La sentenza di patteggiamento a carico del coniuge costituisce una prova atipica nel giudizio di separazione

Nicolò Merola
28 Gennaio 2022

La sentenza di patteggiamento a carico di uno dei coniugi in sede penale può costituire per il giudice civile un idoneo elemento di valutazione nell'ambito del giudizio di separazione tra gli stessi?
Massima

Nel giudizio civile di separazione fra i coniugi, vertente sulla domanda di addebito della stessa, la sentenza di patteggiamento a carico di uno di essi può costituire, quale fatto storico espressione della sua condotta, idoneo elemento di valutazione in ordine alla dedotta sussistenza di presupposti della separazione medesima, nel contesto degli accertamenti condotti dal giudice civile, secondo il suo prudente apprezzamento.

Il caso

La sentenza della Corte d'Appello di Bologna ha accolto parzialmente l'appello principale di Caia e respinto l'appello incidentale di Tizio, disponendo sulle videochiamate tra padre e figlio, sull'assegno di mantenimento in favore della moglie, quantificato in € 600, ed aumentato ad € 800 quello in favore del minore Caietto, con condanna del marito alle spese di lite del doppio grado di giudizio.

Tizio ha proposto così ricorso per cassazione, articolando sette motivi mentre Caia resiste con controricorso.

La questione

La sentenza di patteggiamento a carico di uno dei coniugi in sede penale può costituire per il giudice civile un idoneo elemento di valutazione nell'ambito del giudizio di separazione tra gli stessi?

Le soluzioni giuridiche

Il Supremo Collegio ha rigettato il ricorso di Tizio articolato in sette motivi ritenuti infondati e/o inammissibili, condannandolo al pagamento delle spese di lite.

Il ricorrente criticava sostanzialmente:

- la decisione della corte territoriale di attribuire valore di ammissione di colpevolezza alla sentenza di patteggiamento emessa in sede penale a suo carico per i reati di minaccia aggravata e introduzione e detenzione illegale di arma da fuoco;

- i presupposti che hanno condotto all'addebito della separazione a lui e non, invece, alla moglie;

- la minor frequenza delle videochiamate previste tra Tizio e Caietto;

- gli assegni posti a suo carico in favore di moglie e figlio, quantificati in misura eccessiva e sproporzionata rispetto alle condizioni economiche delle parti, alla durata del matrimonio e alle scelte lavorative di Caia;

- la mancata compensazione delle spese di lite.

La Corte di Cassazione ha osservato che nonostante la sentenza penale di patteggiamento ex art. 444 c.p.p. non costituisca giudicato nelle controversie civili, essa fornisce comunque fatti storici ed elementi dotati di efficacia probatoria al giudice civile.

A tal proposito, infatti, si richiama la giurisprudenza secondo cui quest'ultimo «può formare il proprio convincimento anche in base a prove atipiche come quelle raccolte in un altro giudizio tra le stesse o tra altre parti, sempre che siano acquisite al giudizio della cui cognizione è investito» (v. Cass. civ. n. 25067/2018; Cass. civ. n. 840/2015).

Nel caso di specie, infatti, la Corte d'Appello ha considerato la sentenza penale di patteggiamento come un rilevante elemento di prova, i cui caratteri di gravità, precisione e concordanza hanno evidenziato la condotta di Tizio e anche supportato la credibilità delle minacce e intimidazioni riferite da Caia.

La prima questione è stata ritenuta, dunque, infondata stante la corretta applicazione del principio giuridico, mentre – proseguono gli Ermellini – gli apprezzamenti del giudice di merito non possono essere sindacati nel giudizio di cassazione.

Per questa ragione le altre argomentazioni di Tizio sono state ritenute inammissibili: poiché tendevano a riproporre il fatto, chiedendone il riesame al giudice di legittimità al fine di ottenere una diversa valutazione.

L'ultimo motivo, infine, riguardante le spese, è staro ritenuto anch'esso infondato.

Sul punto il Supremo Collegio ha richiamato il consolidato orientamento per cui «la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà” (v. Cass. civ. n. 11329/2019). La pronuncia di condanna alle spese non può essere così censurata in cassazione.

Osservazioni

Il caso in questione ci permette di ribadire una considerazione già espressa con riferimento ad altre vicende, ovvero che il giudizio di cassazione non costituisce un terzo procedimento di merito.

Per questa ragione diversi dei sette motivi articolati da Tizio non hanno trovato accoglimento: essi si risolvono, infatti, in una inammissibile “richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze come definitivamente accertati in sede di merito” (v. Cass. civ. n. 17446/2017).

Pare opportuno poi sottolineare la centralità della prova atipica, che nello specifico è costituita dalla sentenza di patteggiamento emessa in sede penale a carico di Tizio, ma che potrebbe essere, per esempio, anche una scrittura privata proveniente da terzi estranei alla lite oppure le dichiarazioni verbalizzate dagli organi di polizia giudiziaria in sede di sommarie informazioni testimoniali.

Si osserva che nell'ordinamento civilistico manca una norma generale, quale quella prevista dall'art. 189 c.p.p. nel processo penale, che legittima espressamente l'ammissibilità delle prove non disciplinate dalla legge.

Tuttavia, l'assenza di una norma di chiusura nel senso «dell'indicazione del numerus clausus delle prove, l'oggettiva estensibilità contenutistica del concetto di produzione documentale, l'affermazione del diritto alla prova ed il correlativo principio del libero convincimento del Giudice, inducono le ormai da anni consolidate ed unanimi dottrina e giurisprudenza (…) ad escludere che l'elencazione delle prove nel processo civile sia tassativa» (v. Trib. Reggio Emilia 1/12/2014, Dott. Morlini).

Il processo civile conosce così la prova atipica, che pur non essendo inquadrabile ovviamente nei mezzi di prova tipici né vincolando il giudice alla decisione finale, è comunque “rimessa al prudente apprezzamento del giudice del merito e pienamente utilizzabile” (v. Cass. civ. n. 517/2020) e la cui efficacia probatoria deve essere assimilata a quella delle presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. o argomenti di prova.

Vige il principio del libero convincimento del giudice ex art. 116 c.p.c. per cui possono essere oggetto di valutazione tutti i dati dai quali desumere elementi probatori.

Come detto, anche la dottrina è concorde nel ritenere ammissibili le prove atipiche purché le stesse siano acquisite nel rispetto del principio del contraddittorio e delle preclusioni processuali che governano il processo civile, che è finalizzato all'accertamento della verità materiale (v. L. P. Comoglio, Le prove civili, Milano, 2017; G. F. Ricci, Le prove atipiche, Milano, 1999; Atipicità della prova, processo ordinario e rito camerale, Riv. trim. dir. proc. civ., 2002, 409; M. Taruffo, La prova nel processo civile; B. Cavallone, Il giudice e la prova nel processo civile, Milano, 1991).

Per quanto riguarda, infine, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite del doppio grado di giudizio, si specifica che la relativa pronuncia, anche se adottata “senza prendere in esame l'eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione” (Cass. Sez. Un. n. 14989/2005; Cass. civ. n. 7607/2006).