Assegno divorzile: funzione assistenziale e compensativo – perequativa a confronto

18 Gennaio 2022

La pronuncia in esame consente di svolgere una disamina sull'evoluzione giurisprudenziale in tema di debenza dell'assegno divorzile, con specifico riferimento alla verifica delle condizioni legittimanti il suo riconoscimento sia in relazione alla funzione assistenziale che a quella compensativo – perequativa allo stesso riconosciuta.
Massima

In considerazione della natura e della funzione dei provvedimenti concernenti i rapporti economici tra coniugi, va considerata legittima la modifica delle statuizioni precedentemente assunte al fine di adeguarle al sopraggiungere di variazioni nelle condizioni patrimoniali e reddituali delle parti, verificatesi nel corso del giudizio. Per tali ragioni, va disposta la revoca dell'obbligo di contribuzione inizialmente previsto, conseguente al collocamento in pensione dell'obbligato, tale da aver determinato una contrazione delle capacità economiche di quest'ultimo, rimanendo indifferente la permanenza di uno squilibrio tra le parti qualora sia garantita l'adeguatezza dei mezzi di sussistenza e l'indipendenza economica del beneficiario e sia stata accertata la presenza di un'adeguata capacità lavorativa.

Il caso

Il Tribunale di Milano dichiarava la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto dalle parti in causa, con previsione, per quanto qui di interesse, dell'obbligo dell'ex marito alla corresponsione dell'assegno divorzile. Tale statuizione trovava la sua ragion d'essere nella differente situazione economica delle parti, come emersa dal raffronto delle dichiarazioni dei redditi versate in atti e dalla valutazione del patrimonio immobiliare di ciascuno di essi.

Avverso detta decisione, proponeva gravame il coniuge obbligato, ravvisando l'erroneità della decisione assunta in primo grado per l'insussistenza dei presupposti legittimanti l'obbligo di contribuzione e, comunque, la sproporzione dell'importo previsto, persino superiore a quanto stabilito in sede di separazione personale dei coniugi.

La Corte di Appello di Milano accoglieva la proposta impugnazione, revocando l'obbligo al versamento dell'assegno divorzile sulla scorta sia delle mutate condizioni reddituali dell'appellante, nelle more del giudizio collocato in pensione, che dell'irrilevanza della permanenza di una sproporzione nella situazione economica dei coniugi in quanto inidonea, alla stregua delle posizioni più recenti della giurisprudenza di legittimità, ad inficiare la valutazione circa l'adeguatezza dei mezzi di sussistenza del soggetto richiedente, oltre che ad incidere sull'indipendenza o autosufficienza economica per la presenza di una adeguata capacità lavorativa e dovendosi escludere, per tale ragione, la necessità di qualsivoglia forma di compensazione per l'apporto fornito alla formazione del patrimonio familiare.

La questione

La pronuncia in esame consente di svolgere una disamina sull'evoluzione giurisprudenziale in tema di debenza dell'assegno divorzile, con specifico riferimento alla verifica delle condizioni legittimanti il suo riconoscimento sia in relazione alla funzione assistenziale che a quella compensativo – perequativa allo stesso riconosciuta.

Le soluzioni giuridiche

Con la pronuncia in esame, la Corte di Appello di Milano, sulla scorta del più recente orientamento giurisprudenziale formatosi sul punto, dispone la revoca dell'assegno divorzile previsto a conclusione del giudizio di primo grado, dando valenza, innanzitutto, alla collocazione in pensione dell'appellante, verificatasi nelle more dell'impugnazione, e, in ogni caso, valorizzando, pur in presenza di uno squilibrio nelle condizioni economico – reddituali delle parti, la piena capacità lavorativa della richiedente, con conseguente insussistenza delle condizioni legittimanti il suo riconoscimento in relazione ai profili previsti.

Con riferimento al primo dei menzionati aspetti, la possibilità di pervenire nel corso del medesimo giudizio di separazione o divorzio alla modifica dei provvedimenti aventi contenuto economico in considerazione dell'insorgenza di situazioni sopravvenute, è stata ritenuta legittima in relazione alla natura e alla funzione delle statuizioni in questione, soggette alla regola del “rebus sic stantibus”, a condizione che tanto avvenga nel rispetto del principio di disponibilità e di quello della domanda (Cass. 21993/2021; Cass. 12800/2021).

Quanto alla verifica in concreto delle condizioni per addivenire alla revisione dell'obbligazione che ci occupa, la Corte territoriale perviene alla revoca dell'emolumento sulla scorta di una valutazione complessiva della situazione economico-patrimoniale degli ex coniugi, rispetto alla quale esclude che possa attribuirsi rilevanza unicamente allo squilibrio esistente tra le parti o all'alto livello reddituale dell'obbligato, poiché in tal modo si legittimerebbe un'imposizione patrimoniale priva di causa perchè svincolata dalla solidarietà post – coniugale. Rilevanza, invece, viene attribuita alla verifica circa “l'indipendenza e autosufficienza economica di uno dei due coniugi, intesa come possibilità di condurre con i propri mezzi un'esistenza economicamente autonoma e dignitosa”(Cfr. Cass. n. 3015/2017), ovvero all'accertamento circa l'impossibilità di quest'ultimo di procurarseli, da valutarsi non più in virtù del superato parametro della conservazione del pregresso tenore di vita, ma in considerazione dei bisogni del richiedente, considerato come persona singola e non più come ex coniuge pur se inserita nel medesimo contesto sociale. Viene, quindi, in evidenza la capacità lavorativa, sia generica che specifica, della parte debole, a cui compete l'onere di “valorizzare tutte le proprie potenzialità con una condotta attiva, piuttosto che assumere un atteggiamento deresponsabilizzante e attendista……riversando sul coniuge più abbiente l'esito della fine della vita matrimoniale” (Cass. 3661/2020).

Sulla scorta di tali parametri la Corte, in accoglimento del proposto appello, perviene alla revoca dell'assegno divorzile per l'insussistenza dei presupposti legittimanti il suo riconoscimento, sia in relazione all'aspetto assistenziale che alla funzione compensativa – perequativa dell'emolumento, considerato che dall'istruttoria espletata è emersa la presenza di un livello reddituale tale da assicurare alla richiedente mezzi adeguati di vita, oltre che la piena capacità lavorativa di quest'ultima, pienamente in linea con le sue professionalità e per nulla compromessa dalla necessità di assolvere agli oneri familiari.

Quanto alla decorrenza della revoca, la Corte risolve la questione rifacendosi alle statuizioni da ultimo assunte dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui la stessa va disposta a far tempo dalla formazione del relativo titolo, e cioè dal passaggio in giudicato della sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio (Cass. 28646/2021).

Osservazioni

La questione concernente la debenza dell'assegno divorzile è oggetto di un vivace dibattito giurisprudenziale originato, come è noto, dalle pronunce rese sul punto dalla Suprema Corte di Cassazione a decorrere dalla sentenza n. 11504 del 2017 e dal successivo intervento delle Sezioni Unite del 2018, con le quali è stato sostituito al criterio del pregresso tenore di vita, quello legato alla funzione assistenziale e compensativo-perequativo dell'emolumento in commento.

Nel solco così tracciato si inserisce la sentenza in esame che fornisce importanti precisazioni circa i criteri in virtù dei quali valutare la sussistenza dei presupposti legittimanti la debenza dell'assegno divorzile, rispetto ai quali si esclude che possa avere rilievo la disparità economica esistente tra gli ex coniugi.

Per la Corte territoriale, infatti, tale aspetto appare del tutto inidoneo ad integrare la funzione riconosciuta al contributo dalla più recente giurisprudenza di legittimità, la cui verifica impone, per un verso, di valutare l'adeguatezza dei mezzi economici del richiedente ovvero l'impossibilità di procurarseli e, sotto altro aspetto, di valorizzare il contributo dato dal coniuge debole alla formazione del patrimonio familiare. Il tutto nell'ottica di una condotta attiva del soggetto istante, chiamato ad utilizzare tutte le sue potenzialità e le proprie attitudini al lavoro, in coerenza con l'età, il sesso, il grado di istruzione e l'esperienza lavorativa pregressa.

Al riguardo non può non evidenziarsi come il dibattito sul punto continua senza sosta poiché la tematica in oggetto è stata al centro di un ulteriore e recentissimo arresto delle Sezioni Unite che con la pronuncia n. 32198/2021 sono ritornate sull'argomento con riferimento specifico all'ipotesi in cui il coniuge beneficiario dell'emolumento abbia instaurato una stabile convivenza di fatto. La soluzione fornita nel caso di specie si discosta dall'orientamento consolidato nel tempo che ricollegava, in automatico, all'insorgenza di un rapporto di convivenza la perdita dell'assegno divorzile, con decadenza del relativo diritto perciò insuscettibile di reviviscenza, prevedendo, invece, l'idoneità del nuovo percorso di vita intrapreso con una terza persona, che sia stato accertato giudizialmente, ad incidere sulla componente assistenziale del diritto medesimo, potendo il beneficiario mantenerne la corresponsione unicamente in funzione compensativa dell'apporto dato alla formazione del patrimonio familiare, a condizione che venga provato l'effettivo contributo fornito, anche per eventuali rinunce ad occasioni lavorative e di crescita professionale durante il matrimonio nell'interesse della famiglia.

Appare, dunque, evidente, come la Suprema Corte abbia inteso valorizzare la funzione compensativa- perequativa riconosciuta dal mutato orientamento giurisprudenziale al contributo in esame, volto a ristorare l'ex coniuge per le perdite subite nel corso della vita matrimoniale a seguito delle decisioni assunte dalla coppia in funzione dell'organizzazione della vita familiare.

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