L'esecuzione dell'affidamento in prova al servizio sociale nello spazio giuridico europeo

Fabio Fiorentin
26 Gennaio 2022

Un recente indirizzo, affermatosi in seguito dell'entrata in vigore del d.lgs n. 38/2016, ammette che l'affidamento in prova al servizio sociale possa svolgersi in uno Stato estero membro dell'Unione Europea, dove il condannato abbia residenza legale ed abituale, in conformità a quanto disposto dal menzionato decreto legislativo. La nuova possibilità di esecuzione alternativa della pena deve, tuttavia, scontare non secondari problemi operativi sia con riferimento...
Abstract

Un recente indirizzo, affermatosi in seguito dell'entrata in vigore del d.lgs n. 38/2016, ammette che l'affidamento in prova al servizio sociale possa svolgersi in uno Stato estero membro dell'Unione Europea, dove il condannato abbia residenza legale ed abituale, in conformità a quanto disposto dal menzionato decreto legislativo.

Tale orientamento, che si sta sempre più consolidando anche nelle corti di merito, sembra superare definitivamente le riserve che si erano in precedenza manifestate, confermando alcune aperture che già si erano registrate con riferimento alla possibilità di brevi permanenze all'estero di persone condannate con sentenza italiana ed ammesse all'affidamento in prova o ad altra misura alternativa eseguita sul territorio nazionale.

La nuova possibilità di esecuzione alternativa della pena deve, tuttavia, scontare non secondari problemi operativi sia con riferimento all'istruttoria preliminare alla concessione del beneficio, sia in ordine alla gestione della misura, soprattutto in rapporto ad eventuali autorizzazioni o modifiche delle prescrizioni che l'affidato dovesse richiedere in corso di esecuzione e alle modalità di controllo sui soggetti ammessi ai benefici alternativi.

L'esecuzione delle misure alternative nello spazio giuridico europeo anteriormente al d.lgs. n. 38/2016

La possibilità che una pena possa essere eseguita all'estero, sul territorio di uno Stato diverso da quello che ha emesso il titolo di condanna, non risponde all'impostazione tradizionale, che vuole la fase esecutiva strettamente connessa all'imperium e, dunque, all'esercizio di una prerogativa sovrana del potere statuale.

L'idea che, nell'ambito dello spazio giudiziario europeo, una tale logica potesse risultare cedente rispetto alla progressiva armonizzazione degli ordinamenti europei si è fatta strada con molta fatica: fino a pochi anni addietro, la prospettiva era appena abbozzata: « In linea generale si deve osservare, infine, che la strada dell'esecuzione di una misura alternativa alla detenzione in uno Stato diverso da quello della condanna – Stato nel quale il condannato ha stabilito la propria residenza e ove, dunque, ha i propri maggiori legami familiari e sociali – può essere forse percorsa, in presenza di dati presupposti, sulla base di un'interpretazione estensiva della Convenzione europea adottata a Strasburgo il 30 novembre del 1964 (ratificata dall'Italia con legge 15 novembre 1973, n. 772), concernente la sorveglianza di persone condannate o liberate sotto condizione ». (Trib. Sorv. Firenze, ord. 17 maggio 2005, inedita).

Ancora recentemente la giurisprudenza di legittimità (cfr. ex multis, Cass., sez. VII, 11 dicembre 2014, Calanna, Rv.264445) negava recisamente una tale possibilità: « L'esecuzione della misura alternativa dell'affidamento in prova al servizio sociale implica il necessario svolgimento della stessa in Italia, in quanto i centri di servizio sociale per adulti sono deputati a svolgere solo in ambito nazionale la loro attività che, per le sue peculiarità e la sua specifica natura, non é ricompresa tra le funzioni statali esercitabili all'estero da parte di uffici consolari ».

L'orientamento restrittivo, su cui più volte la Cassazione aveva insistito, si fondava essenzialmente sulla rilevata assenza di una disciplina di legge apposita e di accordi internazionali che regolassero la cooperazione penale in materia di misure alternative alla detenzione (Cass., sez. I, 29 gennaio 1997, n. 631, Vasta, in Cass. Pen., 1998, n. 1237, 2131; Cass., sez. I, 6 ottobre 1998, n. 4802, Antonacci, in CP, 2000, n. 855, 1421).

Anche la Corte costituzionale aveva riecheggiato analoghe posizioni: la Consulta, infatti, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità dell'omessa previsione, nell'art. 47 della l. n. 354/1975 della possibilità di eseguire la misura anche nel territorio di altro Stato appartenente all'Unione Europea, aveva dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 47 ord. penit., sollevata in riferimento agli artt. 3, 4, 16, 27 Cost., nella parte in cui non prevede che l'esecuzione della misura possa avere luogo anche nel territorio di un altro Stato facente parte dell'Unione europea.

La Corte aveva precisato che « l'esecuzione di una misura restrittiva di carattere penale, come l'affidamento in prova, comporta l'esercizio di poteri autoritativi per il controllo sull'osservanza delle prescrizioni imposte (art. 47, commi 5, 6 e 9 della l. 26 luglio 1975, n.354), sotto la vigilanza del magistrato di sorveglianza (art. 47, comma 10, ord. penit.) e con informazione dell'autorità di pubblica sicurezza (art. 58 ord. penit.). Poteri e attribuzioni – rilevava la Consulta - che non potrebbero essere esercitati al di fuori del territorio nazionale in mancanza di accordi con le autorità di altro Stato […]. In assenza di pur auspicabili sviluppi della normativa comunitaria e degli accordi di cooperazione con altri Stati per l'esecuzione di misure penali, non può ritenersi contrastante con alcuna norma della Costituzione la limitazione della esecuzione di misure penali nazionali all'ambito territoriale dello Stato italiano » (Corte cost., ord. 17 marzo 2001, n. 146, in Giur. Cost., 2001, 1181).

Benché, successivamente, fosse effettivamente intervenuto il d.lgs. n. 38 del 15 febbraio 2016, contenente le disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2009/829/GAI del Consiglio, del 23 ottobre 2009, sull'applicazione tra gli Stati membri dell'Unione europea del principio del reciproco riconoscimento alle decisioni sulle misure alternative alla detenzione cautelare, la Cassazione aveva ritenuto che la disciplina delle misure alternative alla detenzione restasse estranea alla materia considerata dalla richiamata decisione quadro 2008/947/GAI « [] perché non riferibile all'esecuzione di pena detentiva ed alle misure alternative alla carcerazione, che costituiscono comunque una forma di espiazione della pena » (Cass. n. 10788/2013).

La tesi negativa era argomentata nel senso che: « Si è rilevato, inoltre, che la misura alternativa dell'affidamento in prova al servizio sociale implica il necessario svolgimento della stessa in Italia, in quanto i centri di servizio sociale per adulti sono deputati a svolgere solo in ambito nazionale la loro attività che, per le sue peculiarità e la sua specifica natura, non è ricompresa tra le funzioni statali esercitabili all'estero da parte di uffici consolari (Cass. sez. I, n. 45585 del 24/11/2010 - dep.29/12/2010 ed in senso conforme Sez. VII n. 34747 dell'11 dicembre 2014, Calanna, Rv.264445) » (Cass., sent. n. 6001/2017, n.m.).

La soluzione operativa che aveva trovato spazio nel caso di soggetti condannati in Italia ma residenti all'estero consisteva nell'ottenere il riconoscimento della condanna italiana nel Paese europeo di residenza secondo la procedura dell'art. 742 c.p.p. e di espiare ivi la condanna in una forma alternativa paragonabile all'affidamento in prova (Trib. sorv. Torino, ord.10 dicembre 2003, www.diritto.it).

Analoga posizione restrittiva era stata assunta, sul versante amministrativo, dal Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria che, pur prendendo atto della decisione quadro europea sopra indicata, riteneva comunque necessario, ai fini dell'esecuzione dell'affidamento all'estero, la sussistenza di un trattato bilaterale tra l'Italia e il Paese nel cui territorio il condannato aveva manifestato l'intenzione di svolgere la misura alternativa (cfr. nota DAP , Ufficio Studi, Ricerche, Legislazione e Rapporti Internazionali dd.18.07.2014).

La giurisprudenza di merito era divisa, prevalendo – a fronte di isolate pronunce che avevano disposto l'esecuzione dell'affidamento in prova sul territorio di uno Stato europeo appartenente all'Unione europea (cfr. Trib. sorv. Caltanissetta, ord. 20 dicembre 2002, in Rass.pen.e crim., 2003, 329) – l'orientamento per cui pur emergendo – in particolare dall'art. 4 della decisione-quadro 947/2008/GAI - l'analogia sostanziale tra alcune alternative penitenziarie regolate dall'ordinamento penitenziario italiano e le misure prese in considerazione dal succitato intervento di matrice europea, si riteneva comunque necessario il recepimento della medesima a livello di legislazione nazionale.

Già nella vigenza della decisione quadro europea e anteriormente al recepimento della stessa con il d.lgs. n. 38/2016, si registrava, dunque, una sostanziale assenza di ostacoli di ordine generale e sistematico alla possibilità di permanenza di un soggetto sottoposto ad esecuzione penale esterna all'estero.

L'obiezione principale che si frapponeva a tale prospettiva era, piuttosto, la ritenuta imprescindibilità di una disciplina specifica nel diritto interno e di una rete di regole convenzionali tra gli Stati, al fine di consentire che, nel periodo di permanenza all'estero, il condannato fosse costantemente monitorato e seguito dai servizi sociali e sottoposto agli opportuni controlli, tenuto conto che si tratta di compito istituzionale sull'osservanza delle prescrizioni da parte dell'affidato affidato per espresso disposto di legge agli UEPE (art. 118 d.P.R. n. 230/2000).

Per contro, si era sviluppata una consolidata prassi di merito adottata dalla magistratura di sorveglianza favorevole ad autorizzare la possibilità, per i soggetti affidati in prova al servizio sociale in Italia, di recarsi quotidianamente all'estero per esercitare la propria attività lavorativa, con l'obbligo tuttavia di rientro serale al domicilio in Italia (Mag. sorv. Milano, 20 luglio 2000, in Foro ambrosiano 2001, 91: « Il condannato che svolge attività lavorativa all'estero con pernottamento durante la settimana ma mantiene la propria residenza nel territorio dello Stato dovendovi pernottare durante il fine settimana può ottenere la concessione della misura alternativa dell'affidamento in prova al servizio sociale »; Mag. sorv. Milano, 12 novembre 2001, in Foro ambrosiano, 2002, 107: « Può essere consentito all'affidato in prova ai servizi sociali di recarsi temporaneamente all'estero per motivi di lavoro quando la permanenza all'estero è breve e finalizzata all'esecuzione della misura ed al reinserimento del condannato »).

Si era ritenuto, infatti, che sulla base della legislazione allora vigente, fosse consentita la possibilità di permanenza all'estero del condannato ammesso alla fruizione della misura alternativa dell'affidamento in prova laddove si trattasse di temporanei allontanamenti dal territorio nazionale destinati a esaurirsi nella medesima giornata, così consentendo alle autorità di p.s. e all'UEPE il costante monitoraggio del soggetto e dell'andamento della misura (cfr. Mag. Sorv. Udine, decr.19 ottobre 2015, n.3123/15 SIUS, inedito).

Il quadro normativo di riferimento attualmente vigente

Attualmente, la disciplina dell'esecuzione delle pene all'estero si fonda, sinteticamente, sul seguente quadro normativo:

  1. il codice di procedura penale, che disciplina l'esecuzione all'estero delle sentenze di condanna italiane al capo II del titolo IV del libro XI del c.p.p. (artt. 742-746), in conformità ai principi espressi dalla Convenzione di Strasburgo del 21 marzo 1983 sul trasferimento delle persone condannate, ratificata con legge 25 luglio 1988, n. 334, fra i quali vi è quello (art. 8) secondo cui L'esecuzione della condanna è regolata dalla legge dello Stato di esecuzione e questo Stato è l'unico competente a prendere ogni decisione al riguardo;
  2. le decisioni quadro del Consiglio d'Europa del 27 novembre 2008 nn. 909 e 947 (rispettivamente, concernenti l'esecuzione delle condanne a pena detentiva e l'applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze e alle decisioni di sospensione condizionale in vista della sorveglianza delle misure di sospensione condizionale e delle sanzioni sostitutive);
  3. il decreto legislativo n. 161/2010 di attuazione della decisione quadro n. 909/2008;
  4. il decreto legislativo n. 38/2016 di attuazione della decisione quadro n. 947/2008.

Il decreto legislativo n. 161/2010 ha espressamente derogato all'applicazione delle disposizioni del codice processuale, che comunque restano applicabili, anche a norma del d.lgs. n. 38/2016 (art. 18), solo per quanto non previsto nei decreti attuativi e in quanto compatibili con i medesimi.

Nelle relazioni fra gli Stati aderenti all'Unione europea, pertanto, la materia in esame è regolata dai richiamati decreti legislativi n.161/2010 e n.3 8/2016. Mentre il primo si occupa della disciplina che riguarda i provvedimenti sanzionatori che applicano una pena detentiva o una misura di sicurezza, in seguito alla commissione di un reato (d.lgs. n. 161/2010), rispetto ai quali resta fermo il principio per cui la relativa esecuzione è disciplinata dalla normativa interna dello Stato di esecuzione; il secondo si rivolge all'esecuzione dei provvedimenti che applicano una pena detentiva o comunque restrittiva della libertà personale con sospensione condizionale oppure una sanzione sostitutiva (d.lgs. n. 38/2016).

Quest'ultimo, in particolare, costituisce la fonte principale dell'esecuzione della pena nel territorio dell'Unione Europea di decisioni penali aventi contenuto diverso dalla pena detentiva o dalla pena pecuniaria. Lo scopo è quello di garantire l'esecuzione di sanzioni sostitutive e misure di sospensione condizionale nel luogo di residenza, di fatto o di elezione, favorendo, al contempo, non solo il rafforzamento della possibilità di reinserimento sociale della persona condannata, consentendole il mantenimento dei legami familiari, linguistici, culturali con il paese di abituale dimora dove è posto il suo centro di interessi, la sua attività lavorativa, il suo nucleo familiare, ma favorendo anche il superamento delle difficoltà di espletamento dell'attività di sorveglianza di obblighi e prescrizioni impartite dai singoli Stati membri, al fine di impedire la recidiva, tenendo così in debita considerazione la protezione delle vittime e della collettività in generale (Considerando n. 8 della decisione quadro 2008/947/GAI).

Il d.lgs. n. 38/2016

Il decreto legislativo 15 febbraio 2016, n. 38 (G.U. 14 marzo 2016, n. 61, in vigore dal 29 marzo 2016), recante Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2008/947/GAI relativa all'applicazione del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze e alle decisioni di sospensione condizionale in vista della sorveglianza delle misure di sospensione condizionale e delle sanzioni sostitutive, è stato adottato in attuazione dell'art. 18, lett. d, l. n. 114/2015 (Legge di delegazione europea 2014) che ha delegato il Governo ad adottare, nel termine di tre mesi a partire dal 15 agosto 2015, i decreti legislativi recanti le norme occorrenti per l'attuazione di ben sette decisioni-quadro adottate dal Consiglio.

Come si è già accennato, il d.lgs. n. 38 del 2016, in particolare, ha dato attuazione alla decisione quadro n. 2008/947/GAI volta ad estendere tra gli Stati dell'Unione il principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie relative all'esecuzione delle pene non restrittive della libertà personale, in vista della sorveglianza di misure di sospensione condizionale e di sanzioni sostitutive, così completando il quadro delle disposizioni che hanno dato attuazione al principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie nei Paesi dell'Unione, con riferimento alla disciplina del mandato di arresto europeo e delle procedure di consegna tra Stati (l. 22 aprile 2005, n. 69); delle sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative della libertà personale ai fini della loro esecuzione nell'Unione europea (d.lgs. 7 settembre 2010, n. 161); delle decisioni relative a misure alternative alla detenzione cautelare (d.lgs. 15 febbraio 2016, n. 36).

Il d.lgs. n. 38/2016 interviene in una materia precedentemente toccata dalla l. 15 novembre 1973, n. 772, che ha ratificato la già evocata Convenzione europea per la sorveglianza delle persone condannate o liberate con la condizionale, adottata a Strasburgo il 30 novembre 1964 e stabilisce che, per quanto non previsto dal decreto, trovano applicazione prioritariamente le disposizioni del codice di procedura penale e le leggi complementari, in quanto compatibili (art. 18).

Sul piano della gerarchia delle fonti il d.lgs. n. 38/2016, in quanto attuativo del diritto europeo, assume ha una particolare forza, alla luce della quale dovrà attentamente essere vagliata, nei casi di conflitto, la compatibilità della fonte concorrente e preesistente con le nuove disposizioni introdotte dal decreto legislativo in esame. Le disposizioni dell'evocato decreto legislativo dovranno, a loro volta, essere interpretate alla luce della fonte europea di riferimento.

Ai fini della disciplina in analisi (art. 2 d.lgs. n. 38/2018) si intende per:

  • sentenza: una decisione definitiva emessa da un organo giurisdizionale penale di uno Stato membro dell'Unione europea con la quale viene comminata nei confronti di una persona fisica una pena detentiva o comunque restrittiva della libertà personale con sospensione condizionale oppure una sanzione sostitutiva;
  • sospensione condizionale della pena: una pena detentiva o una misura restrittiva della libertà personale, la cui esecuzione è sospesa condizionalmente al momento della condanna, con l'imposizione di obblighi e prescrizioni;
  • condanna condizionale: una sentenza in cui l'irrogazione della pena sia condizionalmente differita con l'imposizione di uno o più obblighi e prescrizioni o in cui detti obblighi e prescrizioni siano disposti in luogo della pena detentiva o della misura restrittiva della libertà personale;
  • sanzione sostitutiva: una sanzione, diversa dalla pena detentiva o da una misura restrittiva della libertà personale o dalla pena pecuniaria, che impone obblighi e impartisce prescrizioni;
  • liberazione condizionale: una decisione che prevede la liberazione anticipata di una persona condannata dopo che questa abbia scontato parte della pena detentiva, anche attraverso l'imposizione di obblighi e prescrizioni;
  • misure di sospensione condizionale: gli obblighi e le prescrizioni imposti da un'autorità nei confronti di una persona fisica in relazione a una sospensione condizionale della pena o a una liberazione condizionale

L'art. 4 del decreto in analisi stabilisce che esso si applica ai seguenti obblighi e prescrizioni impartiti con la sospensione condizionale della pena, le sanzioni sostitutive o la liberazione condizionale:

a) obbligo di comunicare ogni cambiamento di residenza o di posto di lavoro all'autorità indicata nel provvedimento impositivo;

b) divieto di frequentare determinati locali, posti o zone del territorio dello Stato di emissione o dello Stato di esecuzione;

c) restrizioni del diritto di lasciare il territorio dello Stato di esecuzione;

d) prescrizioni che impongono determinate condotte o che attengono alla residenza, all'istruzione e alla formazione, alle attività ricreative, o, ancora, che limitano o prescrivono modalità di esercizio di un'attività professionale;

e) obbligo di presentarsi nelle ore fissate all'autorità indicata nel provvedimento impositivo;

f) obbligo di evitare contatti con determinate persone;

g) obbligo di non utilizzare determinati oggetti che sono stati usati o che potrebbero essere usati a fini di reato;

h) obbligo di risarcire i danni causati dal reato e di darne conseguentemente prova;

i) obbligo di svolgere un lavoro o una prestazione socialmente utile;

l) obbligo di cooperare con un addetto alla sorveglianza o con un rappresentante di un servizio sociale;

m) obbligo di assoggettarsi a un trattamento terapeutico o di disintossicazione.

Va notato che l'art. 2 del decreto legislativo n. 38/2016 riproduce sostanzialmente le corrispondenti definizioni della decisione-quadro con alcuni profili di differenza:

  • con riferimento alla liberazione condizionale, il decreto attuativo non vi fa rientrare la liberazione anticipata del condannato che consegua all'espiazione di una parte della eventuale misura restrittiva della libertà personale, facendo riferimento solo alla parziale espiazione di una parte della pena detentiva;
  • la decisione quadro definisce misure di sospensione condizionale gli obblighi e prescrizioni nei confronti di una persona fisica in relazione ad una sospensione condizionale della pena, a una liberazione condizionale o a una condanna condizionale, laddove quest'ultimo riferimento non compare nell'art. 2 del d.lgs. n. 38/2016.

Deve essere ancora notato che, sebbene la decisione-quadro 2008/947/GAI elenchi (art. 4) le tipologie di misure di sospensione condizionale e le sanzioni sostitutive ricadenti nell'ambito applicativo delle nuove disposizioni, si tratta di un catalogo non tassativo, per cui gli Stati membri hanno facoltà di comunicare al Segretariato generale del Consiglio europeo le altre misure e sanzioni l'esecuzione delle quali è disposto a “sorvegliare”. Il decreto attuativo in esame non contiene, tuttavia, alcun accenno a tale possibilità.

Una giurisprudenza innovativa che si fonda sul diritto di matrice europea

Successivamente all'introduzione nell'ordinamento interno della normativa attuativa della fonte europea, la giurisprudenza ha operato un parziale revirement, alla luce dell'innovato quadro normativo.

Mentre, infatti, è stato tenuto fermo il principio per cui l'affidamento in prova al servizio sociale e – più in generale – le misure alternative alla detenzione devono necessariamente svolgersi sul territorio nazionale e non possono eseguirsi sul territorio di uno Stato estero non appartenente all'Unione europea (Cass., sez. I, 24 novembre 2010, n.45585, Scozzari, Rv.249172; Cass., sez. VII, 11 dicembre 2014, n. 34747/2015, Calanna, Rv.264445; Cass., sez. VII, 6 aprile 2018, n. 3026/2019; Cass., sez. VII, n. 40079/2019; Cass., sez. I, 22 febbraio 2019, n. 28809; Cass., sez. I, 12 dicembre 2019, n. 13420/2020), sul fondato rilievo che l'esecuzione della misura comporta una serie di attività da parte dell'Ufficio esecuzione penale esterna evidentemente non attuabili ove il condannato si trovi in uno Stato estero (Cass., sez. I, 15 giugno 2020 n. 20977, Arrighi, Rv. 279338); la Cassazione, in seguito all'entrata in vigore del d.lgs. n. 38/2016, ha ritenuto di giungere ad opposta conclusione ove si tratti di condannato residente in uno Stato dell'Unione (Cass., sez. I, 16 maggio 2018, Rv.275807; Cass., sez. I, 20 dicembre 2019, n. 3004/2020; Cass., sez. I, 25 maggio 2020 n. 16942, Mancinelli, Rv. 279144).

Tale innovativo orientamento supera una precedente posizione negativa che non riteneva applicabile il d.lgs. n. 38/2016 all'esecuzione delle misure alternative alla detenzione, materia che resterebbe estranea – secondo tale recessivo indirizzo - alla detta disciplina per due obiezioni di natura sistematica: le misure alternative non sono disposte con la sentenza di condanna, ma successivamente dal giudice di sorveglianza e non sarebbero, in ogni caso, assimilabili agli istituti della “sospensione condizionale della pena” né alle “sanzioni sostitutive”, unici istituti espressamente disciplinati dal decreto legislativo di matrice europea. Osterebbero, altresì, ragioni di ordine pratico, poiché l'ammissione alle misure alternative presuppone accertamenti istruttori non compatibili con l'ubicazione all'estero dell'interessato e non sarebbe possibile assicurare l'attività di controllo, nel corso dell'esecuzione della misura, da parte dell'Ufficio esecuzione penale esterna italiano.

La più recente giurisprudenza di legittimità ha, tuttavia, ritenuto tali obiezioni non dirimenti, ammettendo la possibilità di esecuzione dell'affidamento al servizio sociale sul territorio di uno Stato membro dell'Unione europea (Cass., sez. I, 25 maggio 2020 n. 16942, cit.; Cass., sez. I, 15 giugno 2020 n.20977, cit.; Cass., sez. I, 16 maggio 2018 n.15091, Leonardi, Rv. 275807).

Quanto al rilievo secondo il quale l'affidamento all'estero impedirebbe all'Ufficio di esecuzione penale esterna di svolgere le proprie attribuzioni in fase di istruttoria e, quindi, di esecuzione della misura la Cassazione, nelle sue più recenti pronunce, assume che le incombenze istruttorie non siano impedite, dal momento che, per un verso, permane l'obbligo, a pena di inammissibilità della istanza, per il condannato libero di eleggere di domicilio sul territorio nazionale (art. 677 comma 2-bis c.p.p.) e, per l'altro verso, l'eventuale mancata collaborazione della persona interessata all'indagine dell'Ufficio esecuzione penale esterna, anche conseguente alla assenza dal territorio nazionale, potrà concorrere a giustificare il rigetto, nel merito, della richiesta (Cass., sez. I, 4 giugno 2020, n.16942/2020; Cass., sez. I, 15 giugno 2020, n.20977/2020, cit.).

Per quanto attiene alla funzione di controllo sull'osservanza delle prescrizioni da parte dell'affidato, la Corte di legittimità osserva che essa è ordinariamente demandata dalla normativa di origine europea allo Stato di esecuzione. A mente dell'art. 8 del d.lgs.n. 38/2016, infatti lo Stato di esecuzione informa l'autorità giudiziaria italiana dell'avvenuto riconoscimento della decisione, e da tale comunicazione la sorveglianza degli obblighi e delle prescrizioni è assunta dallo Stato di esecuzione « riassume l'esercizio del potere di sorveglianza » nelle ipotesi patologiche, cioè nel caso in cui lo Stato di esecuzione comunichi che il soggetto si è sottratto alla esecuzione e nel caso in cui debba considerare la durata e il grado « di osservanza delle prescrizioni e degli obblighi impartiti durante il periodo in cui la persona condannata è stata sorvegliata all'estero » (Cass., sez. I, 16 maggio 201815091/2019, Rv. 275807).

Sotto il profilo sistematico, il dato letterale del testo normativo, che non menziona espressamente le misure alternative alla detenzione di cui alla l. n. 354/1975, non viene ritenuto dirimente dalla Cassazione, che, anzi, rileva come il d.lgs n. 38/2016 utilizzi una terminologia (sentenza, sospensione condizionale della pena, sanzione sostitutiva, liberazione condizionale) che deve essere intesa in senso ampio. In particolare, la nozione di "sanzione sostitutiva" non dovrebbe essere strettamente riferita agli istituti previsti dagli artt. 53 e segg. della legge n. 689/1981, bensì a qualsiasi quale « sanzione, diversa dalla pena detentiva o da una misura restrittiva della libertà personale o dalla pena pecuniaria, che impone obblighi e impartisce prescrizioni »: una definizione di carattere generale che bene si attaglia anche all'affidamento in prova al servizio sociale quale misura extramuraria dal contenuto pur sempre afflittivo che si realizza nella imposizione di obblighi e prescrizioni.

Neppure convincente, secondo i giudici di legittimità, è il rilievo che limita la disciplina dettata dal d.lgs. n. 38/2016 alle sanzioni disposte con la sentenza di condanna, atteso che solo con riferimento alla sospensione condizionale della pena vi è questa specificazione ("al momento della condanna"), mentre in generale si richiede solo che la decisione sia stata adottata da "un organo giurisdizionale penale" e che abbia un certo contenuto (Cass., sez. I, 16 maggio 2018, n. 15091, cit.; Cass., sez. 1, 15 luglio 2020, n.20977/2020, cit.).

Del resto – ha osservato ancora la più recente giurisprudenza - l'art. 4 del d.lgs. n. 38/2016, nell'indicare la tipologia degli obblighi e delle prescrizioni delle “sanzioni sostitutive”, struttura un elenco che corrisponde a quanto l'ordinamento penitenziario (art. 47, commi 6 e 7, ord. penit.) prevede per la misura dell'affidamento in prova al servizio sociale (Cass., sez. 1, 4 giugno 2020, n.16942/20, cit.).

Allo stato attuale, pertanto, mentre per i condannati con titolo esecutivo italiano e residenti in Paesi extracomunitari l'eventuale esecuzione della condanna all'estero dovrà seguire le procedure – spesso complesse e farraginose – previste dalle convenzioni internazionali e da eventuali trattati bilaterali, per i soggetti condannati e residenti in uno Stato membro dell'Unione è, invece, consentita l'esecuzione all'estero delle misure alternative non detentive (segnatamente: affidamento in prova al servizio sociale e liberazione condizionale) concesse dal giudice di sorveglianza italiano, sulla base del d.lgs. n. 38/2016.

Orientamenti di merito e problematiche applicative

La rassegna delle decisioni di merito consente di enucleare alcune costanti applicative e, correlativamente evidenziare alcune rilevanti problematiche che possono presentarsi nella fase di esecuzione dei benefici alternativi e – segnatamente – dell'affidamento in prova, eseguiti all'estero.

Deve, anzitutto, rilevarsi una tendenza al progressivo consolidamento del principio di concedibilità delle misure alternative alla detenzione nell'ambito territoriale europeo, pur registrandosi tuttora alcuni orientamenti negativi (Trib. sorv. Bologna, ord. 4 giugno 2020, inedita, che ritiene « pacifica l'impraticabilità di eseguire una misura alternativa sul territorio di uno Stato estero » – si trattava, nella fattispecie, della Repubblica di San Marino).

Nella prospettiva ormai maggioritaria che ammette, in relazione a pene applicate con sentenza italiana, la possibilità di eseguire una misura alternativa nell'ambito del territorio dell'Unione Europea, i tribunali di sorveglianza, nel concedere l'affidamento in prova designano per l'esecuzione l'autorità competente individuata dallo Stato di esecuzione per tutti gli adempimenti relativi alla gestione della medesima, ivi compresi quelli inerenti alla valutazione di eventuali comportamenti trasgressivi delle prescrizioni da parte dell'affidato (Trib. sorv. Catania, ord. 26 giugno 2019, inedita; Trib. sorv. Messina, ord.17 marzo 2021, inedita; Trib. sorv. Brescia, ord.17 dicembre 2021, inedita). In particolare, i giudici bresciani hanno considerato non preclusivo « l'impedimento all'esercizio di poteri autoritativi al di fuori del territorio nazionale, a ragione del trasferimento di competenza dell'attività di sorveglianza degli obblighi e delle prescrizioni impartite alle competenti autorità dello Stato di esecuzione ». Tale indirizzo supera alcune iniziali decisioni in cui l'esecuzione era mantenuta in capo agli UEPE (allora CSSA) italiani e il verbale delle prescrizioni era fatto sottoscrivere all'interessato presso il Consolato italiano del luogo di residenza del condannato (Trib. sorv. Caltanissetta, ord. 20 dicembre 2002, cit.).

Sotto altro profilo, un indirizzo di merito, nell'applicare la misura dell'affidamento in prova in favore di una persona stabilmente residente in Germania, ha ritenuto – in un'ottica “sostanzialista” - di superare la previsione dell'inammissibilità dell'istanza derivante dalla mancanza di elezione di domicilio in Italia dell'interessata, « a fronte del decorso di molti anni dall'effettività delle sentenze in esecuzione e del trasferimento in Germania della [interessata n.d.A.] … nel 2017 » e ritenendo il detto requisito integrato « dalla documentazione proveniente dagli Uffici tedeschi tradotta in forma giurata e da quanto riferito dall'UEPE nel corso dei colloqui telefonici intercorsi con l'istante » (Trib. sorv. Lecce, ord.23 marzo 2021).

Il modello esecutivo plasmato dalla giurisprudenza di legittimità e seguito dalla parte maggioritaria delle corti di merito si fonda essenzialmente su due assunti: a) che nel concetto di “sentenza” cui fa riferimento il d.lgs. n. 38/2016 possano ricomprendersi anche le decisioni assunte dai giudici di sorveglianza; b) che la competenza alla gestione delle misure concesse dai giudici italiani si devoluta integralmente alle autorità amministrative e giudiziarie dei paesi europei di esecuzione.

Il primo asserto suscita alcune perplessità dal punto di vista sistematico, poiché struttura una fase esecutiva in cui un giudice applica la misura alternativa sulla base della disciplina vigente nel proprio ordinamento interno (nel nostro caso, applicando le norme dell'ordinamento penitenziario o delle leggi speciali che disciplinano benefici penitenziari e sanzioni sostitutive o alternative alla detenzione), mentre altra autorità giudiziaria dovrebbe gestire la misura applicando le norme di un altro ordinamento, del tutto alieno rispetto al primo.

Una tale criticità non si porrebbe qualora si applicasse la normativa di matrice europea nel senso più adesivo alla dizione letterale, demandando all'autorità giudiziaria dello Stato di esecuzione (non solo la gestione ma anche) la decisione sull'applicazione della misura alternativa o della sanzione sostitutiva, sulla base della “sentenza” (intesa in senso tecnico) - di condanna o di applicazione della pena - pronunciata dal giudice italiano, trasmessa dalla Procura italiana alla competente autorità giudiziaria del Paese di residenza abituale del condannato.

Restando ancora sul piano sistematico deve, inoltre, rilevarsi come la disciplina del d.lgs. n.38/2016 non sembra agevolmente applicabile in rapporto alla esecuzione all'estero dell'affidamento terapeutico (art. 94, d.P.R. n.309/1990), alla luce non soltanto degli stringenti e specifici requisiti di ammissibilità della relativa istanza (che necessariamente presuppongono la presa in carica dell'utente da parte del servizio per le dipendenze italiano), ma tenuto, altresì, conto della concreta determinazione delle peculiari prescrizioni che caratterizzano la probation terapeutica.

Scendendo ora al piano applicativo deve rilevarsi che, in sede istruttoria, possono sorgere questioni di non poco conto nel momento in cui – come spesso può accadere – l'interessato non si metta in contatto con l'UEPE in Italia e si limiti a produrre documenti o memorie tramite il difensore veicolando, cioè, documentazione inidonea a comprovare le dedotte risorse del condannato, in particolare qualora dimessa in forma di fotocopie di atti privi di sottoscrizione, non tradotta e autenticata e, quindi, priva di ogni certezza legale (in questo senso, Trib. sorv. Torino, ord.28 ottobre 2020, in ilcaso.it.news).

Del tutto problematica appare, inoltre, in questi casi, la verifica dei presupposti di merito con riferimento all'atteggiamento del condannato rispetto al reato, all'avvio di un percorso di revisione critica, alla condotta successiva al reato accertato con la sentenza in esecuzione, alla effettività e non strumentalità della risorsa lavorativa eventualmente dedotta, all'affidabilità del datore di lavoro (sia per quanto concerne la solidità economico-finanziaria dell'impresa sia per quanto concerne la regolarità nel pagamento dei contributi assicurativi e previdenziali), alle eventuali frequentazioni controindicate del soggetto, all'idoneità dell'abitazione indicata per l'esecuzione della misura (così espressamente Trib. sorv. Torino, ord.28 ottobre 2020, cit.).

Importanti criticità si palesano, ancor più evidenti, nel momento della concreta esecuzione della misura alternativa, dal momento che il relativo regime, tanto sotto il profilo delle autorizzazioni, delle modifiche alle prescrizioni imposte, dell'estensione del beneficio ad un eventuale nuovo titolo esecutivo sopravvenuto dovrebbe avvenire – secondo il modello di elaborazione giurisprudenziale sopra illustrato – nella cornice normativa di un ordinamento europeo diverso da quello italiano, con intuitive – e gravissime – disparità applicative, non solo per la differenza ontologica spesso marcata tra l'affidamento in prova italiano e le misure extramurarie europee (basti solo rammentare che molte di esse, benché apparentemente affini al beneficio di cui all'art. 47 ord. penit., quali il probation o il sursis avec mise à l'épreuve, costituiscono in realtà ipotesi di sospensione dell'esecuzione della pena) ma, soprattutto, rispetto alle conseguenze delle possibili violazioni delle prescrizioni o della commissione di nuovi reati da parte del soggetto ammesso al beneficio alternativo, in rapporto alle quali non è applicabile una disciplina dedicata, se non – forse - una disposizione di carattere aspecifico quale l'art.8 del d.lgs. n.38/2016 (su tali profili v. anche infra).

Del tutto problematica, inoltre, è la concreta applicazione della liberazione anticipata (artt. 47 e 54 ord.penit.), stante la esclusiva gestione della misura da parte dell'autorità giudiziaria straniera e l'assenza di specifiche disposizioni nel d.lgs. n. 38/2016.

Parimenti sfornito di specifica disciplina è il caso in cui l'affidato in prova sul territorio italiano chieda di proseguire l'esecuzione della misura in uno Stato dell'Unione europea. In tale ipotesi, infatti, sussistono rilevanti dubbi applicativi, a partire dalla stessa distribuzione della competenza, potendosi astrattamente ritenere operante il disposto dell'art. 97 comma 7 d.P.R. n. 230/200, che attribuisce al magistrato di sorveglianza la competenza a decidere sull'istanza di trasferimento dell'esecuzione in luogo diverso da quello originariamente stabilito, ovvero quella del tribunale di sorveglianza, dovendosi ritenere applicabile la procedura prevista dal d.lgs. n. 38/2016. In questo caso, il dubbio applicativo potrebbe forse risolversi in favore della competenza collegiale, considerando la specialità della materia e il dato letterale che testualmente limita l'intervento del magistrato monocratico alle ipotesi in cui « […] nel corso della prova viene richiesto che la stessa prosegua in luogo situato in altra giurisdizione”, dunque pur sempre nell'ambito del territorio nazionale, tant'è che il magistrato di sorveglianza, provvede con decreto “comunicato all'affidato e ai centri di servizio sociale interessati » e « la cancelleria dell'ufficio di sorveglianza trasmette il fascicolo dell'affidamento in prova all'ufficio di sorveglianza divenuto competente ».

Nel caso dell'affidamento in prova al servizio sociale ordinario e terapeutico ovvero della liberazione condizionale, infine, si pongono rilevanti dubbi di ordine sistematico e operativo nel momento della valutazione dell'esito della prova poiché, secondo la legge italiana, è il tribunale di sorveglianza italiano che deve vagliare, appunto, l'esito della misura, la cui esecuzione deve necessariamente terminare con una tale decisione.

In altri termini, il sistema validato dalla giurisprudenza implica che il giudice di sorveglianza italiano conceda la misura, un'autorità giudiziaria europea gestisca la stessa e, nuovamente, il giudice italiano debba valutare l'esito del percorso esecutivo. Se pure sembra, in astratto, applicabile all'ipotesi in esame la disposizione del già evocato art.8 del d.lgs. n.38/2016, tale soluzione – ancora una volta – ha il sapore di una forzatura applicativa, se non altro perché l'evocata disposizione configura la riassunzione della competenza da parte dell'autorità giudiziaria italiana quale ipotesi meramente eventuale, nel caso in cui il giudice “tiene conto, ai fini della decisione da assumere, della durata e del grado di osservanza delle prescrizioni e degli obblighi impartiti durante il periodo in cui la persona condannata è stata sorvegliata all'estero.” (art.8, d.lgs. n.38/2016).

In conclusione

L'orientamento della giurisprudenza pronunciatasi in materia di applicazione dell'affidamento in prova all'estero in forza del d.lgs. n. 38/2016 lascia intravedere criticità sistematiche e operative che potrebbero compromettere l'effettività dell'esecuzione delle misure alternative nei confronti di condannati residenti stabilmente in altri Paesi dell'UE e creare gravi disparità di trattamento sul piano esecutivo. É auspicabile, in questa prospettiva, un intervento del legislatore che, integrando la disciplina attualmente vigente, introduca specifiche disposizioni relative all'esecuzione delle misure alternative alla detenzione nello spazio giuridico europeo, così da superare le gravi problematiche che interessano la materia.

Guida all'approfondimento

Cesaris, Affidamento in prova al servizio sociale per condannati residenti all'estero, in Rassegna penitenziaria e criminologica, 2003, 333 e ss.; Fiorentin, Reciproco riconoscimento delle sentenze con sospensione condizionale della pena, in Questa Rivista, 17 marzo2016; Menghini, Stati Generali dell'Esecuzione Penale, Lavori Tavolo XIV, all.6 “Misure alternative: Spagna, Francia, Inghilterra e Germania; stefani, Alternative alla detenzione: quali prospettive in Europa? Analisi, buone prassi e ricerca in sette Paesi dell'Unione Europea, in Rivista di Criminologia, Vittimologia e Sicurezza – Vol. IX – N. 2 – Maggio-Agosto 2015, 100 e ss.

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