Illegittimità del sequestro finalizzato alla confisca a seguito del mutamento del titolo e tutela dei creditori in caso di confisca facoltativa

01 Febbraio 2022

L'Autore commenta le recenti ordinanze rese dalla Corte d'Appello di Bologna che si inseriscono nell'ambito della complessa vicenda relativa ai fallimenti di Uniland S.p.A. e House building S.p.A. già oggetto dell'intervento delle Sezioni Unite della Suprema Corte e che si caratterizzano per l'attenzione rivolta ai rapporti tra la tutela delle posizioni creditorie dei terzi in buona fede e le ragioni penalistiche della confisca.
Massima

Le ragioni della massa dei creditori non devono necessariamente cedere di fronte a quelle sottese al provvedimento di confisca facoltativa.

Il caso

Le recenti ordinanze in commento, rese dalla Corte d'Appello di Bologna, si inseriscono nell'ambito della complessa vicenda relativa ai fallimenti di Uniland S.p.A. e House Building S.p.A. già oggetto dell'intervento delle SS.UU.della Corte di cassazione con la sentenza del 17 marzo 2015, n. 11170.

A fronte della contestazione dei reati di formazione fittizia di capitale ex art. 2632 c.c. e aggiotaggio ex art. 2637 c.c. nei confronti di alcuni amministratori e del correlato illecito amministrativo ex art. 25 ter D.Lgs. n. 231/2001 nei confronti delle società, nel maggio 2012 il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Bologna aveva disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca ai sensi della degli artt. 19 e 53 D.Lgs. n. 231/2001 di tutti i cespiti delle società.

Successivamente, era intervenuta la dichiarazione di fallimento di dette società e il Pubblico Ministero, mediante riqualificazione degli stessi fatti prima contestati ex artt. 2632 e 2637 c.c., modificava l'imputazione contestando i reati fallimentari di cui agli artt. 236 e 223 l. fall.

È noto come tali fattispecie non figurino nel catalogo dei reati presupposto del D.Lgs. n. 231/2001: le SS.UU. 17 marzo 2015, n. 11170 - in linea di continuità sia con l'impostazione dottrinale unanime, sia con il consolidato orientamento giurisprudenziale - affermavano dunque l'illegittimità del sequestro (e della conseguente eventuale confisca) in ragione nella inapplicabilità della responsabilità ex D.Lgs. n. 231/2001 in relazione a fattispecie non contemplate dal decreto (secondo il principio di legalità ex art. 2 d.lgs. 231/2001) anche nell'ipotesi di reato complesso, di cui è appunto un esempio l'art. 223 l.fall., tra i cui elementi costitutivi si annoverano (appunto) i reati societari di cui agli artt. 2632 e 2637 c.c. (autonomamente) inseriti nel catalogo del decreto.

Successivamente, all'esito del giudizio di primo grado, il Tribunale di Bologna, con sentenza del 14 gennaio 2020 affermava la responsabilità penale degli imputati per i fatti di bancarotta contestati e disponeva sui medesimi cespiti societari già oggetto del sequestro ex d.lgs. n. 231/2001, la confisca facoltativa ai sensi dell'art. 240, comma 1, c.p..

Sul punto, in particolare, il Tribunale di Bologna argomentava come fosse necessaria la confisca delle “compagini societarie che sono state già destinatarie del provvedimento di sequestro preventivo [in quanto esse] si rappresentano quali “cose” strumentali alla realizzazione del piano criminoso e le partecipazioni e i cespiti acquisiti o mantenuti grazie alla progressione del piano medesimo, invece, quali “profitto” dei delitti in cui esso si è andato estrinsecando”.

I curatori fallimentari - legittimati in conseguenza del revirement della Corte di Cassazione che, con sentenza SS.UU. 26 settembre 2019, n. 45936, ha corretto il precedente orientamento delle stesse SS.UU. 17 marzo 2015, n. 11170, con cui si era negata l'autonoma legittimazione del curatore a impugnare il provvedimento di sequestro - proponevano allora incidente d'esecuzione innanzi alla Corte d'Appello di Bologna richiedendo la revoca della sentenza emessa dal Tribunale di Bologna nella parte in cui aveva disposto la confisca ex art. 240, comma 1, c.p..

I curatori, in particolare, lamentavano il radicale mutamento dei presupposti del provvedimento ablatorio rispetto all'originario provvedimento di sequestro ex artt. 19 e 53 D.Lgs. n. 231/2001.

La Corte d'Appello di Bologna, in accoglimento dei suddetti incidenti di esecuzione, revocava la confisca e ordinava la restituzione dei beni alle varie curatele del fallimento.

Le questioni giuridiche

Al netto dei profili strettamente processuali attinenti alla qualificazione dell'impugnazione presentata dai curatori fallimentari nelle forme dell'incidente di esecuzione (si veda in proposito SS.UU., 20 luglio 2017, n. 48126, secondo cui “Il terzo, prima che la sentenza sia divenuta irrevocabile, può chiedere al giudice della cognizione la restituzione del bene sequestrato e, in caso di diniego, proporre appello dinanzi al tribunale del riesame. Qualora sia stata erroneamente proposta opposizione mediante incidente di esecuzione, questa va qualificata come appello e trasmessa al tribunale del riesame”), i provvedimenti della Corte d'Appello di Bologna oggetto di commento si caratterizzano per l'attenzione rivolta ai rapporti tra la tutela delle posizioni creditorie dei terzi in buona fede e le ragioni penalistiche della confisca.

In particolare, il percorso argomentativo della motivazione delle suddette ordinanze, si fonda sulla risoluzione di tre questioni, solo apparentemente distinte:

a) la legittimità del mutamento del titolo del sequestro, disposto ex artt. 19 e 53 d.lgs. n. 231/2001;

b) la sussistenza dei presupposti della confisca facoltativa ex art. 240, comma 1, c.p.;

c) la legittimità della confisca nei confronti di soggetti terzi, estranei al perimetro dell'imputazione, quali le procedure fallimentari.

Le soluzioni
a) La prima questione, relativa alla illegittimità del mutamento del titolo del sequestro preventivo, attiene alla circostanza che beni originariamente vincolati in forza delle disposizioni di cui al d.lgs. n. 231/2001, venuta meno la possibilità di mantenere tale vincolo, sono stati mantenuti in sequestro ricorrendo ad altra forma di sequestro, del tutto scollegata dalla responsabilità propria delle società.

La Corte d'Appello, pertanto, nel ripercorrere i fatti della vicenda, evidenzia anzitutto le differenze tra sequestro ex art. 321 c.p.p. e artt. 19 e 53 d.lgs. n. 231/2001 e quello ex art. 321, comma 2, c.p.p. e art. 240 c. p. per affermarne la non sovrapponibilità dei presupposti applicativi.

Da una parte, il sequestro finalizzato alla confisca ex art. 19 d.lgs. n. 231/2001 è relativo a un'ipotesi di confisca obbligatoria, come noto ricompresa tra le sanzioni principali previste a carico dell'ente condannato per illecito amministrativo dipendente da reato, avente ad oggetto il prezzo o il profitto del reato oppure un'utilità di valore equivalente laddove non risulti possibile la confisca diretta del prezzo o del profitto. Tale confisca, ai sensi della medesima disposizione, incontra il limite dei diritti acquisiti dai terzi in buona fede.

Non rientrano, invece, nell'oggetto di tale forma di confisca, le “cose” utilizzate per commettere il reato.

Dall'altra, il sequestro finalizzato alla confisca ai sensi dell'art. 240 c.p. a sua volta contempla due ipotesi affatto differenti:

- la confisca facoltativa, disciplinata al primo comma, avente ad oggetto «le cose che servirono o furono destinate a commettere il reato e delle cose che ne sono il prodotto o il profitto». Essa mira a spezzare il nesso tra l'autore del reato e la res utilizzata per commetterlo, indipendentemente dall'intrinseca pericolosità di quest'ultimo;

- la confisca obbligatoria di cui al secondo comma, che persegue l'obiettivo di evitare che la libera disponibilità di un bene ritenuto ex se pericoloso che, sulla base di una presunzione assoluta di legge, possa agevolare la recidiva o la commissione di nuovi reati.

Come anticipato, i presupposti per l'applicazione del sequestro preventivo originariamente disposto in via strumentale alla confisca ex art. 19 d.lgs. n. 231/2001 e avente ad oggetto il “profitto” dei presunti reati presupposto sono, dunque, del tutto differenti dai criteri per l'applicazione della confisca facoltativa ex art. 240, comma 1, c. p..

Ebbene, secondo la Corte d'Appello di Bologna, il Tribunale “abbandona[ndo] ogni precedente riferimento alla determinazione dei beni in sequestro quali “profitto” dei reati presupposto contestati all'ente” ha fondato l'applicazione della confisca sulla sola base della condanna delle persone fisiche per un reato, la bancarotta fraudolenta, che, non solo non rientra nel catalogo dei reati presupposto ex d.lgs. n. 231/2001, ma che neppure era stato ancora contestato all'epoca in cui era stato disposto ed eseguito il sequestro preventivo finalizzato alla confisca ex d.lgs. n. 231/2001.

La non sovrapponibilità dei presupposti tra le due differenti forme di confisca (e delle correlate forme di sequestro), secondo la Corte d'Appello, è dunque di per sé idonea a ritenere illegittima la modificazione del titolo del provvedimento ablatorio.

b) Senonché la Corte d'Appello ha affermato anche l'insussistenza dei presupposti della confisca facoltativa ex art. 240, comma 1, c.p..

A tal proposito, la Corte d'Appello, richiamando Cass. pen., sez. III 5, aprile 2017, n. 30133, stigmatizza come non sia affatto “sufficiente motivare il provvedimento che la dispone affermando che il bene è servito per commettere il reato”.

Al contrario, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione, la confisca facoltativa ex art. 240, comma 1, c.p., è legittima solo quando sia dimostrata (e motivata) la relazione di asservimento tra cosa e reato, dovendo la prima essere collegata al secondo non da un rapporto di mera occasionalità, ma da uno stretto nesso strumentale, rilevatore dell'effettiva probabilità del ripetersi di un'attività punibile.

Neppure è sufficiente motivare il provvedimento che dispone la confisca facoltativa ex art. 240, comma 1, c.p. affermando che il bene è servito per commettere il reato, essendo invece necessaria la dimostrazione che il reo, restando in possesso delle cose servite per commettere il reato, reiteri, secondo l'id quod plerumque accidit, l'attività punibile, al fine di impedire la futura ripetizione criminosa (cfr. Cass. pen., Sez. III, 16 gennaio 2020, n.10091).

Secondo la Corte d'Appello di Bologna, considerato che nel caso in esame i soggetti che rientrano nella disponibilità dei beni confiscati sono le procedure fallimentari e dunque soggetti terzi estranei rispetto alla commissione degli illeciti, il nesso tra l'autore del reato e la res utilizzata per commetterlo sarebbe comunque interrotto, sicché la confisca, ancorché facoltativa, non potrebbe mai essere disposta.

c) Particolare attenzione meritano, infine, gli argomenti con cui la Corte d'Appello ha affrontato il tema relativo a “quale sia la gerarchia sussistente tra lo "spossessamento fallimentare", di cui all'art. 42, l.fall., e il provvedimento di confisca facoltativa adottato prima della dichiarazione di fallimento”.

In proposito, nel perdurante silenzio normativo circa la relazione tra le funzioni perseguite dalle procedure fallimentari e dalla confisca, la giurisprudenza ha assunto posizioni diverse a partire da SS.UU. 24 maggio 2004, n. 29951, Focarelli, con cui è stata sancita la prevalenza della confisca (e del precedente sequestro) nei confronti della procedura fallimentare solo allorquando la stessa riguardi beni intrinsecamente pericolosi.

In considerazione delle distinte finalità sottese alla confisca obbligatoria ai sensi dell'art. 240, comma 2, c.p. e alla confisca facoltativa ai sensi dell'art. 240, comma 1, c. p., le SS.UU. 24 maggio 2004, n. 29951, Focarelli, affermavano che nel primo caso l'esigenza di tutela della collettività perseguita in via cautelare tramite il sequestro strumentale prevale senza eccezioni rispetto all'interesse creditorio alla ripartizione del ricavato derivante dalla vendita.

Diversamente, in difetto del requisito dell'intrinseca pericolosità, l'operatività della confisca veniva rimessa alla valutazione del giudice chiamato a valutare la prevalenza delle ragioni ad essa sottese rispetto a quelle attinenti alla tutela dei legittimi interessi dei creditori.

In particolare, con riferimento alla confisca facoltativa, le SS.UU. 24 maggio 2004, n. 29951, Focarelli, riconoscevano in capo al giudice la facoltà di operare un bilanciamento, poiché lo spossessamento realizzato con la procedura fallimentare ex art. 42 l. fall. risulta comunque idoneo a privare l'autore del reato della disponibilità della cosa, oltre che ad assicurare al contempo la garanzia dei creditori sul patrimonio del fallito. In definitiva, al giudice penale era riconosciuto il potere di «disporre l'applicazione, il mantenimento o la revoca del sequestro previsto dal 1 comma dell'art. 321 c.p.p. senza essere vincolato dagli effetti dell'art. 42 l.fall.», salvo l'obbligo di motivare adeguatamente l'esito di tale valutazione.

A conferma di ciò, secondo le SS.UU., vi sarebbe stato anche un dato normativo: l'art. 185 disp. att. c.p.p., il quale dispone che la confisca ex art. 240 c.p.c non travolge i diritti dei terzi “allorquando la presunzione di pericolosità che giustifica la misura di sicurezza inerisca non alla cosa illecita in sé ma alla relazione che la lega al soggetto che ha commesso il reato”.

In senso favorevole ad una ponderazione tra gli interessi in rilievo si esprimeva anche Cass. pen., sez. V, 9 ottobre 2013, n. 48804 secondo cui “ai sensi e per gli effetti dell'articolo 19 del d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231 (confisca per equivalente di beni corrispondenti al profitto del reato), il curatore fallimentare deve essere considerato terzo in quanto rappresentante di interessi qualificabili come diritti di terzi in buona fede (i creditori) sui beni oggetto di confisca, la posizione dei quali deve pertanto essere valutata dal giudice nella prospettiva della prevalenza o meno, rispetto agli stessi, delle esigenze cautelari sottese alla confisca, esigenze che incontrano anche il limite costituito dalla possibilità di restituire parte del profitto del reato al danneggiato, anch'egli rappresentato dal curatore”.

Sorgeva, tuttavia, un contrasto interpretativo in ordine ai criteri alla luce dei quali condurre il bilanciamento tra la doverosità della confisca e le ragioni dei creditori coinvolti nel fallimento.

Intervenute per risolvere il suddetto contrasto, le SS.UU. 17 marzo 2015, n. 11170, Uniland, affermavano il dovere del giudice di procedere automaticamente all'ablazione del prezzo o profitto del reato ogniqualvolta fosse accertata l'esistenza del reato presupposto e la responsabilità dell'ente: se la confisca persegue uno scopo punitivo e mira a ristabilire la situazione patrimoniale precedenteal reato tramite la privazione del profitto illecitamente conseguito, non è necessariamente preclusa la tutela dei diritti acquisiti dai terzi in buona fede.

Semmai, affermavano le SS.UU., dal momento che fino alla conclusione del procedimento concorsuale gli stessi creditori vantano soltanto una mera pretesa, ma non anche un diritto, e potendo più vincoli insistere sul medesimo bene, “se venga disposta la confisca dei beni in pendenza di una procedura fallimentare sugli stessi, lo Stato potrà insinuarsi nel fallimento per far valere il proprio diritto, che sarà soddisfatto dopo che siano stati salvaguardati i diritti dei terzi acquisiti in buona fede”.

A tale sentenza, ancorché resa con riferimento alla confisca obbligatoria ex art. 19 d.lgs. n. 231/2001, veniva attribuita valenza generale e alcune successive pronunce della Corte di Cassazione si limitavano a richiamarla per affermare il difetto di legittimazione in capo al curatore ed escludere la necessità di bilanciamento tra gli interessi contrapposti dello Stato e dei creditori (Cass. pen., Sez. III, 1 marzo 2016, n. 23388, con riferimento ad un caso di omesso versamento di IVA).

In una prospettiva opposta, si annoverano sentenze in cui veniva ammessa la legitimatio curatoris, talvolta limitatamente all'impugnazione dei provvedimenti di sequestro emessi prima della dichiarazione di fallimento (Cass. pen., sez. II, 16 aprile 2019, n. 27262, Fallimento Eurocoop s.coop.), in virtù dei poteri di amministrazione attribuiti al fine del miglior soddisfacimento dei crediti (Cass. pen., sez. III, 17 dicembre 2018, n. 17749).

Le SS.UU. 26 settembre 2019, n. 45936, Mantova Petroli, infine, richiamato l'art. 322 bis c.p.p. che individua tra i soggetti legittimati a proporre appello nei confronti delle ordinanze in materia di sequestro preventivo «la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione», riconosceva la legittimazione del curatore fallimentare all'impugnazione.

In particolare, le SS.UU. hanno affermato l'interesse concreto del curatore poiché l'art. 42, comma 1, l.fall. sancisce lo “spossessamento” dell'imprenditore fallito e il trasferimento della massa attiva alla gestione dell'organo fallimentare, sicché il curatore ne diviene detentore qualificato a far data dalla sentenza dichiarativa del fallimento e deve essere riconosciuto quale «unico soggetto destinatario dell'eventuale restituzione del bene» in virtù «[de]lla sua funzione di conservazione e reintegrazione della massa attiva del fallimento ai fini del soddisfacimento delle ragioni dei creditori a cui la procedura fallimentare è istituzionalmente destinata».

È proprio sulla scorta di tale evoluzione giurisprudenziale e dei suoi più recenti sviluppi, che la Corte d'Appello di Bologna ha dunque affermato come “le ragioni della massa dei creditori non debbano necessariamente cedere di fronte a quelle sottese al provvedimento di confisca facoltativa” e, conseguentemente, ha revocato il sequestro preventivo finalizzato alla confisca disponendo la restituzione dei beni alle curatele.

Conclusioni

Le ordinanze in commento parrebbero (almeno allo stato) costituire l'epilogo della complessa vicenda Uniland, in considerazione delle ben fondate argomentazioni in merito sia alla insostenibilità di un sequestro disposto sulla base di un mutato titolo su cui lo stesso sequestro si fonda, sia dell'insoddisfacente motivazione con cui beni eterogenei, di differente provenienza, costituenti, taluni “cose” pertinenti al reato, altri “profitto” del reato, erano stati mantenuti in sequestro.

Il percorso motivazionale appare poi assolutamente condivisibile per gli effetti sui soggetti in buona fede estranei al reato, quali i creditori (in questo caso principalmente due istituti bancari) rappresentati dalle curatele fallimentari.

Sul punto, la motivazione dei provvedimenti in commento, ancorché particolarmente sintetica, poggia sulle ormai solide basi poste dalla sentenza delle SS.UU. 26 settembre 2019, n. 45936, Mantova Petroli e trova ulteriore conforto nell'art. 318 d.lgs. n. 14/2019 (Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza) che, in materia di sequestro preventivo, prevede:

“1. In pendenza della procedura di liquidazione giudiziale non può essere disposto sequestro preventivo ai sensi dell'articolo 321, comma 1, del codice di procedura penale sulle cose di cui all'articolo 142, sempre che la loro fabbricazione, uso, porto, detenzione e alienazione non costituisca reato e salvo che la fabbricazione, l'uso, il porto, la detenzione e l'alienazione possano essere consentiti mediante autorizzazione amministrativa. 2. Quando, disposto sequestro preventivo ai sensi dell'articolo 321, comma 1, del codice di procedura penale, è dichiarata l'apertura di liquidazione giudiziale sulle medesime cose, il giudice, a richiesta del curatore, revoca il decreto di sequestro e dispone la restituzione delle cose in suo favore”.

Dalla lettura della norma emerge con chiarezza la prevalenza delle ragioni del ceto creditorio sugli interessi sottesi al sequestro preventivoquando esso abbia ad oggetto i beni del fallito e in pendenza di liquidazione. Esiste tuttavia un'eccezione rispetto alla quale si impone in modo assoluto l'esigenza pubblicistica del sequestro. Tale eccezione riguarda unicamente la tipologia di beni per cui è prevista la confisca obbligatoria ai sensi dell'art. 240, comma 2, n. 2) c.p.. la cui intrinseca pericolosità esige l'apposizione di un vincolo cautelare che impedisca la reiterazione dei reati, anche a discapito della procedura liquidatoria.

Inoltre, l'art. 320 del medesimod.lgs. n. 14/2019 interviene anche sul tema della legittimazione del curatore fallimentare, affermando: “contro il decreto di sequestro e le ordinanze in materia di sequestro il curatore può proporre richiesta di riesame e appello nei casi, nei termini e con le modalità previsti dal codice di procedura penale. Nei predetti termini e modalità il curatore è legittimato a proporre ricorso per cassazione”.

Grazie ad un'espressa previsione normativa, pertanto, le questioni emerse nel corso della vicenda in commento potrebbero andare incontro ad un definitivo superamento.