Le Sezioni Unite saranno chiamate a delineare i limiti del principio di diritto stabilito dalla Corte Europea nel caso Maestri ed altri v. Italia
13 Dicembre 2021
La Sezione Prima ha richiesto l'intervento del Massimo Consesso interpretativo per poter rendere uniforme l'operatività del dictum proveniente da Strasburgo nell'esercizio della giurisdizione italiana, con riguardo a garanzie difensive fondamentali in caso di reformatio in pejus. Lo fa, con un approccio – giustamente, a modesto avviso di chi scrive – “prudenziale” che, in virtù delle potenziali ricadute della linea che sarà avallata, estende il senso dell'impianto posto a presidio della certezza del diritto, sollecitando un intervento nomofilattico che, ragionando in termini più restrittivi, non si porrebbe nell'orizzonte delineato dal codice di rito.
Il caso. Il processo di merito aveva riguardato una serie di contestazioni, relative ad azioni violente, poste in essere nell'ambito del confronto tra opposte fazioni di movimenti politici estremisti. Più in dettaglio, a carico di diversi coimputati, pendevano accuse di lesioni aggravate, porto ingiustificato di oggetti atti ad offendere, furto aggravato, nonché di attentato alla pubblica sicurezza mediante l'esplosione di ordigni (delitto, di matrice antieversiva, ancora vigente all'epoca dei fatti). La Corte d'Appello di Firenze, pronunciandosi sul gravame interposto dal Pubblico Ministero avverso le assoluzioni di primo grado, riformava parzialmente, in ordine ad uno tra gli imputati – previa rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, in cui non veniva nuovamente citato e sentito – la prima sentenza, condannandolo anche per l'ultima tra le ipotesi delittuose ascritte, rideterminando la pena in concreto – sottoposta a sospensione condizionale – in un anno di reclusione e concedendo la non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale spedito a richiesta di privati. Quest'ultimo ricorreva per Cassazione, per il tramite del difensore di fiducia, denunciando error in iudicando e vizio di motivazione, con due distinti motivi: in primis, lamentava che la Corte territoriale, giustificando in maniera asseritamente superficiale la disamina degli indizi emersi, gli avrebbe impropriamente attribuito la responsabilità pure per l'ordigno fatto esplodere dinanzi all'ufficio locale dell'Agenzia delle Entrate; in secondo luogo, deduceva che i giudici di secondo grado non avrebbero correttamente qualificato l'episodio, da derubricarsi nel precetto di cui all'art. 703 c.p,, punito più lievemente (ed unicamente con sanzione pecuniaria). La Sezione cui il fascicolo era stato assegnato, tuttavia, ravvisata la presenza di un tema in diritto – tratteggiato nella requisitoria svolta dal Procuratore generale in udienza – capace di incidere significativamente sui giudizi di merito e bisognoso, per il rango dei diritti in gioco, di un contributo di chiarezza, rimette la trattazione del ricorso alle Sezioni Unite Penali.
L'ordinanza. Il Collegio – su parere difforme del Procuratore generale, che aveva insistito per l'annullamento senza rinvio della pronuncia impugnata, che aveva mal declinato in concreto i canoni affermati a livello sovranazionale, consentendo così validi decorso e perenzione del termine di prescrizione, con conseguente estinzione del reato (richiesta cui s'era associata la difesa) – invia gli atti al Massimo Organo di legittimità, al dichiarato scopo di “affrontare la questione di massima importanza della applicabilità generale del dictum della sentenza 8 luglio 2021 della Corte EDU, fissando criteri orientativi per le decisioni future”. L'Estensore passa in rassegna, seguendo un criterio di ordine logico prima ancora che storico, i precedenti di rilievo delle Corti Supreme, che hanno interessato l'istituto della rinnovazione istruttoria in gravame, quando si sovverta l'esito favorevole conseguito in prime cure dal prevenuto. Alla definizione finale del quesito formulato dalla Sezione rimettente, poi, premette (doverosamente) le ragioni di ammissibilità dello sviluppo procedimentale promosso. Sull'ammissibilità della rimessione per “questione di massima di particolare importanza”. Sebbene manchi nell'ordinamento penale, infatti, uno strumento processuale omologo a quello dedicato, predisposto dal rito civile – art. 374, comma secondo, c.p.c., in virtù del quale: “il primo presidente può disporre che la Corte pronunci a sezioni unite sui ricorsi […] che presentano una questione di massima di particolare importanza” – l'art. 618 c.p.p. non può che esser qui coniugato estensivamente, tanto per la lettera della disposizione quanto, su un piano generale, al fine di salvaguardare la complessiva armonia del sistema (indirizzo già sostenuto in precedenza, da Cass., SS. UU. Pen., 23/6/2016, n. 18621 e Cass. SS. UU. Pen., 20/7/2017, n. 42361). La citazione dell'assente per la rinnovazione istruttoria. Il nodo centrale della parte motiva riguarda i confini di quanto statuito dalla Corte Europea dei Diritti dell'Uomo nel 2018, quando ha censurato l'Italia “per non aver previsto, a garanzia dell'imputato assolto nel primo grado di giudizio e condannato nel processo di appello, uno specifico onere di audizione del medesimo prima di assumere la decisione di condanna” e che l'imputato “qualora assente […] sia destinatario di una chiamata in giudizio al fine di porlo in condizione di rendere l'esame” essendo necessaria, in questa prospettiva “una chiamata specifica, con l'indicazione dell'incombente istruttorio da compiersi” (cfr. Corte EDU, Maestri ed altri v. Italia, 8/7/2021). Sotto questo profilo, la Corte medicea, pur reputando di dover procedere ad una rivalutazione del fatto storico e riassumendo, perciò, le prove dichiarative decisive, non aveva provveduto a citare ed escutere l'imputato assente, che non aveva esplicitamente rinunciato a tale diritto, con orientamento contrario a quello convalidato dalla consolidata giurisprudenza convenzionale (da ultimo in Corte EDU, Julius Por Sigurporsonn v. Islanda, 16/7/2019). Stanti i rapporti tra ordinamento domestico e quello sovranazionale, dunque, è opportuno individuare, secondo gli Ermellini, un'unica opzione ermeneutica, che prevenga una trattazione disomogenea sul territorio di profili che attengono al nucleo essenziale dei diritti del prevenuto.
Fonte: Diritto e Giustizia |