Sulla natura della comunione de residuo la parola alle Sezioni Unite

Alberto Figone
16 Dicembre 2021

Va rimessa al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, trattandosi di questione di massima di particolare importanza, la decisione in merito alla natura, reale o personale, del diritto sui beni facenti parte della comunione de residuo, in conseguenza dello scioglimento del regime patrimoniale della comunione dei beni tra coniugi.
Massima

Va rimessa al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, trattandosi di questione di massima di particolare importanza, la decisione in merito alla natura, reale o personale, del diritto sui beni facenti parte della comunione de residuo, in conseguenza dello scioglimento del regime patrimoniale della comunione dei beni tra coniugi.

Il caso

Nell'ambito di un complesso contenzioso tra due coniugi separati, già in regime di comunione legale, la Corte d'appello di Cagliari afferma che, per effetto della comunione de residuo, la moglie avrebbe potuto vantare una ragione di credito, e non un diritto reale, sulla metà dei beni destinati all'esercizio dell'impresa gestita dal marito e costituita dopo le nozze. La seconda sezione della Corte di Cassazione, adita dalla moglie, ritiene di disporre la rimessione al primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, dovendosi affrontare una questione di massima di particolare importanza, quale quella della natura del diritto insito nella c.d. comunione de residuo.

La questione

Una volta intervenuta una delle cause di scioglimento della comunione legale (nella specie, la separazione personale), quale natura ha il diritto di un coniuge sui beni dell'altro, rientranti nella c.d. comunione de residuo?

Le soluzioni giuridiche

Come noto, la locuzione comunione de residuo individua quella comunione meramente residuale e differita, che viene a formarsi all'atto stesso dello scioglimento del regime legale, purchè i beni che ne formano oggetto non siano stati consumati prima di tale momento. Per effetto dell'art. 177 lett. b) e c) c.c. cadono in comunione de residuo tanto i frutti (sia civili che naturali) dei beni propri, quanto i proventi dell'attività separata di ciascuno dei coniugi. Si fa in questo secondo caso riferimento alle retribuzioni, stipendi o salari, derivanti da qualsiasi tipo di attività lavorativa (lavoro dipendente, autonomo o parasubordinato), ovvero da trattamento pensionistico. Ciascuno dei coniugi, una volta assolto all'obbligo primario di contribuzione ai bisogni della famiglia e dei figli, è libero di gestire il residuo, con la duplice precisazione per cui: i) ove il denaro venisse utilizzato per fare acquisti, questi ricadrebbero in comunione immediata ai sensi dell'art. 177 lett. a) c.c., salvo che riguardino beni personali ex art. 179 c.c.; ii) i risparmi, comunque conservati, sono destinati ad entrare in comunione differita, al momento in cui il regime legale di comunione si sciogliesse per una delle cause di cui all'art. 191 c.c. (ivi compresa la morte di uno dei coniugi, che estingue anche il vincolo matrimoniale).

Alle fattispecie suddette occorre poi aggiungere quelle descritte dall'art. 178 c.c., di cui tratta la pronuncia in commento. Ci si riferisce ai beni destinati all'esercizio dell'impresa di uno dei coniugi, costituita dopo il matrimonio e agli incrementi di quella costituita anche in precedenza. Senza pretesa di completezza, vanno peraltro qui evidenziate le notevoli incertezze conseguenti alla differenza di regime giuridico fra aziende e imprese coniugali, disciplinate rispettivamente dagli artt. 177, comma 1 lett. d) e comma 2 (oggetto di comunione immediata) e 178 c.c. Una prima distinzione deve essere compiuta tra aziende gestite (rectius: relative ad imprese gestite) da entrambi ovvero da uno solo dei coniugi. Mentre la prima fattispecie rientra nel disposto dell'art. 177 c.c., la seconda è disciplinata dall'art. 178 c.c.Dunque, la distinzione tra comunione immediata e comunione de residuo si fonda sul criterio della gestione: se la stessa è comune, vi sarà una situazione di comunione immediata, se invece è individuale, si dovrà riconoscere la presenza di una comunione de residuo. Va peraltro notato come la legge tenga anche in considerazione il profilo del momento in cui l'azienda è stata costituita. Se esso precede il matrimonio (rectius: l'entrata in vigore del regime patrimoniale legale), allora oggetto della comunione (sia immediata, sia residuale, a seconda dei casi sopra esaminati) sarà l'intero complesso aziendale; in caso contrario la comunione (immediata o de residuo a seconda dei casi) interesserà solo gli utili e gli incrementi. Può capitare che un bene, destinato inizialmente all'attività d'impresa di uno dei coniugi, venga poi destinato ad altro scopo; è da ritenere questa circostanza irrilevante, dovendosi fare riferimento al momento dell'acquisto del bene stesso.

Variegata è la ratio dell'istituto della comunione de residuo: nelle ipotesi contemplate nell'art. 177 lett. b) e c) il legislatore ha inteso individuare una soluzione di compromesso tra il principio solidaristico posto a base della vita coniugale, da un lato, e la tutela della proprietà privata e della remunerazione del lavoro, dall'altro. Quanto all'art. 178 c.c., assumono rilievo anche motivi di opportunità: si è preferito evitare di coinvolgere il coniuge non imprenditore nella posizione di responsabilità illimitata dell'altro, e di garantire a quest'ultimo la piena libertà d'azione nell'esercizio della sua attività d'impresa.

La comunione de residuo ha dato luogo ad un vivace dibattito dottrinale, mentre più contenute solo le pronunce giurisprudenziali, soprattutto su aspetti assai importanti, come la natura del diritto, tanto da sollecitare un intervento delle Sezioni Unite, ai sensi dell'art. 374 comma 2, c.c.. Pare opportuno rammentare come i beni in comunione de residuo non possano considerarsi comuni fino a quando non sia intervenuta una causa di scioglimento del regime legale. Prima di quel momento è configurabile in capo all' “altro” coniuge una situazione qualificabile in termine di aspettativa e non certo di diritto. Più che di beni personali (anche per evitare confusione con quelli elencati dall'art. 179 c.c.) pare opportuno esprimersi in termini di beni «propri», ossia di esclusiva titolarità del coniuge percettore dei frutti o redditi, piuttosto che esercente attività d'impresa.

L'utilizzo dell'aggettivo«propri» è suggerito del resto anche dal particolare regime giuridico cui i beni in questione sono sottoposti, come già anticipato. Secondo la dottrina non è infatti consentito applicare ad essi il meccanismo della surrogazione descritto nella lett. f) dell'art. 179 c.c.. A tali conclusioni è pervenuta anche la giurisprudenza (cfr. Cass., 23 settembre 1997, n. 9355). Si è al riguardo affermato che i beni acquistati con i proventi dell'attività separata di uno dei coniugi «entrano immediatamente e di pieno diritto a far parte della comunione, senza che vi sia possibilità di esclusione tramite la dichiarazione prevista dall'art. 179, lett. f), c.c., che trova applicazione unicamente in relazione all'acquisto effettuato con il prezzo del trasferimento dei beni personali, tassativamente elencati dal predetto art. 179 c.c.». A sua volta, si è precisato che la differenza tra comunione immediata e comunione de residuo, sta nel fatto che i beni oggetto di quest'ultima rimangono «propri» del coniuge titolare sino al momento dello scioglimento; momento nel quale entreranno a far parte di una situazione di contitolarità, che costituisce il presupposto della divisione in parti uguali (Cass., 12 settembre 2003, n. 13441).

Dall'applicazione dei principi suddetti consegue che i beni della comunione de residuo possono essere aggrediti esecutivamente, nella loro interezza, da parte dei creditori personali del coniuge, alla stregua di beni personali, fino al momento dello scioglimento del regime patrimoniale legale (cfr. Cass., 29 novembre 1986, n. 7060). Dopo detto scioglimento il principio può continuare a trovare applicazione, solo ove si consideri come obbligatorio e non reale il diritto dell'”altro” coniuge. L'aspetto più complesso della comunione de residuo attiene infatti proprio alla natura giuridica del diritto di cui diviene titolare l'altro coniuge, al verificarsi di una causa di scioglimento del regime legale. Come si evince dell'ordinanza in commento, la dottrina ha espresso sul punto due diverse tesi. Da un lato, si ritiene formarsi ex lege una situazione di contitolarità reale sui beni che costituiscono oggetto della comunione medesima; dall'altro, si opta per la natura meramente «creditizia» delle pretese del coniuge, che si risolverebbero in una mera partita di conto tra i valori delle due masse, con conseguente nascita di un diritto di credito sulla metà del valore del patrimonio dell'altro, rilevante ex art. 177 lett. b) e c), ovvero sui beni, mobili o immobili, facenti parte della di lui azienda.

Osservazioni

Come osserva la pronuncia in commento, la Suprema Corte mai ha avuto occasione di prendere specifica posizione quanto al diritto, reale o di credito, vantato sui beni “propri” dell'altro coniuge, dopo la cessazione del regime patrimoniale legale. Si registrano infatti diverse decisioni, che si sono pronunciate solo incideter tantum, all'interno di fattispecie differenziate.

La tesi della natura reale del diritto ha il pregio di corrispondere maggiormente al tenore letterale degli artt. 177 e 178 c.c. che si riferiscono, per l'appunto, alla «comunione» (Cfr. Auletta, La comunione legale, in Trattato di diritto privato, diretto da Bessone, III, Torino 2011, 318; De Rubertis, Comunione legale di azienda e società di fatto, in Vita not., 1979, 181). Ciò determina peraltro un sacrificio della libertà d'azione dell'imprenditore, proprio quando viene meno il regime della comunione legale. Sta di fatto poi che oggetto della comunione de residuo sono non solo somme di denaro, ma anche beni, sia mobili che immobili. In tal caso assumere l'automatico venire in essere di una situazione di contitolarità reale in capo a tali beni verrebbe a creare problemi notevoli nei rapporti con i terzi, ai quali legittimamente può sfuggire l'esistenza di ragioni che determinano l'assoggettamento alla comunione di beni a questa apparentemente sottratti, come già si è visto quanto ai profili esecutivi. Maggiormente aderente alla ratio (ma non al testo) delle norme pare allora la tesi della natura di un diritto di credito pari ad un mezzo del denaro oggetto di comunione de residuo, ovvero del valore dei beni aziendali, come ebbe ad affermare, nella specie, la Corte d'appello di Cagliari. Più specificamente, allo scioglimento del regime legale, in comunione cadrebbe non già l'azienda, quanto piuttosto il valore dalla stessa raggiunto, al netto delle passività (Cian, Villani, Comunione dei beni tra coniugi (legale e convenzionale), in NN.D.I., app., II, Torino, 1981, 162; Schlesinger, Della comunione legale, in Commentario al diritto italiano della famiglia, a cura di Cian, Oppo e Trabucchi, III, Milano 1982, 144).

La regola della parità delle quote in comunione de residuo, in quanto strettamente legata a quella principale della comunione immediata non pare suscettibile di deroga, dovendosi applicare anche per tale profilo il disposto dell'art. 210 c.c. (sul tema v. OBERTO, I contratti della crisi coniugale, Milano, 1999, I, 164).

Ad ogni buon conto, anche la giurisprudenza di merito solo in rare occasioni ha avuto modo di pronunciarsi specificamente sul punto (per tutte v. Trib. Camerino 5 agosto. 1988, in Foro it 1990, I, 2333), secondo cui «La comunione de residuo ha natura di mero diritto di credito e non attribuisce al coniuge non imprenditore alcuna automatica ragione nei confronti dei beni aziendali, essendo la sua posizione subordinata al previo soddisfacimento dei creditori dell'impresa»). Con riferimento alla quota in società di persone, si è precisato che il coniuge non socio acquista, al momento dello scioglimento della comunione, solo un credito virtuale alla eventuale e futura liquidazione della quota medesima (Trib. Grosseto 28 ottobre 2016, ined,). La partecipazione di un coniuge ad una società di persone ricade infatti nella comunione de residuo ex art. 178 c.c., con conseguente diritto di credito a favore dell'altro coniuge esigibile al momento della separazione personale e quantificabile nella metà del plusvalore realizzato a tale momento, come del resto ha avuto ad affermare anche la stessa Corte di Cassazione (Cass. 20 marzo 2013, n. 6876). Del resto, e di tanto dà puntuale atto la decisione in esame, anche la stessa giurisprudenza tributaria di legittimità, senza approfondire più di tanto la problematica, propende, come si è visto, per la natura obbligatoria, e non reale, del diritto del coniuge sui beni dell'azienda gestita dall'altro (Cass. 9 maggio 2007, n. 10608). Sta di fatto che, con riguardo ai risparmi depositati su un conto corrente, la Suprema Corte ha affermato che la morte di uno dei coniugi attribuisce al superstite una contitolarità sul saldo in forza di un diritto proprio non ereditario (Cass. 16 luglio 2008, n. 19567).

Sarà allora estremamente interessante vedere quale sarà la posizione che le Sezioni Unite intenderanno assumere, una volta investite specificamente della questione, non senza rimarcare come l'opzione tra l'una o l'altra tesi sia foriera di conseguenze pratiche di notevole importanza.

Riferimenti

Oberto, La comunione legale tra coniugi, in Trattato di diritto civile e commerciale, Milano 2010.

Rimini, Acquisto immediato e differito nella comunione legale fra coniugi, Padova, 2001.

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