La Corte di Giustizia in tema di congedo parentale e status di lavoratore al momento della nascita del figlio
04 Gennaio 2022
Massima
Le clausole 1.1, 1.2 e 2.1, nonché la clausola 3.1, lettera b), dell'accordo quadro sul congedo parentale (riveduto), del 18 giugno 2009, che figura in allegato alla direttiva 2010/18/UE del Consiglio, dell'8. marzo 2010, che attua l'accordo quadro riveduto in materia di congedo parentale concluso da BUSINESSEUROPE, UEAPME, CEEP e CES e abroga la direttiva 96/34/CE, devono essere interpretate nel senso che esse non ostano a una normativa nazionale che subordina il riconoscimento del diritto al congedo parentale alla condizione che il genitore interessato abbia occupato un impiego senza interruzione per un periodo di almeno dodici mesi immediatamente precedente l'inizio del congedo parentale.
Per contro, dette clausole ostano a una normativa nazionale che subordina il riconoscimento del diritto al congedo parentale allo status di lavoratore del genitore al momento della nascita o dell'adozione del figlio.
Fonte: ilgiuslavorista.it La questione
La domanda di pronuncia pregiudiziale consente di riflettere sulla portata del diritto al congedo parentale nella prospettiva del diritto dell'Unione Europea.
In via preliminare la Corte si occupa di stabilire se la controversia sia disciplinata dalla direttiva 96/34 o dalla successiva direttiva 2010/18, osservando che le condizioni per la concessione del diritto al congedo parentale costituiscono norme sostanziali che si applicano a partire dall'entrata in vigore dell'atto che le introduce. In forza dell'art. 4, direttiva 2010/18, la direttiva 96/34 è stata abrogata a decorrere dall'8 marzo 2012, costituendo tale data, ai sensi dell'art. 3, par. 1, direttiva 2010/18 e della clausola 8.4 dell'accordo quadro, il termine entro cui gli Stati membri avrebbero dovuto conformarsi alle disposizioni della direttiva 2010/18 e dell'accordo quadro o, se del caso, avrebbero dovuto accertarsi che le parti sociali avessero attuato le disposizioni necessarie a tal fine. Di conseguenza, poiché la domanda di congedo parentale è stata presentata nel marzo 2015, con data di inizio a settembre 2015, la Corte osserva, - stante l'irrilevanza della circostanza che i figli siano nati nel marzo 2012 - che è applicabile alla controversia la direttiva 2010/18 e che le clausole 1.1, 1.2 e 2.1, nonché la clausola 2.3, lett. b), dell'accordo quadro allegato alla direttiva 96/34 corrispondono in sostanza alle clausole 1.1, 1.2 e 2.1, nonché alla clausola 3.1, lett. b), dell'accordo quadro riveduto; pertanto, la Corte riformula la questione sollevata come diretta ad ottenere l'interpretazione di tali clausole dell'accordo quadro riveduto.
In proposito, la Corte ricorda che, secondo costante giurisprudenza, ai fini dell'interpretazione di una disposizione di diritto dell'Unione si deve tener conto non soltanto del suo tenore letterale, ma anche del contesto e degli scopi perseguiti dalla normativa in cui si colloca (Maïstrellis, C-222/14 del 16 luglio 2015 e Wasserleitungsverband Nördliches Burgenland e a., C-197/18 del 3 ottobre 2019).
Per quanto riguarda, in primo luogo, la questione se le clausole in esame dell'accordo quadro ostino ad una normativa nazionale che subordina il riconoscimento del diritto al congedo parentale all'occupazione ininterrotta da parte del genitore di un impiego per un periodo di almeno dodici mesi immediatamente precedente l'inizio del congedo, la Corte osserva che dai termini della clausola 3.1, lett. b), dell'accordo quadro risulta che gli Stati membri possono subordinare la concessione del congedo ad una previa anzianità lavorativa che non può superare un anno.
Alla luce dell'espressione «anzianità lavorativa» e del fatto che la disposizione prevede che il calcolo dell'anzianità avvenga tenendo conto della durata complessiva di più contratti a tempo determinato presso lo stesso datore di lavoro, gli Stati membri possono esigere che l'anzianità sia continuativa. Inoltre, poiché con la domanda di congedo parentale il richiedente intende ottenere una sospensione del rapporto di lavoro (Hliddal e Bornand, C-216/12 e C-217/12 del 19 settembre 2013), gli Stati membri possono esigere che la previa anzianità lavorativa sia riferibile ad un periodo immediatamente precedente l'inizio del congedo.
In tal modo la Corte chiarisce che le clausole 1.1, 1.2 e 2.1, nonché la clausola 3.1, lett. b), dell'accordo quadro non ostano ad una normativa nazionale che subordina il riconoscimento del diritto al congedo parentale alla condizione che il genitore abbia occupato un impiego senza interruzione per un periodo di almeno dodici mesi immediatamente precedente l'inizio del congedo. Le soluzioni giuridiche
Con riferimento alla questione se le clausole dell'accordo quadro ostino ad una normativa nazionale che subordina il riconoscimento del diritto al congedo parentale alla condizione che il genitore occupi un impiego al momento della nascita del figlio oppure dell'accoglienza dei figli adottandi, la Corte osserva che, ai sensi della clausola 2.1 dell'accordo quadro, il diritto al congedo parentale è un diritto individuale riconosciuto ai lavoratori di ambo i sessi per la nascita o l'adozione di un figlio, affinché il genitore possa averne cura fino a una determinata età - definita dagli Stati membri -, ma che non può essere superiore a otto anni.
L'accordo quadro stabilisce prescrizioni minime volte ad agevolare la conciliazione di responsabilità professionali e familiari dei genitori che lavorano e si applica a tutti i lavoratori, di ambo i sessi, aventi un contratto o un rapporto di lavoro definito dalle leggi, dai contratti collettivi e/o dalle prassi vigenti in ciascuno Stato membro.
Premesso che la clausola 3.1, lett. b), dell'accordo quadro consente agli Stati membri di subordinare il diritto al congedo parentale ad una determinata anzianità lavorativa e/o aziendale che non può superare un anno, - con la conseguenza che la nascita o l'adozione di un bambino e lo status di lavoratore dei genitori sono condizioni costitutive del diritto al congedo -, la Corte chiarisce che da dette condizioni non si può dedurre che i genitori del bambino per il quale il congedo è richiesto debbano essere lavoratori al momento della nascita o dell'adozione di quest'ultimo.
La direttiva 2010/18 si inserisce nel contesto dell'art. 153 TFUE, che consente all'Unione di sostenere e completare l'azione degli Stati membri, tra l'altro, nel settore del miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro e in quello dell'istituzione di un'adeguata protezione sociale dei lavoratori.
La Corte precisa che alla luce degli obiettivi dell'accordo quadro (promuovere la parità tra uomini e donne in tema opportunità sul mercato del lavoro ed il trattamento sul lavoro in tutta l'Unione, migliorare la conciliazione tra vita professionale, vita privata e vita familiare dei genitori lavoratori), il diritto individuale di ciascun genitore lavoratore al congedo parentale per la nascita o l'adozione di un figlio, sancito dalla clausola 2.1 dell'accordo quadro, va inteso nel senso che esso riflette un diritto sociale dell'Unione particolarmente importante, sancito dall'art. 33, par. 2, della Carta dei diritti fondamentali; diritto che non può essere interpretato in modo restrittivo (Lyreco Belgium, C-588/12 del 27 febbraio 2014).
In tal senso, la nascita del bambino è condizione costitutiva del diritto al congedo parentale, ma il diritto non si ricollega alla data della nascita, non essendo richiesto che la nascita sia avvenuta dopo la data di entrata in vigore della direttiva 96/34 nello Stato membro affinché i genitori possano beneficiare del diritto al congedo in applicazione della direttiva (Commissione/Lussemburgo, C-519/03 del 14 aprile 2005 e Chatzi, C-149/10 del 16 settembre 2010).
Ciò posto, la Corte afferma che escludere i genitori che non lavoravano al momento della nascita o dell'adozione del figlio equivarrebbe a limitare il loro diritto alla possibilità di fruire del congedo parentale in un momento successivo della loro vita in cui svolgano nuovamente un'attività lavorativa e del quale avrebbero bisogno per conciliare responsabilità familiari e professionali. Si tratterebbe, dunque, di una esclusione contraria al diritto individuale di ciascun lavoratore di disporre del congedo parentale. Osservazioni
In conclusione, sembra opportuno soffermarsi brevemente sulla duplice condizione prevista dalla normativa lussemburghese, - la quale impone che il lavoratore occupi un impiego e, a tale titolo, sia iscritto al regime previdenziale non soltanto per almeno dodici mesi consecutivi immediatamente precedenti l'inizio del congedo parentale, ma anche al momento della nascita o dell'adozione del figlio.
Sul punto la Corte osserva che tale condizione porta, ove la nascita o l'adozione risalga a più di dodici mesi prima dell'inizio del congedo, a prolungare la condizione relativa all'anzianità lavorativa e/o aziendale che non può, tuttavia, superare un anno, in forza della clausola 3.1., lett. b), dell'accordo quadro. Pertanto, alla luce del contesto e degli obiettivi dell'accordo quadro, le clausole 1.1, 1.2 e 2.1, nonché la clausola 3.1, lett. b), non possono essere interpretate nel senso che uno Stato membro può subordinare il diritto del genitore al congedo parentale alla condizione che lo stesso lavori al momento della nascita o dell'adozione del figlio. Riferimenti
V. Viale, R. Zucaro, I congedi a tutela della genitorialità nell'Unione europea. Un quadro comparato per rileggere il Jobs Act in Working Paper ADAPT, 10 aprile 2015, n. 175. |