La separazione della coppia omogenitoriale non osta all’adozione del minore

Margherita Tudisco
17 Gennaio 2022

La fine della relazione tra le due donne incide ai fini dell'accoglimento della domanda di adozione?
Massima

Non è di ostacolo all'accoglimento della domanda di adozione ex art. 44 lett. d) l. 184/1983 la circostanza che l'unione sentimentale fra la madre dell'adottando e l'adottante sia venuta meno, sia in ragione dell'accordo tra le due donne, sia perché essa non incide nel rapporto fra l'adottante e l'adottando che in questi anni è rimasto, di fatto, assimilabile al rapporto fra una madre e suo figlio.

Il caso

Tizia ricorreva al Tribunale per i minorenni di Venezia per chiedere l'adozione del figlio della ex compagna Caia, ai sensi dell'art. 44 lett. d) della l. 184/1983, e contestualmente la posposizione del proprio cognome a quello d'origine del minore, in deroga all'art. 55 della legge citata.

Tizia riferiva che il bambino era nato da un progetto genitoriale condiviso con Caia in forza del quale quest'ultima si era sottoposta, con il consenso della prima, alla procreazione medicalmente assistita eterologa presso una clinica in Spagna.

Alla nascita del minore, entrambe le donne si sono sempre, in egual misura, occupate del bambino sviluppando un solido rapporto affettivo e divenendo le sue figure genitoriali di riferimento, anche nei rapporti sociali.

Dopo qualche anno, tuttavia, la coppia interrompeva la relazione sentimentale e la convivenza ma entrambe hanno continuato ad occuparsi della cura morale e materiale del minore, regolamentando concordemente le frequentazioni con la ricorrente in modo tale da non recidere il legame tra la stessa ed il bambino.

Al fine di formalizzare tale rapporto genitoriale di fatto, da sempre esistente tra la ricorrente e il minore, mai affievolita nonostante la separazione della coppia, la ricorrente adiva il Tribunale chiedendo l'adozione con l'espresso consenso della madre biologica, manifestato in ossequio al dettato di cui all'art. 46, l. 184/1983.

All'esito dell'istruttoria svolta dai servizi sociali, il Tribunale per i minorenni accoglieva la domanda di Tizia, non reputando di ostacolo la circostanza che l'unione sentimentale fra quest'ultima e Caia fosse venuta meno, sia in ragione dell'intesa esistente tra le due donne, sia perché la separazione non aveva compromesso il rapporto madre-figlio fra Tizia e l'adottando.

Il Giudice accoglieva altresì la richiesta della ricorrente di posporre il proprio cognome a quello del minore, in deroga all'art. 55, l. 184/1983, per salvaguardare la sua identificazione con il cognome che già gli apparteneva.

La questione

La questione che è stata posta all'attenzione dell'organo giudicante è stata quella di stabilire se la disgregazione del nucleo familiare del minore, ove quest'ultimo era nato e cresciuto, potesse influire negativamente sulla domanda di adozione coparentale, posto che l'art. 57, l. 184/1983 richiede come requisito – oltre alle ulteriori valutazioni di opportunità che il Tribunale per i minorenni è chiamato a svolgere – la possibilità di una “idonea convivenza” tra adottante e adottando.

Una volta decisa positivamente la prima questione, la seconda è stata quella relativa al cognome.

La ricorrente, infatti, chiedeva di poter posporre il proprio cognome a quello della madre biologica, in deroga a quanto previsto dall'art. 55 della legge citata che, richiamando le norme in materia di adozione del maggiorenne, tra cui l'art. 299 c.c., dispone che il cognome dell'adottante sia anteposto a quello dell'adottando.

Le soluzioni giuridiche

Il Tribunale per i minorenni di Venezia ha accolto la domanda di adozione ai sensi dell'art. 44 lett. d) l. 184/1983 aderendo all'interpretazione maggioritaria della giurisprudenza, avallata altresì dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 12932 del 22 giugno 2016, in merito alla c.d. “constatata impossibilità di affidamento preadottivo”, intesa come impossibilità non solo di fatto, ma anche di diritto, di ricorrere all'adozione di minori che non sono e non potrebbero essere dichiarati in stato di abbandono.

Il caso sub iudice richiedeva di soffermarsi, in particolare, sulla possibilità e sull'opportunità di far luogo ad un'adozione in casi particolari dopo il venir meno della affectio familiaris.

Il Collegio veneziano, dopo un'accurata istruttoria all'esito della quale è emerso che l'adozione era pienamente corrispondente all'interesse del minore, ha ritenuto che la circostanza che la coppia di donne, al momento della proposizione della domanda, non fosse più unita sentimentalmente, non potesse fungere da ostacolo all'accoglimento della richiesta di adozione.

L'organo giudicante, invero, per affermare che la fine della relazione non dovesse precludere l'adozione, ha valutato positivamente due elementi, in particolare: l'intesa tra la madre biologica e la ex compagna circa l'adozione del minore, nonché, di pari importanza, il mantenimento dei rapporti tra la ricorrente e il minore, anche dopo la separazione di Tizia e Caia.

Il primo elemento, ossia l'accordo tra le due donne, è stato cruciale atteso che, ai sensi dell'art. 46 della l. 184/1983, il genitore esercente la responsabilità genitoriale del minore adottando è chiamato ad esprimere il proprio consenso rispetto alla richiesta di adozione in casi particolari formulata da un terzo che non presenta alcun legame biologico con il bambino. Tale assenso deve essere, inderogabilmente, pieno ed attuale, a dimostrazione di una completa adesione del genitore biologico all'adozione non legittimante del minore da parte dell'adottante, infatti, in sua mancanza o a fronte di un netto diniego, per unanime dottrina e giurisprudenza, non si può disporre l'adozione.

Ciò significa che, nel caso di specie, se Caia avesse dichiarato di essere contraria alla domanda di Tizia, il Tribunale per i minorenni avrebbe dovuto rigettare la domanda di quest'ultima (ex multis Cass. civ., sez. I, sent., 21 settembre 2015, n. 18575).

Nel corso dell'indagine svolta dal Servizio Sociale ULSS è poi emerso che Tizia e Caia, anche dopo la separazione, avevano continuato ad occuparsi della cura morale e materiale del bambino che ha vissuto, a settimane alterne, presso l'una e presso l'altra; entrambe, pertanto, a prescindere dalla rottura del rapporto affettivo, hanno riconosciuto, reciprocamente, il contributo che ciascuna ha dato e che continua ad offrire alla crescita del minore.

Quanto emerso nel procedimento promosso da Tizia ha dunque consentito al Tribunale di ritenere sussistente l'interesse del minore “a divenire giuridicamente figliodella persona nei confronti della quale ha maturato un solido legame affettivo e che già considera genitore”.

Il Tribunale ha, infine, accolto anche la seconda domanda della ricorrente, disponendo che il cognome della madre adottiva fosse posposto a quello del minore, ritenendo ormai superate le regole “rigide e automatiche” previste dall'art. 55 della l. 184/1983, 3 e dunque dell'art. 299 c.c. in merito all'attribuzione del cognome dell'adottante. Anche relativamente a quest'ultima statuizione è stato, all'evidenza, fondamentale il consenso della madre biologica.

Osservazioni

La sentenza in esame è di particolare rilievo in quanto si pone in netta antitesi rispetto alle precedenti pronunce sul tema, ad eccezione dell'unico precedente reso, qualche mese prima, dal Tribunale per i minorenni di Bologna il quale, analogamente al caso di specie, aveva accolto la domanda di adozione coparentale presentata da una donna che si era separata dalla madre biologica del minore, nato in seguito alla procreazione medicalmente assistita praticata lecitamente all'estero.

Giova premettere che l'istituto dell'adozione in casi particolari viene oggi utilizzato pacificamente per riconoscere e costituire, con il consenso del genitore biologico, il legame di filiazione tra il minore nato in seguito a tecniche di PMA e il genitore sociale.

Tale approdo, tuttavia, è stato tutt'altro che agevole e ancora oggi si continua a discorrere, anche in seno alla Consulta, sull'adeguatezza di tale strumento ad apprestare idonea tutela ai minori nati all'interno di coppie omogenitoriali, posto che l'art. 44, l. 184/1983, preme ricordarlo, è nato per altre finalità, ben lontane da quelle attuali.

Atteso quanto sopra, i giudici minorili si trovano ad applicare estensivamente il dettato di cui all'art. 44 lett. d) alle richieste presentate dal cd. genitore d'intenzione il quale, però, nella maggior parte dei casi è già unito civilmente o ha comunque un legame affettivo stabile con il genitore biologico pertanto il problema legato alla mancanza del consenso non si era ancora posto con particolare intensità.

Oggi, però, a distanza di ormai cinque anni dall'introduzione dell'unione civile, con la l. 76/2016, cominciano a porsi all'attenzione dei giudici le richieste di adozione omoparentale provenienti dal genitore sociale separato e non più convivente con il genitore biologico.

Sul punto, manca una disciplina ad hoc e nei Tribunali non vi è unanimità di vedute: fino ad ora si tendeva ad escludere l'estendibilità dell'adozione de qua in caso di separazione della coppia ma i due recenti provvedimenti richiamati, quello bolognese e quello veneziano in commento, hanno aperto la strada ad un altro filone giurisprudenziale che, auspicabilmente, potrebbe trovare un progressivo accoglimento in giurisprudenza.

Ad oggi, infatti, i processi di separazione e divorzio di coppie omogenitoriali sollevano ancora perplessità in ordine alla possibilità di poter estendere a questi ultimi gli stessi istituti esistenti per le coppie stabilmente legate, in parte perché è solo da qualche anno che i loro figli vengono riconosciuti dal nostro ordinamento giuridico – con le adozioni ex art. 44 lett. d) l. 184/1983, ex art. 8 della l. 40/2004 o con la trascrizione degli atti di nascita stranieri – e in parte perché è solo dal 2016 che la legge Cirinnà ha introdotto l'istituto delle unioni civili e ha regolamentato le convivenze di fatto.

Per capire, quindi, quanto e come avrebbe potuto influire la crisi della coppia, precedente alla domanda di adozione da parte del genitore sociale o in corso di adozione, le uniche analogie potevano essere rivenute rispetto all'adozione ex art. 44 lett. b) della l. 184/1983, c.d. adozione del figlio del coniuge.

La Suprema Corte, nel 2011, chiamata a pronunciarsi in merito ad un'adozione coparentale di un minore da parte dell'ex coniuge della madre biologica, era giunta ad ammettere la possibilità dell'adozione anche nel caso in cui la comunione di vita tra i coniugi fosse venuta meno, a condizione che ciò fosse giustificato dal preminente interesse del minore, dovendo invece essere negata qualora il clima familiare altamente conflittuale, creatosi per effetto della separazione, fosse risultato assolutamente in contrasto con la realizzazione del best interest del minore, tale da rendere l'adozione addirittura nociva (cfr. Cass. civ. sez. I sent., 19 ottobre 2011, n. 21651).

Sulla scia di tale significativo nonché unico precedente, Tizia si era quindi determinata a presentare il proprio ricorso ex art. 44 lett. d), contando di poter dimostrare l'esistenza di un equilibrio familiare e di rapporti significativi con il minore che non erano affatto mutati a seguito della fine della relazione con Caia.

Come sopra affermato, ai fini dell'accoglimento della domanda di adozione in casi particolari è stato dirimente il consenso espresso dalla madre biologica, tuttavia, a parere di chi scrive, questo requisito non dovrebbe invece essere fondamentale.

L'assenso che la legge richiede in casi come quello in esame, infatti, dovrebbe essere valutato come un quid pluris e non come un elemento, la cui mancanza pregiudica, addirittura, l'esame del merito. Infatti, non dobbiamo dimenticare che le richieste di adozione in casi particolari, sottoposte al vaglio del giudice minorile, riguardano sempre minori nati a seguito di progetti di genitorialità condivisi ab origine dalla coppia, pertanto, se il genitore biologico ricorre alla PMA non come single bensì in coppia, con il proprio compagno o la propria compagna, non si comprende perché il primo sia chiamato ad esprimere, in un secondo momento, un assenso all'adozione da parte del c.d. genitore d'intenzione. È infatti evidente come, in tali casi, così facendo, vi sia un alto rischio che, in ipotesi di crisi e conflittualità della coppia, questo consenso possa essere strumentalizzato (cfr. Corte cost., sent. 33/2021): ciò è avvenuto, a titolo esemplificativo, in un caso che ha interessato nel 2019 dal Tribunale di Padova in cui la madre non biologica aveva chiesto che l'Ufficiale di Stato civile la dichiarasse genitrice delle gemelle nate a seguito di PMA eterologa praticata all'estero, deducendo che tale richiesta traeva origine, oltre che da comprovati legami affettivi, dall'impossibilità di promuovere una domanda di adozione coparentale, stante il diniego del consenso da parte della madre biologica (cfr. Trib.Padova, ord. 3 novembre 2019).

Fortunatamente, nella vicenda che ci occupa, la madre biologica era perfettamente consapevole del ruolo genitoriale svolto dalla ricorrente sin dalla nascita del bambino e aveva, anzi, evidenziato che l'adozione stessa del minore da parte della madre sociale rientrava pienamente nei progetti della coppia.

Il secondo elemento valorizzato dal Tribunale per i minorenni di Venezia è stato, poi, la non alterazione del rapporto tra Tizia e il minore in seguito alla separazione della coppia.

Da un lato, la madre biologica ha collaborato affinché la ex compagna riuscisse a mantenere i rapporti con il figlio, lasciando che il bambino pernottasse dalla ricorrente a weekend alterni e trascorresse anche parte delle vacanze con quest'ultima; dall'altro lato, l'adottante non si è mai sottratta alla cura morale e materiale del minore e questo, si badi bene, nonostante l'assoluta assenza di alcun dovere al riguardo.

L'art. 44 lett. d), l. 184/1983, infatti, subordina la protezione del minore e la sua possibilità di pretendere l'adempimento dei doveri discendenti dallo status filiationis dalla proposizione della relativa istanza da parte del genitore sociale, il quale, infatti, se decidesse di disinteressarsene, non potrebbe essere in alcun modo obbligato in tal senso.

La sentenza in commento si rivela quindi innovativa perché, pur in presenza del consenso della madre biologica, esisteva un elemento potenzialmente ostativo che avrebbe potuto condurre a una pronuncia di rigetto, ossia la cessazione della convivenza e della relazione affettiva tra le due donne.

Il Tribunale per i minorenni, investito della domanda di adozione, deve sempre valutare se questa soddisfi il c.d. best interest of the child requisito che, secondo l'art. 57, l. 184/1983, sussiste quando, oltre ad altri elementi, vi sia la possibilità di idonea convivenza tra l'adottante e il minore.

Si evidenzia, infatti, come in tutte le pronunce pregresse in cui è stata accolta una domanda di adozione coparentale da parte della madre sociale del minore, i Tribunali aditi hanno sempre, a più riprese, valorizzato un elemento ai fini delle proprie decisioni: la stabilità della coppia.

Chi ha chiesto l'adozione ex art. 44 della l. 184/1983, quindi, ha sempre potuto riferire e documentare l'esistenza di una relazione omoaffettiva risalente nel tempo, sfociata in una unione civile o comunque in una convivenza in cui la coppia si era reciprocamente impegnata. Questi elementi davano all'organo giudicante la percezione di avere avanti a sé due persone convinte della propria relazione e con progetti familiari a lungo termine, e questo dato, corroborato dalle relazioni dei servizi sociali, ha sempre favorito l'accoglimento delle domande ricevute.

In mancanza della stabilità della coppia, il Tribunale veneziano, ha però dovuto considerare altri elementi ai fini dell'art. 57 già menzionato: l'accordo tra la madre biologica e l'adottante, nonché la continuità affettiva dei legami de facto già instaurati fra quest'ultima e il bambino.

La conclusione a cui è pervenuto il Tribunale per i minorenni di Venezia non può che essere meritevole di pregio: il rigetto della domanda in esame, in forza dell'intervenuta separazione della coppia si sarebbe tradotta, invero, in una ingiustificata lesione dell'interesse del minore, poiché in tal modo il Giudice avrebbe privato il minore del suo diritto alla bigenitorialità, sottraendogli una figura genitoriale che, insieme alla prima, contribuisce fattivamente alla sua cura morale e materiale.

Quanto poi all'accoglimento della domanda circa la posposizione del cognome dell'adottante, la ricorrente aveva evidenziato nel proprio ricorso che un'interpretazione letterale dell'art. 55 l. 184/1983, e dunque dell'art. 299 c.c. richiamato, avrebbe portato il minore ad anteporre il cognome di Tizia al proprio, in contrasto con la sua identità percepita in quanto, all'età di sei anni, il bambino si riconosceva, anzitutto, con il cognome assegnatogli alla nascita ovvero quello della madre biologica.

Una richiesta analoga, era già stata accolta positivamente dal Tribunale per i minorenni di Genova in data 13 giugno 2019 e successivamente dallo stesso Tribunale per i minorenni di Venezia con sentenza n. 130 del 09 ottobre 2020 che, nell'assecondare la volontà delle due madri, richiamava la sentenza n. 286 della Corte costituzionale, emessa in data 21 dicembre 2016, in cui la questione era stata esaminata sotto il profilo del diritto del bambino a mantenere, nella scelta del cognome, il segno distintivo della propria identità personale.

Le norme vigenti sono state qui considerate “rigide e automatiche” e non si può che condividere tale conclusione.L'adozione in casi particolari, infatti, veniva pronunciata in contesti in cui era impossibile procedere ad un'adozione piena e l'adottato, pur entrando nella famiglia dell'adottante ed assumendo il cognome di quest'ultimo, manteneva i rapporti con la propria famiglia d'origine. Il doppio cognome, pertanto, rappresentava un segnale esterno dell'appartenenza del minore a due diverse famiglie, quella adottiva e quella biologica.

Come noto, recentemente, l'adozione in casi particolari è stata interessata da una serie di applicazioni votate a garantire il superiore interesse del minore e la sua disciplina si è progressivamente discostata da quella originaria, prestandosi ad abbracciare una casistica multiforme.

Nelle stepchild adoptions omogenitoriali preme infatti sottolineare che non ci sono due famiglie da distinguere, ma un unico nucleo famigliare dove nasce e cresce il minore adottato.

Il doppio cognome, quindi, in questi contesti familiari perde completamente di significato o, quanto meno, si affievolisce nel senso della norma di cui all'art. 299 c.c.

A parere di chi scrive, sarebbe anacronistico e addirittura pregiudizievole per il minore stesso acquisire, per effetto dell'adozione ex art. 44, un cognome che rivelerebbe il suo status di “adottato in casi particolari” in un sistema che, invece, valorizza sempre di più l'unicità dello status di figlio.

In forza di ciò, sarebbe dunque più corretto applicare l'art. 262 comma 2 c.c. in tema di filiazione accertata successivamente al riconoscimento da parte di un genitore.

In conclusione, si ritiene che la pronuncia in commento sia connotata da una portata innovativa e da un pensiero giuridico lungimirante che, a mente delle scriventi, sarebbe meritevole di trovare applicazione diffusa, nel perseguimento del superiore interesse del minore che deve sempre guidare il giudice il minorile nelle delicate trame familiari che, sempre più spesso, non trovano adeguata regolamentazione.

Riferimenti

Trib. min. Roma, sent. 30 giugno 2014, in Famiglia e Diritto, 2015, 6, 574 con nota di Ruo e in Famiglia e Diritto, 2016, 6, 584 con nota di Scalera;

Guoli, Ammissibilità della stepchild adoption: doppio sì dal Tribunale di Bologna, in Quotidiano giuridico, Famiglia e successioni;

Bianca, Diritto civile, 2, La famiglia, Le successioni, 4ª ed., Milano, 2005, 459;

Tommasini, Dell'adozione in casi particolari e dei suoi effetti, in Comm. Cian, Oppo, Trabucchi, VI, 2, Padova, 1993, 481

M. Di Masi, L'interesse del minore, Napoli, 2020, p. 230 ss.

M. Winkler, Stepchild adoption: disciplina del cognome in presenza di più minori, in Quotidiano giuridico, 1/1

M. Tudisco, Il legame di fratria diventa un effetto automatico dell'adozione in casi particolari in www.ilfamiliarista.it;

Carrato, Sì della Consulta all'attribuzione del doppio cognome al figlio sull'accordo dei genitori, in Quotidiano Giuridico.

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