Sulle proponibilità e fondatezza dell'azione risarcitoria in mancanza di azione di annullamento

Giusj Simone
11 Febbraio 2022

La mancata impugnazione dell'aggiudicazione dell'appalto non incide, ai sensi dell'art. 30, commi 1 e 2, del c.p.a., sulla proponibilità dell'azione risarcitoria, rilevando invero detta mancanza nel più ampio spettro del comportamento complessivo delle parti, valutabile secondo il canone della buona fede e del principio di solidarietà, ai fini del merito del ricorso, in particolare della sussistenza o della consistenza del danno ingiusto.
Abstract

La mancata impugnazione dell'aggiudicazione dell'appalto non incide, ai sensi dell'art. 30, commi 1 e 2, del c.p.a., sulla proponibilità dell'azione risarcitoria, rilevando invero detta mancanza nel più ampio spettro del comportamento complessivo delle parti, valutabile secondo il canone della buona fede e del principio di solidarietà, ai fini del merito del ricorso, in particolare della sussistenza o della consistenza del danno ingiusto.

Il caso

Vengono in rilievo, nel caso di specie, la proponibilità e la fondatezza dell'azione risarcitoria per equivalente monetario dei danni conseguenti alla asserita illegittima aggiudicazione di appalto per lavori di riqualificazione funzionale e di risanamento conservativo del cimitero monumentale comunale, proposta dalla seconda classificata senza aver esperito anche l'azione di annullamento dell'aggiudicazione medesima in favore della prima graduata.

A dire di parte ricorrente l'illegittimità dell'aggiudicazione deriverebbe dalla erronea valutazione dell'offerta sia tecnica sia economica di quest'ultima (con riferimento a specifici criteri di cui alla legge di gara), nonché dalla carenza in capo alla stessa di un requisito di partecipazione (certificazione del sistema di qualità ISO 9001:2008, indicata nel bando quale requisito soggettivo di qualificazione dell'impresa).

La sentenza. Sulla proponibilità dell'azione risarcitoria

Sulla proponibilità dell'azione risarcitoria, l'adito TAR rileva come non incida sulla stessa, ai sensi dell'art. 30, commi 2 e 3, del c.p.a., la mancata impugnazione dell'aggiudicazione dell'appalto, rilevando invero detta mancanza nel più ampio spettro del comportamento complessivo delle parti, valutabile secondo il canone della buona fede e del principio di solidarietà, ai fini del merito del ricorso, in particolare della sussistenza o della consistenza del danno ingiusto (Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 23 marzo 2011, n. 3).

Sulla fondatezza dell'azione de qua (per sussistenza dei suoi elementi costitutivi), il TAR respinge preliminarmente la censura inerente la carenza in capo all'aggiudicataria del requisito di qualificazione richiesto dalla legge di gara, poiché priva di sostegno probatorio. Trova, infatti, piena applicazione nel giudizio risarcitorio, ai sensi dell'articolo 2697 del codice civile e del principio di vicinanza della prova, il principio dispositivo: pertanto la società ricorrente avrebbe dovuto produrre in giudizio – il che non è stato – l'attestazione SOA rilasciata all'aggiudicataria al fine di verificare se effettivamente la certificazione di qualità ISO 9001:2008 fosse stata rilasciata in data anteriore alla costituzione del soggetto cui si riferiva. Risultano, invero, fondate le censure relative all'erronea valutazione dell'offerta presentata dall'aggiudicataria (avendone la società ricorrente sufficientemente provato lo scostamento – sotto il profilo tecnico – dalla base quantitativa, fissata come soglia inderogabile di realizzazione, contenuta nel progetto preliminare, e risultando provate in giudizio, in applicazione del principio di non contestazione, le discrasie fattuali – sotto il profilo economico – evidenziate da parte ricorrente) e, per l'effetto, “virtualmente” (non essendo stato impugnato) illegittimo il provvedimento di aggiudicazione.

Risulta, altresì, provato da parte ricorrente l'an della responsabilità dell'amministrazione comunale (per aver quest'ultima tenuto un comportamento contrario alla buona fede nel respingere sbrigativamente l'istanza di autotutela presentata dalla società ricorrente, senza esplicitarne le motivazioni, e provvedendo, piuttosto, a rimodulare il piano economico dell'intervento e ad approvare il progetto definitivo revisionato), fermo restando che, nel risarcimento da mancata aggiudicazione delle gare pubbliche di appalti e concessioni, a partire dalla nota sentenza della Corte di giustizia, Sezione III, 30 settembre 2010, C-314/09, non è invece richiesta la prova della colpa dell'amministrazione aggiudicatrice, poiché il risarcimento del danno è qualificato come rimedio compensativo per la lesione della situazione sostanziale e dunque per l'attuazione del principio di effettività della tutela.

Sul quantum della accertata responsabilità dell'amministrazione comunale, invece, il TAR pur condividendo la base di calcolo per il lucro cessante da mancata aggiudicazione utilizzata dalla società ricorrente – secondo la quale al danno da mancata aggiudicazione non deve essere applicato in via automatica l'abbattimento derivante dal c.d. aliunde perceptum, ovverosia dalla presunzione relativa che, in ragione delle commesse svolte nel frattempo dall'operatore economico danneggiato, questi non avrebbe potuto far fronte anche all'esecuzione dell'appalto oggetto del giudizio – e l'orientamento giurisprudenziale secondo cui il fatto impeditivo dell'integrale risarcimento da mancata aggiudicazione non può essere oggetto di una presunzione ma, in applicazione dell'onere della prova di cui all'art. 2697 del codice civile, deve essere eccepito e provato dalla parte danneggiante (Consiglio di Stato, Sezione V, 26 gennaio 2021, n. 788), non ne condivide la quantificazione, non essendosi parte ricorrente, in qualità di danneggiato, attivata per evitare le conseguenze dannose del proprio comportamento, ai sensi dell'art. 1227, comma 2, del codice civile.

Trattasi di principio che ha trovato attuazione, per il giudizio amministrativo di danno, nell'art. 30, comma 3, del c.p.a. (“…Nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l'ordinaria diligenza, anche attraverso l'esperimento degli strumenti di tutela previsti”). Sul tema, si consideri a fortiori la cit. adunanza plenaria del Consiglio di Stato, sent. n. 3/2011.

Il TAR ritiene che il danneggiato abbia imprudentemente confidato nell'annullamento dell'aggiudicazione all'esito dell'espletamento del procedimento di autotutela, trascurando, in tal modo, di coltivare la tutela giurisdizionale di annullamento, la quale avrebbe, con alto grado di verosimiglianza, consentito alla società ricorrente di ottenere il risarcimento del danno in forma specifica mediante l'aggiudicazione dell'appalto o il subentro nell'esecuzione del contratto, evitando pertanto i danni derivanti dall'impossibilità sopravvenuta dell'esecuzione in forma specifica. La società ricorrente non ha fornito plausibili motivazioni in merito alla oggettiva impossibilità, alla eccessiva onerosità o alla sostanziale inutilità dell'esperimento del rimedio impugnatorio ma si è limitata ad affermare di non aver impugnato l'aggiudicazione dell'appalto per decorrenza del temine decadenziale previsto per la proposizione dell'azione di annullamento dell'aggiudicazione. La grave e deliberata trascuratezza posta in essere dalla società ricorrente, pertanto, deve ritenersi idonea ad abbattere – in una percentuale stimata nell'80 % – la somma dalla stessa richiesta a titolo di lucro cessante. Somma ulteriormente ribassata, secondo un criterio equitativo che il TAR ha ritenuto di individuare nella dimidiazione dell'importo, non potendosi affermare con certezza che parte ricorrente avrebbe ottenuto l'aggiudicazione.

Viene, infine, dichiarata inammissibile la domanda risarcitoria da lucro cessante, nella specifica voce del danno curriculare, essendo la stessa stata formulata solo nella memoria difensiva in violazione del principio di immodificabilità della domanda proposta con il ricorso introduttivo.

Conclusioni

In conclusione, la domanda risarcitoria per equivalente del danno da mancata aggiudicazione, nella specifica voce del lucro cessante da mancato utile, viene accolta e, per l'effetto, l'amministrazione comunale viene condannata al pagamento, in favore della società ricorrente, della somma liquidata secondo l'indicato criterio equitativo. Tale somma, in quanto costituente un debito di valore, deve essere rivalutata secondo gli indici ISTAT dalla data della stipulazione del contratto con l'aggiudicataria sino all'attualità. Sulla somma annualmente rivalutata sono altresì dovuti gli interessi legali dalle singole scadenze sino all'effettivo soddisfo.Le spese di lite seguono la soccombenza.

Rilevati, infine, nella fattispecie possibili profili di responsabilità erariale, il TAR dispone la trasmissione della sentenza e di copia degli atti del giudizio alla Procura regionale presso la Sezione giurisdizionale della Corte dei Conti per la Lombardia.

Sommario