La coordinazione genitoriale. Eterogeneità delle prassi applicative: limite o risorsa del metodo?
13 Dicembre 2021
Introduzione
Sebbene variamente normata da statuti, regolamenti e accordi, in alcuni Stati e Distretti USA, la pratica della coordinazione genitoriale è rimasta per anni scarsamente definita e regolata nei suoi aspetti fino al 2005, quando la più grande associazione interdisciplinare e internazionale dei professionisti in campo nella risoluzione dei conflitti - la Association of Familiy and Conciliation Court (AFCC) - è giunta a pubblicare le Linee Guida per la coordinazione genitoriale. L'AFCC ha descritto la coordinazione genitoriale come un «processo di risoluzione alternativa delle controversie centrato sul bambino attraverso il quale un professionista della salute mentale o di ambito giuridico, con formazione ed esperienza nella mediazione familiare, aiuta i genitori altamente conflittuali ad attuare il loro piano genitoriale, facilitando la risoluzione delle controversie in maniera tempestiva, educandoli all'attenzione verso i bisogni dei loro figli e, previo consenso delle parti e/o autorizzazione del Giudice, prendendo decisioni nell'ambito del provvedimento del Tribunale o del contratto di nomina». La tipologia del conflitto a cui si rivolge sembrerebbe richiedere necessariamente una base volontaria su cui strutturare l'intervento di coordinazione genitoriale, che dovrebbe dunque fondarsi su una spontanea adesione al procedimento. Tuttavia, le pronunce di merito che contemplano la coordinazione genitoriale sono tutt'altro che univoche e se l'eterogeneità può interpretarsi come risorsa, indicativa della flessibilità del metodo, in grado di plasmarsi all'unicità dell'esperienza familiare da trattare, è altrettanto vero che la fluidità dei contenuti può configurarsi quale limite, laddove ne attenua la chiarezza dei suoi confini e la sua stessa operatività. Ecco, dunque, la “magmaticità”degli orientamenti giurisprudenziali a livello nazionale se, da un lato, induce estremo interesse, dall'altro, mette in luce il nervo scoperto dell'assenza di univoca regolamentazione che rischia di depotenziare credibilità e concreta efficacia dello strumento, esponendo l'applicazione del metodo a forti criticità e malpractice. Come noto a chi si occupa di gestione del conflitto e di quello familiare in particolare, la scelta dell'intervento più appropriato rappresenta uno degli snodi fondamentali per l'effettiva tutela dei minori coinvolti. La non adeguatezza o l'infruttuoso esperimento dello strumento di composizione della crisi, infatti, rischia di amplificare nelle parti il senso di impotenza e frustrazione che vira ad assoluto detrimento della salvaguardia dell'integrità psicofisica dei minori che dall'esposizione al conflitto vanno preservati ed in tempi quanto più brevi possibili. Centrale, dunque, è l'individuazione dei presupposti e delle finalità del metodo, per fornire indicazioni chiare ed orientare verso l'azione più mirata alla soluzione della specifica criticità sottoposta al professionista.
Tale premessa appare ineludibile per sgomberare il campo all'idea che la coordinazione genitoriale possa invocarsi come generalizzata panacea ed indicarsi come prassi verso la quale indirizzare indifferentemente tutte le coppie in crisi. La funzione della coordinazione genitoriale è, in estrema sintesi, diretta alla gestione, al contenimento dell'alta conflittualità ed alla rimodulazione della relazione co-genitoriale verso un modello collaborativo-generativo a beneficio della prole minorenne. In tale ardito compito, il coordinatore non effettua alcuna indagine valutativa delle risorse genitoriali, nè è chiamato a formulare opinioni ed interpretazioni, ma registrando e riportando oggettivamente dati fattuali, accompagna, orienta e, se del caso, indirizza i genitori verso l'applicazione pratica delle già esistenti “regolamentazioni separative”. È, dunque, un metodo che può essere adottato tra i vari interventi (mediazione familiare, sostegno alla genitorialità, terapia familiare, misure di protezione o limitative della responsabilità genitoriale) anche in via integrata e non necessariamente alternativa o esclusiva, previa verifica della tipologia e del grado di conflittualità. Occorre, preliminarmente, valutare se: - Via sia un alto conflitto co-genitoriale inteso come persistente, pervasivo ed intenso; - Residui una discreta capacità accuditiva dei genitori idonea ad incontrare i bisogni del figlio (in termini di contenimento ed affidabilità). - Vi sia un livello medio basso di rischio per i figli. Potrebbe allora risultare proficuo, ad esempio, orientare e meglio specificare il mandato di eventuali prodromiche CTU che tra le altre finalità siano dirette ad: - Accertare ed individuare il livello e la tipologia di conflitto (poiché la coordinazione non è genericamente finalizzata alla conflittualità coniugale ma a quella co-genitoriale). - Indicare espressamente se il grado e tipo di conflitto osservato possa risultare compatibile con il metodo della coordinazione genitoriale – una sorta di esame prognostico di fattibilità - ovvero se sia preferibile ricorrere ad altri strumenti di contenimento e composizione del conflitto. - Escludere o segnalare disturbi di personalità che inibiscano processi di gestione generativa del conflitto relazionale ovvero che richiedano supporti terapeutici, anche in una prospettiva di intervento integrato. Potendo ritenersi ormai avanzata la fase della sperimentazione, operare uno schematico confronto tra le variegate pronunce e realtà applicative può indurre rimeditazioni in termini propositivi, anche attuando tavoli di rete multidisciplinari e confronti esperienziali volti ad individuare percorsi univoci, in modo a rendere la figura chiara e strutturata anche all'utenza più diffidente ed inesperta.
In tal senso, di estremo pregio si configura il documento redatto a cura dell'Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano, Gruppo Mediazione Negoziazione ADR, che ripercorre le origini della coordinazione genitoriale, offrendone una definizione e chiarendone gli scopi, sino a soffermarsi sulla cornice giuridica, sugli orientamenti giurisprudenziali e sulla prassi ad oggi esistente in Italia.
Riprendendo lo schema comparativo fornito dall'Osservatorio, da una lettura di alcune pronunce di merito, la disomogeneità dell'applicazione della figura del co.ge. si evidenzia su vari fronti, sinteticamente individuati per punti: Modalità di designazione
Funzioni e compiti diversificati Il campione di pronunce esaminate consente di raccogliere nel seguente elenco – non esaustivo - le funzioni ed i compiti variamente deferiti al coordinatore genitoriale: evidenziando l'estrema importanza dell'OIT, ossia dell'ordine di invio del Tribunaleche definisce autorità ed obiettivi del servizio:
Compenso
Durata
Dalla superiore analisi si traggono i seguenti punti di contatto: - Trattasi di un metodo per il contenimento dell'alta conflittualità diretto all'attuazione di un piano genitoriale stabilito dalle parti anche su indicazione dell'eventuale provvedimento giudiziale che ne sollecita la nomina; - Il focus è senz'altro orientato alla tutela del best interest of the child; - Richiede l'indicazione di una figura professionale qualificata, formata al metodo, dotata di competenze nella gestione del conflitto familiare e nella comprensione delle dinamiche evolutive; - Presuppone un provvedimento che regolamenti il regime di affidamento, collocamento e gli aspetti economici nei procedimenti separativi, che non va modificato ma sulla cui attuazione specifica i coniugi vengano coadiuvati. Sotto tale aspetto, tuttavia, si segnala la tendenza di alcune recenti pronunce che si spingono a conferire al co.ge non solo funzione di implementazione dei provvedimenti vigenti, ma incarichi più specifici anche diretti a sperimentarne, con margini di rivisitazione, i contenuti; - Richiede un setting strutturato con regole precise sull'ambito di autorità e responsabilità del co.ge.; - Non ha funzione valutativa delle risorse genitoriali: in alcuni provvedimenti è previsto che il co.ge depositi una relazione periodica che si sostanzia in una nota informativa contenente dati oggettivi, relativi alla progressione del percorso di coordinazione; - Il coordinatore deve essere imparziale: ciò rappresenta la base del legame fiduciario e volontaristico che contraddistingue il conferimento del mandato. Tuttavia, non è neutrale: in quanto decide ed interviene nelle decisioni che coinvolgono i minori, laddove le parti non mostrino adeguate risorse per farlo. Gli elementi che appaiono più indefiniti: - Risulterebbe pacifica la natura estranea al giudizio del coordinatore genitoriale, tuttavia, in alcune pronunce esso, addirittura, è stato individuato nello stesso consulente tecnico d'ufficio designato per la valutazione delle capacità genitoriali delle parti: in tal caso, oltre a prospettarsi la difficoltà di “svestirsi” della competenza clinico-valutativa, si configura il rischio di sconfinamento e del conferimento di deleghe a cascata che possono rendere ancor più labili i confini del co.ge, confliggendo con il suo ruolo di soggetto extraprocessuale. - Sulla falsariga di tale dato, sembrerebbe unanime l'idea di non poter qualificare il coordinatore quale ausiliario del giudice, eppure in alcune pronunce il Giudice, designando o invitando le parti alla nomina di un esperto con funzione di coordinazione genitoriale, lo considera – più o meno apertamente - alla stregua di quanto previsto ai sensi art.68 c.p.c., talvolta ricalcando la procedura dell'art.195 c.p.c. - Non è ben delineato, in concreto, se e come avvenga la partecipazione degli avvocati sia pur si deduca la loro funzione di facilitatori dell'intervento, in termini di collaborazione e sensibilizzazione: circostanza che impone ancor di più una riflessione sugli obblighi formativi e di specializzazione in materia. - Trattasi di un procedimento non riservato: ma non è chiaro se in tutto o in parte. Per evitare incertezze, potrebbe essere utile specificare, nel contratto di nomina, contenuti coperti o meno da riservatezza e ciò per evitare distorsioni e ricadute nell'ambito processuale. - Apparirebbe chiara l'iniziativa rimessa alla volontà delle parti, eppure in alcuni provvedimenti si ravvisa un'ottica, più o meno apertamente, coercitiva lasciandosi intendere o esplicitando in modo chiaro che la mancata adesione delle parti all'invito alla coordinazione genitoriale potrà assumersi quale elemento deterrente per valutarsi correzioni o restrizioni all'esercizio della responsabilità genitoriale. La fruttuosità dell'intervento – in linea al suo genetico focus di alternative o ancor megliodi appropriate dispute resolution - risulta realmente efficace ed autentica, quanto più libera, fiduciaria e consapevole è la volontarietà dell'iniziativa delle parti anche in ordine alla scelta del professionista, mentre il rischio di sue alterazioni si palesa laddove risulti anche indirettamente frutto di un'indicazione giudiziaria o comunque funzionale al relativo decisum. Del tutto dissonante rispetto al suo focus è il coinvolgimento del professionista nelle logiche processuali: rischio che si amplifica ancor più allorquando il co.ge coincida con professionista incaricato di effettuare indagini valutative endoprocessuali o comunque coinvolto, a vario titolo, nell'iter giudiziario. Viceversa, aspetto estremamente illuminante e proficuo lo si delinea nell'ulteriore potenziale funzione, di coordinamento, di comunicazione ed interfaccia funzionale, che il professionista – per sua stessa accezione ed ancor meglio ove ciò sia espressamente specificato nell'OIT – svolge anche con tutti i soggetti, professionisti ed operatori che orbitano intorno alla famiglia coinvolta, implementando il lavoro di rete convogliato verso un unico comune focus mirato alla gestione, al contenimento ed alla composizione del conflitto. Attraverso la registrazione oggettiva della progressione del percorso, lo scopo finale è quello di accompagnare le parti verso un funzionamento co-genitoriale autonomo che confluisca nella redazione di un piano genitoriale, meditato, condiviso ed al quale attenersi nell'obiettivo di incapsulare il conflitto genitoriale – prevenendo ed evitando quello giudiziario in un'ottica anche potenzialmente dirimente e compositiva - a tutto vantaggio della prole. Buone prassi verso un modello comune
Lo scenario così delineato induce a riflettere sull'individuazione di buone prassi da implementare come modelli, che isolando le insidie dei diversi margini di incertezza e cogliendo tutte le potenzialità dell'intervento, favoriscano un suo univoco consolidamento, solcando una traccia comune. Peraltro, le stesse linee guida di AFCC del 2005 suggerivano espressamente ai Tribunali di dotarsi di protocolli sulla coordinazione. In tal senso, un esempio virtuoso lo si coglie nell'esperienza del Tribunale di Pavia che ha introdotto all'interno dell'organismo di mediazione del relativo Consiglio dell'Ordine, il servizio di coordinazione genitoriale, elaborando un elenco di nominativi cui poter attingere – conferendo così una garanzia di verifica preventiva della qualifica formativa – da designare con il metodo della rotazione, tra psicologi, assistenti sociali ed avvocati. La scelta esemplare del protocollo introdotto a Pavia si coglie ulteriormente nella previsione di un regolamento e di un codice etico, inseriti nel portale del tribunale (in uno ad un copioso materiale di riferimento) che contribuiscono ad individuare in modo chiaro e trasparente i contenuti ed i riferimenti che guidano il metodo. Ancora più interessante è la previsione di riunioni periodiche e di supervisione per i casi più complessi in una logica di sostegno, confronto e condivisione tra professionalità integrate. Viene, infatti, costituito un organismo unico con più figure professionali – sia pur ciascuna munita delle competenze multidisciplinari richieste per l'assunzione del ruolo - che rispecchiano il metodo integrato della coordinazione, enfatizzandone tutti gli aspetti più funzionali ed innovativi. È previsto, inoltre, un tariffario che tenga anche conto di eventuali soglie reddituali più basse, favorendo l'accesso ad un intervento che non contempla la gratuità o l'accesso al gratuito patrocinio, in ciò evidenziando la natura onerosa, anche sotto il profilo economico, del conflitto. In tal senso, un'ulteriore riflessione merita l'implementazione del metodo anche nei servizi pubblici in modo da garantire pari opportunità alle famiglie sprovviste di risorse adeguate. Ad oggi, in ambito nazionale, in http://www.coordinazionegenitoriale.eu/ sezione v-log, sono segnalate come esperienze significative: - L'accordo di collaborazione progetto di prevenzione ed intervento per l'alta conflittualità nella separazione e nel divorzio presso lo Sportello famiglia Civitavecchia; - Nel comune di Brescia, presso il Ci.s.s.a.ca consorzio servizi sociali; - Nel comune di Alessandria, progetto integrato realizzato presso la Cooperativa Civitas; - Il modello attuato nei servizi Treviglio e Romano di Lombardia. In conclusione
A conclusione di tali molteplici riflessioni, in attesa di una regolamentazione specifica oltre che di un riconoscimento normativo della qualifica professionale, è apprezzabile cogliere nella coordinazione genitoriale, l'ambiziosa finalità di fornire un supporto concreto e pratico, scevro da giudizi e frutto di una scelta libera e responsabile della coppia genitoriale, nella peculiarità della singola famiglia coinvolta nell'alta conflittualità. Il focus del co.ge dovrebbe essere diretto all'osservazione oggettiva della funzionalità co-genitoriale, intesa come abilità delle parti di svolgere efficacemente relativi compiti e responsabilità, facilitando logiche di negoziazione e riconoscimento del ruolo dell'altro, favorendo la comunicazione e, talvolta anche indirizzando, con modalità direttive, attraverso raccomandazioni o richiami, visioni correttive e generative del conflitto. Con una metafora suggestiva, potrebbe definirsi un metodo sartoriale: la famiglia che decide (e non si senta anche solo indirettamente indotta)di affidarvisi, coglie e sceglie il vantaggio di ricorrere ad un professionista tutto per sé, seriamente qualificato, con competenze multidisciplinari, che osserva, con occhio attento, l'unicità di quella singola fattispecie familiare, ne coglie le sfumature, le risorse, le potenzialità e come un abile artigiano, ritaglia le criticità, coordina - in un vigile lavoro di rete - tutti coloro che gravitano intorno (familiari, operatori, servizi sociali, avvocati, consulenti), ed orientando i genitori alla costante personificazione dei bisogni del minore, facilita e spesso rieduca, prima di tutto, ad un reale dialogo co-genitoriale che preservi i figli dalle distruttive logiche conflittuali. Il prodotto finito è il più calzante degli abiti sartoriali: non il “vestito perfetto” in assoluto, ma in assoluto il più adeguato alla famiglia su cui è cucito addosso, a misura di quell'unicità familiare sulla quale è stato forgiato; un “abbigliamento funzionale”, cioè quello che serve per restituire alla famiglia altamente confliggente uno tra gli obiettivi più importanti: ritrovare una comunicazione competente ed efficace nel supremo interesse dei figli, perchè “la felicità non esiste. La felicità si fa…un pezzo alla volta, parola dopo parola” (cit.P.Borzachiello – Basta dirlo 2021)
Riferimenti
E. Giudice, F, Pisano, S. Francavilla, La coordinazione genitoriale in Italia – dialogo tra teoria e pratica, Milano, 2018; Debra K.Carter, Coordinazione genitoriale una guida pratica per i professionisti del diritto di famiglia– Edizione italiana a cura di Silvia Mazzoni - Milano, 2014; C. Piccinelli, La coordinazione genitoriale nell'ambito del Tribunale riflessioni per una prassi possibile; Research Journal in Organizational Psychology & Educational Studies 1(2) 83-89 Alternative/Appropriate Dispute (Conflict) Resolution (Adr): The Psychological Facilitators. |