Non è illimitata la funzione assistenziale dell'assegno di mantenimento per il figlio maggiorenne
26 Gennaio 2022
Massima
L'assegno di mantenimento non persegue una funzione assistenziale incondizionata e illimitata dei figli maggiorenni disoccupati, dovendo il relativo obbligo di corresponsione venir meno nel caso in cui il mancato raggiungimento dell'indipendenza economica sia riconducibile alla mancanza di un impegno effettivo verso un progetto formativo rivolto all'acquisizione di competenze professionali o dipenda esclusivamente da fattori oggettivi contingenti o strutturali legati all'andamento dell'occupazione e del mercato del lavoro. Il caso
Un padre proponeva reclamo ex art. 739 c.p.c. dinanzi alla Corte d'Appello di Messina avverso il provvedimento con il quale il Tribunale di Messina, in data 5 ottobre 2015, accogliendo parzialmente il suo ricorso, aveva revocato l'obbligo di corresponsione a carico dello stesso dell'assegno divorzile in favore della moglie e confermato l'obbligo di mantenimento nei confronti della figlia maggiorenne. Il reclamante chiedeva, in via principale, la cessazione del predetto obbligo di mantenimento e, in via subordinata, la riduzione del relativo assegno. La Corte territoriale, con decreto del 27 luglio 2016, accoglieva il reclamo confermando la decisione del Tribunale in merito alla cessazione del diritto della moglie al mantenimento, avendo la stessa instaurato una nuova e stabile convivenza con un altro uomo, e revocando l'obbligo del padre di mantenimento della figlia, considerata l'età avanzata della stessa (oramai ventiseienne), la sua scarsa propensione agli studi e la mancanza di impegno nella prosecuzione dell'attività commerciale che padre e zio le avevano prospettato mettendole a disposizione un locale. La decisione veniva impugnata dalla moglie dinanzi ai giudici della Corte di Cassazione. Tra i motivi di ricorso, la donna denunciava l'omessa motivazione del provvedimento impugnato con riferimento alla revoca dell'assegno di mantenimento nei confronti della figlia, per non avere la Corte territoriale reso noti gli elementi in forza dei quali era giunta ad una pronuncia diametralmente opposta a quella di primo grado, rilevando una scarsa propensione agli studi ed un poco volenteroso impegno nell'intraprendere un'attività lavorativa. La ricorrente lamentava, inoltre, l'omesso accertamento da parte della Corte d'Appello della sussistenza delle concrete condizioni della figlia per poter essere economicamente autosufficiente e del fatto che il mancato svolgimento di un'attività economica dipendesse da un suo atteggiamento di inerzia o rifiuto ingiustificato. La questione
Con la pronuncia in commento la Corte di Cassazione torna ad occuparsi dei confini del diritto al mantenimento della prole maggiorenne, a fronte del comportamento del figlio con scarsa propensione agli studi e, che, ingiustificatamente, si rifiuti di svolgere un'attività lavorativa. Le soluzioni giuridiche
I giudici di legittimità ritengono che la Corte territoriale abbia puntualmente esposto la ratio decidendi della revoca dell'assegno di mantenimento in favore della figlia maggiorenne, fondata sull'inerzia colpevole della stessa e sulla mancanza di un progetto formativo, precisando, in ordine al fondamento di tale ratio, che l'accertamento di fatto sull'inerzia, dedotta dal rifiuto dell'offerta lavorativa del padre, non è sindacabile in sede di legittimità. Soffermandosi poi sulla mancanza di un progetto formativo effettivo, la Corte di Cassazione, richiamando alcuni precedenti giurisprudenziali (Cass. 5088/2018; Cass. 12952/2016), ribadisce che il diritto del figlio maggiorenne al mantenimento si giustifica nell'ambito del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso formativo, tenendo conto delle sue capacità, inclinazioni ed aspirazioni, considerato che la portata dell'obbligo di mantenimento è circoscritta dalla funzione educativa del mantenimento, sia in termini di contenuto, sia in termini di durata, avuto riguardo al tempo che occorre e che sia mediamente necessario per il suo inserimento in società. Ne consegue che, secondo la Suprema Corte, l'assegno di mantenimento del figlio maggiorenne non persegue una funzione assistenziale incondizionata ed illimitata, giacché il relativo obbligo genitoriale deve venir meno nel caso in cui il mancato raggiungimento della indipendenza economica sia riconducibile alla mancanza di un impegno effettivo verso un progetto formativo rivolto all'acquisizione di competenze professionali o dipenda esclusivamente da fattori oggettivi contingenti o strutturali legati all'andamento dell'occupazione e del mercato del lavoro. Osservano, al riguardo, i giudici di legittimità, che «la strutturale impossibilità di acquisire una capacità reddituale idonea a garantire almeno il grado minimo di autosufficienza economica, ove disancorata dai requisiti sopra illustrati, su cui poggia l'assegno di mantenimento per i figli maggiorenni non autosufficienti, confluisce negli obblighi alimentari». La pronuncia evidenzia inoltre che la valutazione delle circostanze che giustificano la cessazione dell'obbligo di mantenimento del figlio, deve essere effettuata dal giudice del merito caso per caso, e che tale valutazione deve fondarsi su un accertamento di fatto in ordine «all'età, all'effettivo conseguimento di un livello di competenza professionale e tecnica, all'impegno rivolto verso la ricerca di un'occupazione lavorativa nonché, in particolare, alla complessiva condotta personale tenuta, dal raggiungimento della maggiore età, da parte dell'avente diritto» (Cass. 5088/2018; Cass. 12952/2016). Il raggiungimento di un'età nella quale il percorso formativo e di studi, nella normalità dei casi, è concluso, viene individuato dai giudici di legittimità quale elemento rilevante, giacché «la condizione di persistente mancanza di autosufficienza economico reddituale, in mancanza di ragioni individuali specifiche (di salute, o dovute ad altre peculiari contingenze personali, o, come già osservato dovute ad un ciclo formativo da concludere se intrapreso e proseguito concretamente) costituisce un indicatore forte d'inerzia colpevole» (Cass. 5088/2018). Nel caso di specie, la Suprema Corte ritiene che la Corte territoriale si sia pronunciata conformemente ai suddetti principi giurisprudenziali, dando conto, dunque, nella motivazione del suo provvedimento, degli elementi presuntivi in base ai quali era giunta al convincimento circa il comportamento colpevole della figlia nel mancato raggiungimento dell'indipendenza economica, ritenendo l'età avanzata della stessa, il suo rifiuto ingiustificato di proseguire l'attività commerciale che le era stata prospettata, nonché il suo scarso impegno negli studi, circostanze sufficienti a legittimare la revoca dell'obbligo di mantenimento a carico del padre. Il ricorso viene pertanto rigettato per infondatezza dei motivi addotti. Osservazioni
L'ordinanza che si annota si inserisce in quell'indirizzo giurisprudenziale che abbandona l'atteggiamento protezionistico nei confronti dei figli ultra maggiorenni, sollecitando gli stessi ad impegnarsi nella ricerca e nello svolgimento di un'attività lavorativa per rendersi autonomi. La mancanza di indipendenza economica del figlio maggiorenne, su cui si fondano il diritto all'assegno di mantenimento e lo speculare obbligo in capo al genitore, è ancorata all'art. 337-septiescomma 1 c.c. - disposizione introdotta dal d.lgs. 28 dicembre 2013, n. 154 (Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell'art. 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219) - che riproduce integralmente il contenuto della norma di cui all'art.155-quinquiesc.c., abrogata dal citato decreto. Così come la precedente, anche l'attuale disposizione non prevede alcun confine temporale dell'obbligo di mantenimento a carico del genitore. In proposito, il tradizionale orientamento giurisprudenziale ritiene che tale obbligo non debba cessare automaticamente al raggiungimento della maggiore età del figlio, bensì perdurare fino a quando il genitore non provi il raggiungimento della sua indipendenza economica ovvero che il mancato svolgimento di un'attività economica dipenda dalla sua inerzia o dal suo rifiuto ingiustificato (cfr. ex multis: Cass. civ., sez. I, 26 settembre 2011, n. 19589; Cass. civ., sez. I, 8 febbraio 2012, n. 1773; Cass. civ., sez. VI, 29 ottobre 2013, n. 24424; Cass. civ., sez. I, 9 maggio 2013, n. 11020; Cass. civ., sez. I, 1 febbraio 2016, n. 1858; Cass. civ., sez. VI, 15 luglio 2020, n. 21752). Recentemente, tuttavia, si registra un indirizzo giurisprudenziale innovativo che individua, invece, nel raggiungimento della maggiore età del figlio, una presunzione di autonomia, e, dunque, il momento in cui cessa l'obbligo genitoriale di mantenimento, con conseguente alleggerimento dell'onere probatorioa carico del genitore obbligato, che viene spostato in capo al figlio il quale, per superare tale presunzione, dovrà provare la sussistenza delle condizioni che, al contrario, giustificano il permanere del proprio diritto al mantenimento (più dettagliatamente, Cass. civ., sez. I, 14 agosto 2020, n. 17183; in senso conforme, Cass. civ., sez. VI, 29 dicembre 2020, n. 29779 e Trib. Cosenza, 3 ottobre 2020; contra, Trib. Pavia, 12 maggio 2021 che richiama sul punto Cass. civ., sez. I, 17 febbraio 2021, n. 4219). Ora, benché nell'ordinanza in commento i giudici di legittimità, nell'affermare la correttezza del rilievo probatorio, richiami[U1] no l'indirizzo tradizionale più favorevole all'avente diritto in tema di onus probandi, e non individuino, dunque, nella maggiore età il momento cui cessa l'obbligo di mantenimento a carico del genitore, anche in tale pronuncia può cogliersi una non indulgenza verso qualsivoglia forma di parassitismo da parte della prole. La Corte di Cassazione ribadisce, invero, la «funzione educativa» del mantenimento, che circoscrive la portata dell'obbligo genitoriale e giustifica il diritto del figlio maggiorenne nell'ambito del perseguimento di un progetto educativo e di un percorso formativo che tenga conto delle sue capacità, inclinazioni ed aspirazioni. Al contempo, però, la Suprema Corte esclude che la funzione assistenziale dell'assegno di mantenimento possa protrarsi incondizionatamente e senza limiti di durata, ove il figlio non segua un percorso virtuoso, ossia non si impegni negli studi e si rifiuti di lavorare. Pur non potendo individuare, dunque, un termine preciso nella cessazione dell'obbligo di mantenimento in capo al genitore, secondo la pronuncia in esame, l'essere ancora privi di un'occupazione ad un'età in cui, nella normalità dei casi, dovrebbe essersi concluso il percorso formativo e di studi, costituisce, nella valutazione delle circostanze che giustificano la cessazione di tale obbligo, un indicatore forte di inerzia colpevole. Conformemente all'orientamento giurisprudenziale consolidato che individua un limite al diritto al mantenimento del figlio maggiorenne nel comportamento allo stesso imputabile per il mancato raggiungimento dell'indipendenza economica, la pronuncia de qua - nella direzione di una sempre più pregnante valorizzazione del dovere di autoresponsabilità nei rapporti familiari - consolida il rigore espresso dai giudici negli ultimi anni a fronte della pigrizia dei figli adulti i quali, nonostante l'avanzare dell'età, non si siano emancipati dai propri genitori. |