Promessa di matrimonio e trasferimenti immobiliari tra fidanzati

Gabriele Mercanti
22 Dicembre 2021

Nel caso in cui le nozze non vengano celebrate e salti il fidanzamento tra i due – ex – futuri sposi, chi ha donato l'immobile ha il diritto di rientrarne in possesso?
Massima

I doni tra fidanzati, di cui all'art. 80 c.c., non essendo equiparabili né alle liberalità in occasione di servizi, né alle donazioni fatte in segno tangibile di riconoscenza per i servizi resi in precedenza dal donatario, né alle liberalità d'uso, ma costituendo vere e proprie donazioni, come tali soggette ai requisiti di sostanza e di forma previsti dal codice, possono essere integrati anche da donazioni immobiliari, ivi comprese le donazioni indirette. Anche in questa eventualità, ai fini dell'azione restitutoria, occorre accertare sempre e soltanto che i doni siano stati fatti "a causa della promessa di matrimonio" e che si giustifichino per il solo fatto anzidetto, al punto da non trovare altra plausibile giustificazione al di fuori di questo.

Il caso

Stante la promessa di matrimonio avvenuta due anni prima, nell'anno 2004 L.B. acquistava da L.P. un appartamento; tuttavia, a seguito della mancata celebrazione delle nozze (la cui data era stata perfino già stabilita), il V.G. ne chiedeva successivamente la revoca ai sensi dell'art. 80 c.c., ai sensi del quale “il promittente può domandare la restituzione dei doni fatti a causa della promessa di matrimonio, se questo non è stato contratto”, in quanto asseriva che detta vendita fosse in realtà da qualificare come donazione indiretta dal V.G. alla L.B. dell'appartamento in vista delle future nozze e che, quindi, la L.B. avrebbe dovuto restituire al V.G. detto immobile. Giova preliminarmente notare che la ricostruzione fattuale riportata nella sentenza qui in commento è di estrema brevità: si può ragionevolmente presumere, però, che la L.B. - in vista del matrimonio con il V.G. - avesse comprato un appartamento da L.P., ma che il relativo prezzo fosse stato versato al venditore non dalla L.B. bensì dal V.G. così venendosi ad integrare gli estremi della c.d. donazione indiretta.

Il Tribunale di Taranto respinse la domanda attorea sulla base di un doppio passaggio: il primo era che i doni effettuati in vista del matrimonio fossero da qualificare come liberalità d'uso ex art. 770, comma 2, c.c.; il secondo era che dall'alveo di dette liberalità fossero da escludere in nuce quelle aventi ad oggetto immobili, in quanto essendo le donazioni immobiliari soggette al rigore formale di cui al combinato disposto dagli art. 782 c.c. e 48 della Legge Notarile le stesse mai avrebbero potuto essere conformi agli usi (come, invece, prevede il cit. comma 2 dell'art. 770 c.c.). Avverso detta decisione, la parte soccombente ricorreva in appello, ma la Corte d'Appello di Lecce - Sezione distaccata di Taranto confermava l'esito del giudizio di primo grado. Il V.G., allora, ricorreva in Cassazione fondando la propria doglianza su un solo motivo denunziando la violazione e falsa applicazione dell'art. 80 c.c., poiché - stante il suo ampio tenore letterale riferentesi ai “doni” - non ne sarebbe giustificato escluderne dal perimetro operativo anche le donazioni immobiliari, dirette o indirette che siano.

La questione

L'immobile acquistato dall'ex fidanzato in vista delle nozze, mai più celebrate, va a lui resituito?

Le soluzioni giuridiche

Per affrontare il caso è ineludibile una breve disamina sulla figura della promessa di matrimonio, da intendersi come dichiarazione con cui due persone reciprocamente promettono di contrarre matrimonio (scettico sull'utilità in sé dell'istituto è G. Oberto, Famiglia e matrimonio in Trattato di diritto di famiglia diretto da P. Zatti, 1, I, Milano, Giuffrè, 2011, 330: “Può apparire a tutta prima vista strano che ancora oggi si manifesti interesse per una figura, quale la promessa di matrimonio, sull'opportunità della cui regolamentazione autorevole dottrina esprimeva, già diversi anni or sono, le più serie perplessità. Perplessità che sono destinate inevitabilmente ad accrescersi di fronte ad altre riflessioni, come quella secondo cui una società che ha fortemente ridimensionato il significato del matrimonio quale unione indissolubile dovrebbe attribuire un altrettanto minore importanza all'impegno di contrarre siffatto vincolo”). Detta promessa, ancorchè - come intuibile - debba essere sorretta da leale ed effettivo intendimento degli interessati, è scevra da rigore formale (così, tra i tanti, T. Auletta, Il regime patrimoniale della famiglia, Milano, Giuffrè, 2000, 23: “Questa decisione, giuridicamente rilevante sotto certi profili, deve risultare con certezza anche se non occorre che venga formalizzata o ufficializzata”). Ad ogni modo la legge si limita a stabilire pochi aspetti e così: a) che essa non sia vincolante (l'art. 79 c.c. sancisce, infatti, che “non obbliga a contrarlo né ad eseguire ciò che si fosse convenuto per il caso di non adempimento”); b) che, proprio in quanto non vincolante, “il promittente può domandare la restituzione dei doni fatti a causa della promessa di matrimonio, se questo non è stato contratto (così testualmente il già cit. art. 80 c.c.); c) che solo eccezionalmente, e precisamente nel caso in cui si tratti di promessa “qualificata” cioè allorquando sia stata fatta vicendevolmente per atto pubblico o per scrittura privata oppure risulti dalla richiesta della pubblicazione, abbia una precipua valenza ai fini risarcitori (ivi, infatti, l'art. 81 c.c. sancisce per il promittente che senza giusto motivo ricusi di eseguirla l'obbligo di “risarcire il danno cagionato all'altra parte per le spese fatte e per le obbligazioni contratte a causa di quella promessa”, ma “entro il limite in cui le spese e le obbligazioni corrispondono alla condizione delle parti”). Nulla, invece, le norme dicono circa la natura giuridica di una siffatta promessa: la rara giurisprudenza sul punto da un lato l'ha qualificata come “mero fatto sociale e non produttiva di alcun effetto giuridico diretto” (Cass. 2 maggio 1983, n. 3015) e dall'altro, in termini negativi, né ha escluso la natura tanto contrattuale (Cass. 15 aprile 2010, n. 9052) quanto negoziale (Trib. Reggio Calabria, 12 agosto 2003). A chiusura del punto, non serve spendere eccessivo spazio - stante l'ovvia rilevanza sistemica di garantire la libertà matrimoniale - per sostenere la nullità di ogni pattuizione volta ad attribuire vincolatività diretta o indiretta alla promessa di matrimonio (così App. Napoli, 13 febbraio 1974, che ha bollato di nullità anche l'obbligazione, assunta non dai nubendi bensì da un terzo, di pagare una somma al fidanzato abbandonato per il caso di inadempimento della promessa).

Per addentrarsi, invece, nel thema decidendum occorre circoscrivere la nozione “dei doni fatti a causa della promessa di matrimonio” occorrendo demarcarne il confine con le figure della donazione obnuziale (id est, ex art. 785 c.c., della “donazione fatta in riguardo di un determinato futuro matrimonio, sia dagli sposi tra loro, sia da altri a favore di uno o di entrambi gli sposi o dei figli nascituri da questi”) e della liberalità d'uso (id est, ex art. 770 comma 2 c.c., della “liberalità che si suole fare in occasione di servizi resi o comunque in conformità agli usi”). Per quanto attiene alle donazioni obnuziali, la diversità è inequivocabilmente sancita dal cit. art. 785 c.c. in forza del quale le stesse non producono effetti sino alla celebrazione del matrimonio, mentre l'attribuzione regolata dall'art. 80 c.c. è, giocoforza, immediatamente efficace tant'è che ne è riconosciuta al promittente la possibilità di ottenerne la restituzione (su tutti, G. Oberto, cit., 334: “Basti dire, tanto per cominciare, che, mentre l'art. 785 c.c. stabilisce l'inefficacia della donazione fino al momento della celebrazione delle nozze, l'art. 80 c.c. presuppone l'effettuazione di attribuzioni immediatamente efficaci”; si noti che analoga argomentazione è stata utilizzata anche nella pronuncia in commento). Meno netta, invece, è la distinzione con le liberalità d'uso, in quanto anche il dono tra nubendi certamente può essere caratterizzato dal rispetto del costume sociale (tale assimilazione è avallata da Cass., Sez. I, 10 dicembre 1988, n. 6720). Secondo altro filone di pensiero, invece, il dono tra fidanzati, non richiedendo la legge - a differenza di quanto prescritto dall'art. 770 c.c. - valutazioni di sorta circa la valenza sociale ed ambientale della condotta volitiva, è da ascrivere al novero delle donazioni (vere e proprie). Trasversale ad ambo le ricostruzioni, sono due ulteriori aspetti. Il primo attiene al valore dell'attribuzione che, ove non modico, impone la sua formalizzazione per atto pubblico non essendo sufficiente la mera traditio di cui all'art. 783 c.c. (occorre, però, precisare che la modicità del valore della liberalità non sarebbe requisito imprescindibile delle liberalità d'uso: Cass., Sez. III, 18 settembre 2014, n. 19636 ; Cass., Sez. I, 9 dicembre 1993, n. 12142; Cass., Sez. I, 10 dicembre 1988, n. 6720; Trib. Rovigo, 7 dicembre 2007). Il secondo attiene all'oggetto dell'attribuzione ove lo stesso sia costituito da un bene immobile, poiché siffatta eventualità è stata reputata incompatibile con la liberalità da effettuarsi in conformità agli usi (App. Napoli, 10 maggio 2001), mentre il tema - forse per la ridotta ricorrenza nella pratica - appare poco esplorato nell'ambito delle operazioni tra nubendi.

La Corte di Cassazione sgombra il campo da quella che reputa un'indebita sussunzione dei doni tra fidanzati nel novero delle liberalità d'uso ex art. 770, comma 2., c.c. asserendo lapidariamente che “questa affermazione, nella sua assolutezza, non può essere condivisa”. Il S.C., infatti, afferma che l'assimilazione tra le due categorie sia frutto di un'interpretazione immotivatamente riduttiva della fenomenologia dei rapporti (patrimoniali) tra fidanzati dato che la ratio sottesa all'obbligo restitutorio sancito dall'art. 80 c.c. non sia supportata da esclusive logiche patrimoniali, ma sia quella di addivenire “alla eliminazione di tutti i possibili segni di un rapporto che non è giunto a compimento, e che è opportuno rimuovere per quanto possibile”. Inoltre, gli Ermellini sostengono - a parere di scrive condivisibilmente - che la regolamentazione della figura in esame non possa prescindere da una sua “attualizzazione” al contesto sociale fatalmente mutato rispetto a quello di gestazione del codice civile dato che “è appunto conforme alla realtà sociale constatare che una delle frequenti ipotesi di dono effettuato in vista del futuro matrimonio è - oggi - proprio quella in cui persone vicine ai fidanzati (o anche a uno di essi), come per esempio i genitori, acquistino o ristrutturino immobili da destinare alla famiglia che nascerà” ovvero che “sempre il costume sociale ben conosce la prospettiva in cui uno dei nubendi impieghi somme per acquistare o ristrutturare l'appartamento dell'altro, in vista del matrimonio”. Da tale lucida presa d'atto il punto d'arrivo non può che essere segnato, in quanto “non si comprende allora per qual ragione, una volta appurato che tale è una delle possibilità che il costume sociale offre alle parti, codesto tipo di donazione prenuziale non possa dirsi uniformabile al diritto sancito dall'art. 80 di ottenere - entro il termine di decadenza - la restituzione del bene (o la revoca dell'atto) nei casi di rottura del fidanzamento”. Naturalmente, l'obbligo restitutorio de quo impone una rigorosa analisi della vicenda patrimoniale intercorsa tra i nubendi, a maggior ragione in un caso come quello in esame che coinvolgeva anche un soggetto terzo estraneo alle dinamiche affettive, poiché non basta per includerla nell'alveo dell'art. 80 c.c. che la liberalità sia stata effettuata tra due soggetti tra loro affettivamente legati, ma occorre necessariamente un quid pluris dato dal fatto che i “doni siano stati fatti «a causa della promessa di matrimonio», e che si giustifichino per il sol fatto che tra le parti è intercorsa una promessa in tal senso, al punto da non trovare altra plausibile giustificazione al di fuori di questa”.

Per quanto detto sopra, dunque, la sentenza d'appello è stata cassata (con rinvio).

Osservazioni

Il caso affrontato dalla Suprema Corte era tutt'altro che di banale portata, in quanto imponeva dapprima una qualificazione giuridica di una fattispecie normativamente atecnica (come detto, l'art. 80 c.c. parla laconicamente di “doni”) e, successivamente, una valutazione evolutiva della stessa stante l'inevitabile anacronismo insito nel concetto promessa di matrimonio (emblematico dell'evoluzione temporale è Trib. Pavia, 4 aprile 2019, che ha reputato valida la volontà di contrarre matrimonio prestata nel corso di uno show televisivo). Il passaggio strettamente qualificatorio, seppur non eccessivamente argomentato dalla pronuncia, ha portato ad una condivisibile autonomia ontologica dal dono correlato alla promessa di matrimonio rispetto alla liberalità d'uso: senza voler indugiare in (inutile?) emotività, ipotizzare che il dono al futuro coniuge venga effettuato per adeguarsi al costume sociale appare quantomeno bizzarro dato che incuneandosi in questa logica argomentativa anche il matrimonio stesso diverrebbe vuoto simulacro conformista. Ma la trave portante della sentenza è nel riconoscimento del ruolo performante della norma che non può essere soffocata quale vox clamantis in deserto: la costruzione del matrimonio, peraltro in un momento storico di drammatica crisi economica e sociale che mina anche le aggregazioni umane, passa anche da complessi percorsi patrimoniali ed economici che la funzione evolutiva del sistema giuridico non può colpevolmente ignorare. Ecco che, quindi, correttamente la Corte ha colto l'intima essenza della fattispecie al suo vaglio riconoscendo che un “dono” in vista del matrimonio ben possa essere costituito da un trasferimento immobiliare (del resto se tale è stato riconosciuto da Cass., 15 febbraio 2005, n. 2979, l'esborso per le spese di ristrutturazione di un immobile … non si vede perché analoga qualificazione non possa applicarsi al trasferimento immobiliare in sè). Da non sottovalutare è anche la breve disamina contenuta nella pronuncia de quo sul rapporto tra obbligo restitutorio e donazione indiretta, dato che nel caso in esame l'attribuzione patrimoniale tra i nubendi era avvenuta, appunto, indirettamente: mutuando la ricostruzione di legittimità avallata in tema di contrattazione preliminare (Cass., Sez. II, 15 gennaio 1986, n. 171), è stato ritenuto che in caso di divaricazione tra acquirente del cespite e soggetto che ne sostiene l'esborso economico, il venir meno del rapporto sottostante tra tali due soggetti non possa in alcun modo travolgere la posizione del soggetto terzo estraneo a detto accordo. Attraverso questa ineccepibile assimilazione, quindi, l'obbligo restitutorio gravante - ex art. 80 c.c. - il proprietario dell'immobile non potrebbe in alcun modo coinvolgere l'originario venditore dato che, diversamente, ne sarebbe insanabilmente minata la stabilità della circolazione immobiliare; ecco che, allora, gli Ermellini giocano la carta della presupposizione con la conseguenza che “ove sia accertato il sopravvenuto venir meno della causa donandi (in caso di donazione indiretta immobiliare fatta in previsione di un futuro matrimonio poi non celebrato) si determina la caducazione dell'attribuzione patrimoniale al donatario senza incidenza, invece, sull'efficacia del rapporto fra il venditore e il donante, il quale per effetto di retrocessione viene ad assumere la qualità di effettivo acquirente”.

Riferimenti

C. Caricato, Ancora sulla promessa di matrimonio, in Famiglia, persone e successioni, 2012, 6, 431;

G. Oberto, Il matrimonio è morto: evviva la promessa di matrimonio!, in Famiglia e Diritto, 2012, 4, 329

L. Siliquini Cinelli, La promessa di matrimonio: "liberas nuptias esse placuit", in Danno e Responsabilità, 2011, 1, 36

M. Schepis, "Prima i confetti poi i difetti...": le conseguenze della rottura della promessa di matrimonio secondo la Corte di cassazione, in Giur. It., 2010, 11, 2282.

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