Il cram down fiscale e contributivo: le contraddizioni innescate nel sistema

Sergio Di Amato
12 Gennaio 2022

La questione della definizione del debito tributario e contributivo è centrale nell'ambito delle soluzioni concordate della crisi, come evidenziato anche da una recente rilevazione statistica dell'ODCEC presso il Tribunale di Milano. L'articolo si sofferma sui due principi che per anni hanno caratterizzato il nostro sistema di procedure concorsuali; sulla transazione fiscale e sul cram down per i debiti tributari e contributivi introdotto all'esito delle modifiche dettate dal D.L. 125/2020 e dal D.L. 118/2021.
Premessa

La questione della definizione del debito tributario e contributivo è centrale nell'ambito delle soluzioni concordate della crisi.

Infatti, secondo una recente rilevazione statistica dell'ODCEC presso il Tribunale di Milano, i crediti dell'Erario e degli Enti previdenziali insinuati nei fallimenti rappresentano quasi il 40% del totale.

La ragione delle rilevanti dimensioni dei debiti tributari e contributivi nelle imprese in crisi è evidente.

I primi debiti che non sono onorati sono proprio quelli tributari, assieme a quelli per i contributi. L'imprenditore in difficoltà, infatti, usa le sue risorse per pagare quei creditori che, se insoddisfatti, reagirebbero prontamente troncando i rapporti, procedendo al recupero dei loro crediti e rendendo così impossibile la prosecuzione dell'attività. Il riferimento è, naturalmente, anzitutto alle banche ed ai fornitori; ma anche i dipendenti, per quanto creditori deboli, vengono prima del Fisco e dell'INPS.

La ragione sta nella ontologica lentezza del creditore pubblico e nella obiettiva complessità e durata delle procedure di accertamento e riscossione.

Il debito tributario e le procedure concorsuali

A fronte del rilievo centrale del debito tributario – che è in larga misura di natura privilegiata -– per anni il nostro sistema di procedure concorsuali è stato caratterizzato da due principi: da un lato quello dell'integrale soddisfacimento dei crediti privilegiati in sede di concordato e, dall'altro, quello della indisponibilità sia della pretesa tributaria da parte del Fisco, sia della pretesa contributiva, da parte degli Enti di previdenza e assistenza, in quanto legata alla posizione degli assicurati.

Il primo principio è venuto meno con la riforma del concordato del 2005-2007 (più precisamente con il D.Lgs. correttivo n. 169/2007), che ha ammesso il pagamento in percentuale per la parte eccedente il valore dei beni gravati da privilegio. Con la predetta riforma nel 2006 è venuto meno anche il secondo principio, attraverso l'introduzione nel nostro ordinamento della c.d. transazione fiscale (art. 182 ter l.fall.).

Il principio di indisponibilità del credito tributario, d'altro canto, era consacrato solo in una legge ordinaria (art. 49 R.D. n. 827/1924, regolamento sull'amministrazione del patrimonio e sulla contabilità generale dello Stato), per cui legittimamente è stato derogato da una norma successiva. Spesso si ricorda come precedente la c.d. transazione sui ruoli, prevista dall'art. 3 D.L. 138/2002, che tuttavia non era davvero tale poiché contemplava “in caso di accertata maggiore economicità e proficuità rispetto alla riscossione coattiva” solo la possibilità della dilazione delle somme iscritte a ruolo.

La transazione fiscale

Naturalmente, come tutti hanno rilevato, la transazione fiscale non era affatto una transazione – visto che poteva intervenire su pretese fiscali definitivamente accertate, e perciò anche in mancanza sia della res dubia, propria della transazione, sia delle reciproche concessioni – e si traduceva semplicemente nell'accettazione da parte del Fisco di una riduzione della propria pretesa (un pactum ut minus solvatur, secondo il noto brocardo). Per questo, opportunamente, il legislatore del 2016 (art. 1, comma 81, L. 232/2016) ha abbandonato l'espressione “transazione fiscale”, preferendogli quella, più appropriata, di “trattamento dei crediti tributari”.

Il termine “transazione fiscale”, però, resiste ancora nella prassi.

Dal 2006 ad oggi la disciplina della transazione fiscale ha subito innumerevoli modifiche, con la stessa volatilità della disciplina che ha caratterizzato la legge fallimentare nel suo complesso.

Nella sua formulazione originaria la proposta di transazione fiscale era, almeno nell'interpretazione che ne ha dato la giurisprudenza di legittimità (Cass., S.U., n. 26988/2016; Cass. ord. n. 22546/2020), facoltativa e autonoma rispetto alla proposta di concordato. L'imprenditore, infatti, poteva conseguire la falcidia dei crediti tributari, indipendentemente dall'accettazione da parte del Fisco della proposta di transazione, in base al principio generale, dettato dall'art. 184 l.fall., dell'efficacia per tutti i creditori del concordato approvato dalla prescritta maggioranza ed omologato dal tribunale.

Con la transazione fiscale si poteva conseguire un ulteriore risultato e cioè quello del consolidamento del debito tributario e della estinzione degli eventuali giudizi in corso. Il che, da un lato, rappresentava un evidente vantaggio per il Fisco, che diventava l'unico creditore per il quale la procedura di concordato contemplava la possibilità di un accertamento convenzionale del debito senza la necessità di una autorizzazione del giudice delegato.

Il che, d'altro canto, se consentiva di offrire ai creditori la certezza circa l'effettiva consistenza del debito tributario, non sempre rappresentava un vantaggio per il debitore, che poteva modulare la proposta solo quanto al trattamento riservato al credito tributario, ma era costretto ad accettare la quantificazione del debito stabilita dal Fisco (Cass. nn. 22931/2011 e 18561/2016).

Le innumerevoli modifiche hanno riguardato:

  • l'estensione agli accordi di ristrutturazione (D.Lgs. 169/2007);
  • l'estensione ai debiti per contributi previdenziali e assistenziali (art. 32, comma 5 e 6,D.L. 185/2008), con la previsione di una normativa secondaria (DM 4 agosto 2009) sulle modalità di applicazione e sui criteri e le condizioni di accettazione da parte degli enti previdenziali. Il D.M., tuttavia, ha previsto il pagamento integrale dei crediti privilegiati ed il pagamento, secondo i casi, del 30 o 40% dei crediti chirografari, così determinando, di fatto, l'impraticabilità della proposta;
  • l'esplicita esclusione (art. 32 cit.) della transazione fiscale per l'IVA (in effetti già compresa nell'originaria esclusione dei “tributi costituenti risorse proprie dell'Unione Europea”);
  • l'esclusione della transazione fiscale per le ritenute operate e non versate dall'imprenditore (art. 29 D.L. 78/2010);
  • l'estensione agli imprenditori agricoli (art. 23, comma 43, D.L. 98/2011);
  • la rimozione dell'esclusione per debiti IVA e per ritenute (l'art. 1, comma 81, L. n. 232/2016), ha riscritto l'art. 182 ter,dopo la sentenza Corte di Giustizia 7 aprile 2016 (causa c-564/2014), che ha affermato la compatibilità della falcidia dell'IVA nel concordato preventivo con la normativa comunitaria]. Per rimuovere l'analoga esclusione della falcidia dell'IVA nell'accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento, si è dovuto, invece, attendere l'intervento della Corte costituzionale (Corte cost. n. 245/2019);
  • l'abbandono del carattere facoltativo della transazione fiscale, che diventa il modo obbligato di formulazione della proposta concordataria nei confronti del Fisco e degli Enti previdenziali (art. 1, comma 81, cit.);
  • l'abbandono del consolidamento del debito e la previsione di una mera certificazione che non impedisce al debitore di contestare l'an ed il quantum delle pretese (L. 232/2016);
  • la previsione nel CCI (art. 48, comma 5, D.Lgs. 14/2019) della possibilità di omologare il concordato e gli accordi di ristrutturazione “in mancanza dell'adesione” quando 1) l'adesione è determinante per il raggiungimento delle percentuali di adesione degli accordi di ristrutturazione o per il raggiungimento delle maggioranze per l'approvazione del concordato; 2) la proposta di soddisfacimento è conveniente rispetto all'alternativa liquidatoria;
  • l'anticipazione di tale ultima disciplina con l'art. 3, comma 1 bis, D.L. n. 125/2020, che ha usato espressioni diverse per concordato preventivo e accordi di ristrutturazione, e cioè rispettivamente “mancanza di voto” e “mancanza di adesione”;
  • la cessazione dell'efficacia del DM 4 agosto 2009 per i crediti previdenziali (art. 3, comma 1 ter, D.L. n. 125/2020);
  • l'uso dell'espressione “mancanza di adesione” anche per il concordato (art. 20, comma 1, lett a, D.L. 118/2021);
  • la previsione, per gli accordi di ristrutturazione, che l'eventuale adesione deve intervenire entro 90 giorni dal deposito della proposta di soddisfacimento (art. 20, comma 1, lett b D.L. 118/2021).
Il cram down per i debiti tributari e contributivi

In buona sostanza, all'esito delle modifiche dettate dal D.L. 125/2020 e dal D.L. 118/2021, è stato introdotto il c.d. Cram Down (ristrutturazione forzosa) per i debiti tributari e per quelli contributivi.

È prevalso perciò un principio di realtà.

Il concordato e la proposta di soddisfacimento nel caso degli accordi di ristrutturazione non possono essere rifiutati, dal Fisco e dagli Enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie, quando rappresentano una soluzione più conveniente rispetto all'alternativa liquidatoria.

Il principio, naturalmente, non è nuovo nel nostro ordinamento e viene variamente declinato in diverse soluzioni.

Anzitutto, la volontà dei creditori è irrilevante, se non veicolata con una opposizione fondata sulla convenienza, nel c.d. concordato coattivo previsto nella LCA, nella amministrazione straordinaria disciplinata dal D.Lgs. n. 270/1999 e nel concordato preventivo liquidatorio semplificato (art. 18 D.L. n. 118/2021); anzi in quest'ultimo il requisito della convenienza declassa ad assenza di pregiudizio rispetto all'alternativa liquidatoria (anche se, comunque, la previsione della necessità di un'utilità per ciascun creditore assicura una maggiore convenienza in quelle situazioni nelle quali l'alternativa liquidatoria non consentirebbe alcun soddisfacimento per i creditori chirografari).

Anche nel concordato preventivo c'è, naturalmente, il cram down per i creditori della minoranza dissenziente, alla quale, come è noto, se ricorrono i previsti requisiti di legittimazione (art. 180, comma 4, l.fall.), è consentito opporsi all'omologazione contestando la convenienza del concordato.

Il cram down fiscale e contributivo, però, è diverso da tutti quelli appena ricordati per i nuovi effetti che produce in un istituto di natura chiaramente negoziale, come gli accordi di ristrutturazione, o in un istituto del quale, è il caso del concordato preventivo, il legislatore, con la riforma del 2005, aveva inteso potenziare il profilo negoziale.

Qui non c'è solo l'omologazione malgrado il dissenso espresso dalla minoranza; infatti, per raggiungere le percentuali previste, c'è (almeno secondo l'opinione che sta prevalendo nella giurisprudenza: v., da ultimo, Trib. Venezia 22 settembre 2021, in il caso.it e, prima della modifica dell'art. 180, comma 4, l. fall., dettata del D.L. n. 118/2021, Trib. Roma 30 giugno 2021, in ilfallimentarista.it.; Trib. Roma 31 maggio 2021, in ntplusfisco.ilsole24ore.com; Trib. Pescara 27 maggio 2021, in ilcaso.it; Trib.Genova 13 maggio 2021, ivi; Trib. Teramo 19 aprile 2021, in ilfallimentarista.it; Trib. La Spezia 14 gennaio 2021, in ilcaso.it; Trib. Forlì 15 marzo 2021, ivi) la sostituzione della volontà del Fisco o degli Enti di previdenza che eventualmente hanno espresso voto contrario.

La scelta del legislatore è stata motivata con la necessità di superare le resistenze e la rigidità del Fisco e degli Enti previdenziali rispetto all'accettazione della transazione fiscale. In astratto, e con una maggiore coerenza sistematica, il legislatore avrebbe avuto l'alternativa di fissare in modo più stringente le regole alle quali gli enti avrebbero dovuto attenersi nella valutazione delle proposte di transazione. Una simile scelta, tuttavia, avrebbe lasciato aperto il problema della incompatibilità dei tempi di eventuali impugnazioni delle decisioni con i tempi del concordato o degli accordi di ristrutturazione.

L'istituto della transazione fiscale così congegnata innesca, tuttavia, nel sistema tutta una serie di contraddizioni. Anzitutto, come già detto, viene scardinato il principio di maggioranza in un istituto, il concordato preventivo, da sempre caratterizzato dalla presenza di un elemento negoziale che si esprime con la proposta del debitore e la sua approvazione da parte della maggioranza dei creditori. In questo modo l'elemento istituzionale, da sempre presente a garanzia della minoranza dissenziente, diventa preponderante, sino alla possibilità di omologare un concordato la cui proposta, anche omettendo i crediti tributari e previdenziali ai fini del computo del quorum, sia stata respinta dalla maggioranza dei creditori.

Infatti, non è irrealistico, se le sopra riferite statistiche ODCEC sono esatte, ipotizzare che possa essere omologato un concordato approvato solo dal 15% dei creditori e respinto da tutti gli altri.

In questo modo il momento istituzionale, anziché garanzia della minoranza dissenziente alla quale viene imposto il cram down, diventa qualcos'altro e cioè la garanzia per tutti i creditori, anche di una ipotetica maggioranza contraria, che non esiste una alternativa reale al concordato, in quanto questo rappresenta la soluzione più conveniente.

Ma se così è, è del tutto contraddittorio mantenere in vita un mero simulacro di approvazione del concordato da parte della maggioranza dei creditori. Oltretutto, questo simulacro comporta la violazione di altri principi e cioè la sostituzione della volontà di un ente pubblico con una operazione che non è consentita al giudice amministrativo, che annulla i provvedimenti illegittimi ma non si sostituisce all'amministrazione e certamente non è consentita neppure al giudice ordinario che può solo disapplicare i provvedimenti illegittimi.

Sarebbe stato allora più semplice e coerente abbracciare apertamente il principio di realtà e prevedere un concordato c.d. coattivo (come quello, già ricordato, previsto nella LCA, nella amministrazione straordinaria disciplinata dal D.Lgs. n. 270/1999 e nel concordato preventivo liquidatorio semplificato ex art. 18 D.L. n. 118/2021), riservando ai creditori solo la facoltà di opporsi all'omologazione. In questo modo non vi sarebbe stata né sostituzione della volontà dei soggetti pubblici titolari dei crediti, né trattamento di tali soggetti in modo diverso da quello riservato a tutti gli altri creditori, né trasformazione della maggioranza dei creditori da presupposto del cram down a effetto del cram down, sia pure in ossequio al principio di realtà, per l'assenza di alternative più favorevoli.

Anche la ripartizione tra giurisdizione ordinaria (concorsuale) e giurisdizione tributaria, sulla quale si sono espresse Cass. s.u. nn. 8504/2021 e 35954/2021, non avrebbe sofferto di forzature.

Se è, infatti, condivisibile che al giudice ordinario siano affidate le controversie sulla omologabilità di un concordato, indipendentemente dalla volontà contraria espressa dall'ente pubblico, non sembra affatto condivisibile che il tribunale fallimentare si possa sostituire al soggetto pubblico nell'esprimerne la volontà. Una cosa è considerare irrilevante, sulla base di una valutazione di convenienza riservata al tribunale, la volontà di un soggetto, pubblico o privato, che sia contrario all'omologazione del concordato ed altra cosa è sostituire la volontà di un creditore per creare un simulacro di maggioranza.

Ancora maggiori sono le contraddizioni innescate in relazione agli accordi di ristrutturazione, che sono stati fino adesso “strumenti negoziali stragiudiziali soggetti ad omologazione” (così testualmente la rubrica della sezione del CCI relativa agli accordi di ristrutturazione), con il limitato effetto di una moratoria per i creditori estranei.

Peraltro, la natura negoziale è stata riaffermata dal legislatore anche per gli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa, ascrivendo l'effetto di estensione ad una deroga agli artt. 1372 e 1411 c.c. (art. 182 septies l. fall.). Perciò, introdurre il cram down negli accordi di ristrutturazione, e considerare aderenti soggetti che in realtà non hanno aderito, significa sconvolgerne la natura.

Infine, la transazione fiscale pone problemi anche rispetto alla recentissima composizione negoziata della crisi (D.L. n. 118/2021) perché la depotenzia fortemente. La disciplina della composizione negoziata non prevede nulla per i debiti contributivi, e per i debiti tributari prevede misure premiali consistenti soltanto nella riduzione di interessi e sanzioni nonché nella rateazione del debito (art. 14).

Nulla, pertanto, a che vedere con le prospettive offerte dal cram down fiscale e contributivo, possibile con il concordato preventivo e con gli accordi di ristrutturazione. Prende corpo, perciò, la possibilità che, quando il debito tributario e contributivo rappresenta una parte consistente dell'esposizione debitoria, la composizione negoziata possa servire solo per godere della riduzione di sanzioni ed interessi, svincolata dall'esito delle trattative, per poi passare, ma con un ritardo potenzialmente pregiudizievole per la soluzione della crisi, alle più favorevoli chances offerte, con il cram down fiscale e contributivo, dal concordato preventivo e dagli accordi di ristrutturazione.

Sarebbe stato, pertanto, opportuno prevedere anche nella composizione negoziata della crisi la possibilità, ispirata al principio di realtà, di una ristrutturazione volontaria del debito fiscale e contributivo.

(Relazione introduttiva al convegno del COA di Roma, svoltosi il 15 dicembre 2021, sul tema Trattamento dei crediti fiscali e contributivi nelle procedure concorsuali).