventuale pregiudizio personale e professionale del diffamato

5.000

Trib. Ancona

29.7.2020, n. 1007

Media

Importanza del soggetto diffamante/significativa gravità delle offese arrecate/esistenza di plurimi episodi diffamatori la diffusione della notizia diffamatoria a livello nazionale e regionale (TV)/provato pregiudizio morale patito dall'attore, così come emerso anche all'esito delle prove testimoniali

25.000

Trib. Palermo

30.03.2020, n. 1227

Modesta

Valenza diffamatoria delle espressioni adottate / diffusione delle stesse in ambito professionale (tramite affissione della nota in questione nella bacheca del luogo di lavoro dell'attore)/notorietà e posizione sociale dello stesso/risalto dell'articolo giornalistico e sua diffusione sulla testata web/facile recuperabilità e leggibilità dell'articolo on-line anche a distanza di tempo.

15.000

Trib. Bari

19.11.2019, n. 4324

Modesta

Discreta notorietà diffamato (più intensa su scala locale che su scala nazionale)/buona diffusione della testata tra gli addetti ai lavori/singolo episodio diffamatorio, riportato in una notizia complessivamente estesa in poche righe, frutto di una mera negligenza dei convenuti da parametrarsi, peraltro, nella distorsione differenziale creata tra la notizia di un falso rinvio a giudizio e quella - che avrebbe dovuto essere in verità - di un accoglimento di richiesta di celebrazione del processo in rito abbreviato.

12.500

App. Aquila

18.11.2019, n.1888

Tenue

Diffusione diffamazione su FB minima (assenza di prova di quanti soggetti abbiano condiviso il post)/spazio delle frasi diffamatorie: limitatissimo/risonanza mediatica: assente siccome non dimostrata/intensità elemento soggettivo: modesta.

3.000

App. Bari

10.10.2019, n. 2107

Modesta

Diversità ed idoneità diffusiva dei mezzi utilizzati (comizio pubblico, articolo su quotidiano locale, sito internet e trasmissione locale) in un piccolo centro abitato quale è Cerignola/diretta incidenza sulla vita lavorativa e della notorietà del danneggiato

15.000

Trib. Crotone

24.06.2019, n. 784

Elevata

Notorietà del diffamante noto giornalista a livello locale e nazionale / professione svolto dal diffamato (squadra calcistica di primaria importanza ed il suo amministratore delegato) collocazione dell'articolo nella home page della testata giornalistica online; mezzo con cui è stata perpetrata la diffamazione / elevata diffusione in ambito nazionale, verosimilmente visualizzata da migliaia di utenti (anche in considerazione della circostanza che per almeno venti giorni lo scritto è stato pienamente visibile/fruibile)

40.000

Trib. Torino

08.06.2019, n. 8694

Elevata

Intensità elemento soggettivo/notevole gravità del discredito con rilevanza anche penale/disciplinare dei fatti attributi al diffamato/potenziale pregiudizio al diffamato in ragione del suo profilo istituzionale/uso di immagini (fotografie dei "festini") dequalificanti e denigratorie. Il tutto controbilanciato dalla considerazione che la diffusione della rivista, pur nazionale, può avere assunto portata diffamatoria (in rapporto alla riconoscibilità dell'attrice) solo a livello locale e specificamente genovese, l'importo da liquidarsi in via equitativa (ai valori attuali ed onnicomprensivi anche di interessi legali a titolo di risarcimento del danno da lucro cessante)

35.000

Conclusioni

La ricerca del complesso e delicato bilanciamento tra diritti di rango costituzionale, che entrano in conflitto tutte le volte in cui l'esercizio della libertà di manifestazione del pensiero collide con gli altrui diritti della personalità, ha trovato in questi anni un'attenta evoluzione giurisprudenziale che ben lungi dall'appiattirsi supinamente su posizioni consolidate, cerca di trovare e di dare delle risposte di Giustizia ai rapidi e continui mutamenti impressi dalle nuove tecnologie al mondo all'informazione.

Si tratta di una materia magmatica e in costante evoluzione che cerca di stare – per quanto possibile – al passo con i tempi. Particolarmente interessante appare l'arco evolutivo in materia di diffamazione on-line che, muovendo i primi passi nel senso di una sostanziale e generale inapplicabilità della l. n. 47/1948 all'informazione on-line, si è poi evoluta operando dei necessari distingui tra le testate telematiche e le altre forme e modalità di informazione presenti nella rete.

Parimenti, nell'ambito del risarcimento del danno da liquidarsi in sede civile, si è rivelato particolarmente apprezzabile ed utile per tutti gli operatori del diritto lo sforzo compiuto in questi anni di ancorare la liquidazione del danno a criteri uniformi tra le diverse corti. Ciò è si è reso possibile anche grazie al ruolo svolto dalle Tabelle Milanesi (che sempre più stanno trovando applicazione tra le corti di merito), delle quali la dr.ssa Loretta Dorigo del Tribunale di Milano, alla cui memoria il corso da cui è stata tratta la presente sintesi era dedicato, è stata una delle artefici.