Appello depositato a mezzo PEC ante “Ristori”: salvato dalla raccomandata
13 Dicembre 2021
PEC e deposito delle impugnazioni: una questione ormai risolta. Per lungo tempo si è discusso se la PEC potesse utilizzarsi per il deposito degli atti afferenti al processo penale. Con vari precedenti di legittimità, il coro dei “no” è stato per anni pressocchè unanime. Manca la norma nel codice – si diceva – capace di legittimare l'utilizzo della posta elettronica certificata per il deposito degli atti processuali. La PEC era ufficialmente in funzione soltanto per le notifiche da effettuare a soggetti diversi dall'imputato: altro argomento che veniva opposto per escludere la possibilità di fruirne “all'inverso”, e cioè per consentire a soggetti diversi dall'imputato – e cioè ai difensori – di impiegarla per depositare (quindi per notificare) i propri atti all'autorità giudiziaria. Niente da fare, ogni possibile obiezione cadeva nel vuoto. Si giungeva persino a sostenere che la PEC non assicurava la certezza della provenienza dell'impugnazione, salvo a dimenticare che un atto di impugnazione poteva benissimo essere, per l'appunto, spedito a mezzo raccomandata e quindi depositato senza la presenza fisica del difensore o di un delegato. Lo scenario è bruscamente cambiato nel corso della prima ondata pandemica. Nel 2020, infatti, costretti dal lockdown, tutti gli operatori del “servizio giustizia” si sono dovuti industriare per consentire il funzionamento dell'intero apparato giudiziario. La PEC, dunque, è stata, insieme agli applicativi per i collegamenti a distanza, il primo strumento del quale ci si è serviti per il deposito degli atti di parte. E quindi anche delle impugnazioni. Chi si aspettava che d'un colpo ogni residuo dubbio sulla validità di un simile strumento fosse diradato del tutto è rimasto senz'altro deluso. Non sono infatti mancate, nemmeno in pieno periodo emergenziale, decisioni di inammissibilità che continuavano a ritenere sottratti al regime della depositabilità telematica gli atti di impugnazione. Con il “Decreto Ristori” e con il successivo “Ristori-bis” la questione è ormai stata relegata in soffitta, visto che esiste la norma esplicita da tanto tempo agognata: gli atti di impugnazione, con un preciso protocollo tecnico e procedurale, possono oggi essere depositati a mezzo PEC.
Doppio deposito: la raccomandata salva l'appello. Leggendo l'ordinanza in commento – frutto dell'impugnazione di un provvedimento di inammissibilità di un appello per essere questo stato inviato a mezzo PEC - si resta con la curiosità di sapere come sarebbe andata a finire se il difensore protagonista del caso concreto non avesse, oltre alla PEC, inviato il proprio atto di impugnazione anche a mezzo raccomandata. Alla vecchia maniera, quindi. E infatti, la Corte, prendendo atto dell'esistenza del deposito cartaceo affidato al servizio postale, non entra nel merito del deposito telematico ante Ristori (provvedimento non ancora esistente alla data dei fatti oggetto del processo). Le considerazioni svolte nell'ordinanza di inammissibilità circa la mancata previsione dell'appello, tra gli atti depositabili a mezzo posta elettronica certificata, sarebbero condivisibili. Così come si afferma – con una fortunatamente non rilevante condivisione da parte della Corte anche su questo punto – che la disciplina dettata in periodo emergenziale non sarebbe innovativa rispetto a quella processuale ordinaria.
Chi scrive non trova condivisibili simili conclusioni, rimaste allo stato astratto dato che, nel caso di specie, si procedeva anche al deposito “analogico”: al di là della disciplina sopravvenuta e oggi non più contestabile, non vi erano ragioni logiche, salvo quelle di natura esasperatamente formale, che potevano impedire l'utilizzabilità della PEC per il deposito degli atti. |