Sono validi i patti extragiudiziali conclusi tra i coniugi in favore dei figli?

Paola Silvia Colombo
10 Dicembre 2021

In sede di divorzio, il marito può chiedere che la somma versata alla moglie in sede di separazione, per l'acquisto concordato della casa familiare, sia restituita e versata al figlio minore?

In sede di separazione consensuale i coniugi hanno concordato il versamento da parte del marito in favore della moglie di una somma da destinare all'acquisto di una nuova abitazione, a definizione dei reciproci rapporti economici e patrimoniali. Il marito in sede di divorzio chiede che detta somma venga restituita dalla moglie mediante versamento della stessa a favore del figlio minore. È possibile inserire tale impegno nell'accordo? Qual è la natura giuridica dell'elargizione in favore del figlio?

Occorre premettere in prima battuta che nell'ambito delle condizioni che le parti pattuiscono in sede di separazione consensuale o di divorzio congiunto possono ritenersi del tutto ammissibili e legittimi i trasferimenti patrimoniali (da intendersi anche come trasferimenti di somme di denaro) dei coniugi in favore dei figli quando sono finalizzati alla definizione della crisi coniugale e familiare la quale diviene, pertanto, la causa sottostante a detti accordi.

Oggetto di trasferimento possono essere, infatti, tutti i beni suscettibili di valutazione economica (mobili, anche registrati, immobili, denaro o titoli).

La giurisprudenza riconosce l'autonomia negoziale dei coniugi e tende a qualificare tali trasferimenti come veri e propri contratti atipici, meritevoli di tutela da parte dell'ordinamento giuridico ai sensi dell'art. 1322 c.c., non in contrasto con l'ordine pubblico e caratterizzati da una causa propria individuata nell'esigenza di attuare un regolamento dei rapporti, una definizione delle reciproche ragioni di dare e avere tra i coniugi al termine della convivenza (cfr. Cass. civ., 23 marzo 2004 n. 5741; Cass. civ., 14 marzo 2006 n. 5473; Trib. Firenze sez. III, sent., 19 giugno 2018; Trib. Varese, ord. 23 gennaio 2010; App. Milano decr., 12 gennaio 2010).

Venendo, quindi, al caso in esame l'accordo di divorzio mediante il quale la moglie si obbliga a versare al figlio la somma ricevuta dal marito in sede di separazione per l'acquisto della casa è certamente ammesso e tale impegno può ritenersi valido anche se inserito in una eventuale scrittura a latere.

Nell'ottica del riconoscimento ai privati di una sempre maggiore autonomia negoziale e di una vera e propria logica contrattuale, la giurisprudenza ammette la validità dei patti extragiudiziali conclusi tra i coniugi. Detti accordi, aventi natura negoziale (Cass. n. 18066/2014; Cass. n. 19304/2013; Cass. n. 23713/2012), si ritengono validi, anche nel rapporto con i figli, qualora siano integrativi o migliorativi dell'assetto concordato davanti al giudice (tra le altre, Cass. n. 657/1994; Cass. n. 23801/2006).

La giurisprudenza di legittimità pur riconoscendo ampio rilievo alla libertà negoziale dei coniugi, anche attraverso un'eventuale scrittura privata stipulata contestualmente alla sottoscrizione dell'accordo di divorzio che dovrà essere recepito dalla sentenza, l'ha comunque ancorata al c.d. principio di interferenza, nel senso che siffatte pattuizioni sono ammissibili in quanto non contrastino con il contenuto dell'accordo sottoposto al vaglio del Giudice. (Cfr. Cass. civ., 24 febbraio 1993, n. 2270). Pertanto, la questione dell'eventuale nullità dell'accordo non si pone.

Va però precisato che il trasferimento di denaro di un coniuge a favore del figlio in forza dell'accordo di divorzio non realizza una donazione in senso proprio ma un contratto a favore di terzo, di cui beneficiario è il figlio, che può agire in giudizio autonomamente per chiedere la condanna all'adempimento. (Cfr. Trib. Milano, sez. IX, ord. 28 gennaio 2016).

Il nostro ordinamento disciplina, con il disposto degli artt. 1411 e ss. c.c., il contratto a favore di terzi che consiste nell'accordo attraverso il quale un soggetto (c.d. promittente) si obbliga nei confronti di un altro soggetto (c.d. stipulante) ad eseguire una prestazione nei confronti del terzo beneficiario della stipulazione (in tal caso il figlio) Si osserva che quest'ultimo, a differenza del promittente e dello stipulante, non assume la qualità di parte nel contratto, né in senso formale, né in senso sostanziale. Infatti, l'attribuzione di un vero e proprio diritto soggettivo in capo al terzo beneficiario, non subordinato alla sua adesione ed azionabile nei confronti del promittente, avviene in virtù del solo accordo intervenuto tra le parti stipulanti.

Non configurandosi, quindi, il trasferimento di denaro al figlio da parte della moglie come una vera e propria donazione è possibile pertanto escludere una possibile impugnazione da parte di eventuali altri eredi legittimari per la lesione della quota di legittima o in sede di collazione.

Sul punto va precisato, però, che esistono indirizzi interpretativi non univoci tenuto conto del fatto che il contratto a favore di terzo costituirebbe comunque un mezzo idoneo alla realizzazione di un intento liberale e ricorrendo una causa di liberalità nell'attribuzione al terzo si realizzerebbe così una vera e propria donazione indiretta che produce gli effetti economici propri della donazione, pur non essendo tale sotto l'aspetto tecnico giuridico.

Da qui il richiamo conseguente all'art. 809 c.c. che sotto la rubrica “Norme sulle donazioni applicabili ad altri atti di liberalità”, dispone che le liberalità risultanti da atti diversi da quelli previsti dall'art. 769 c.c. siano soggette «alle stesse norme che regolano la revocazione delle donazioni per causa di ingratitudine e per sopravvenienza di figli, nonché a quelle sulla riduzione delle donazioni per integrare la quota dovuta ai legittimari».

Dunque, l'art. 809 c.c. sembra istituire una perfetta identità fra l'azione di riduzione proposta contro una donazione contrattuale e l'azione di riduzione proposta contro una donazione indiretta, entrambe assoggettate alle stesse norme della riduzione.

Gli “atti diversi” cui fa cenno la norma citata possono quindi essere in astratto tutti gli atti che pur avendo un proprio nomen juris, una propria causa o una propria struttura, sono comunque connotati da un intento liberale.

Quindi lo stesso legislatore ammette la possibilità che il risultato proprio del contratto di donazione possa essere raggiunto con atti diversi ai quali si applicheranno, ex art. 809 c.c., solo alcune delle norme che disciplinano la donazione così come definita dall'articolo 769 c.c.

Ciò detto, ritengo comunque “forzata” tale interpretazione atteso che il trasferimento di denaro da un coniuge in favore del figlio pattuito nell'ambito di un accordo di divorzio rimane sempre un contratto atipico che potrebbe esse definito “contratto della crisi matrimoniale”, con una sua causa tipica costituita dalla definizione dei complessi rapporti di natura economica sorti in occasione della separazione.

Non può, quindi, inquadrarsi come una donazione (anche indiretta), perché non è oggettivamente sorretto da alcuno spirito di liberalità o spontaneità, incompatibile per sua natura, con il conflitto coniugale, e perché manca dei requisiti di forma solenne prevista dalla legge.