Assegno divorzile all'ex coniuge e convivenza more uxorio: automatismo dell'estinzione o altre scelte interpretative?

Mariagrazia Pisapia
Samantha Luongo
Samantha Luongo
14 Febbraio 2022

Le autrici esaminano l'annosa questione della spettabilità dell'assegno anche al coniuge che abbia intrapreso una nuova convivenza nell'ottica di una possibile sopravvivenza della componente compensativa-perequativa.
Inquadramento

La corte di Cassazione torna ad interrogarsi sulle problematiche inerenti il diritto del coniuge divorziato alla percezione dell'assegno divorzile ove la sua posizione economica sia sperequata rispetto a quella del suo ex coniuge, a seguito del contributo offerto alla vita endofamiliare in costanza di matrimonio, con sacrificio delle proprie aspettative lavorative in favore dei figli e della famiglia, qualora abbia instaurato una relazione di fatto, stabile e duratura, con un terzo.

Dunque, l'instaurarsi della nuova convivenza quanto rileva sul diritto alla provvidenza economica e sulla sua quantificazione? In limine il diritto all'assegno può rivivere in toto o entro quali limiti nel caso di cessazione della nuova convivenza more uxorio?

Le Sezioni Unite del 5 novembre 2021, n. 32198

In sede di cessazione degli effetti civili del matrimonio, il Tribunale disponeva a carico di Tizio l'obbligo di versare all'ex coniuge, Caia, che durante i nove anni di durata del matrimonio aveva rinunciato ad un'attività professionale o comunque lavorativa per dedicarsi interamente ai figli, nel mentre il marito aveva potuto implementare con successo e rendere particolarmente redditizia la propria attività professionale, un assegno divorzile di euro 850,00 mensili, oltre a disporre a suo carico il mantenimento indiretto dei figli minori. La Corte d'appello, adita in sede di gravame avanzato da Tizio, in parziale riforma della sentenza di primo grado ed in accoglimento dell'impugnazione, escludeva l'obbligo in capo all'ex marito di corresponsione dell'assegno divorzile, stante la sussistenza di una stabile convivenza instaurata dall'ex moglie, consolidata dalla presenza di una figlia, in applicazione del principio espresso dalla Corte di Cassazione nella sent. n. 6855/2015. Avverso tale pronuncia, la moglie interponeva ricorso per Cassazione, dolendosi, in particolare, della violazione e falsa applicazione dell'articolo 5 comma 10 della legge 1° dicembre 1970 n. 898, laddove la Corte territoriale aveva asserito che “la semplice convivenza more uxorio con altra persona provochi senza alcuna valutazione discrezionale del giudice l‘immediata soppressione dell'assegno divorzile.” Il ricorso, assegnato alla Prima sezione civile e da questa rimessa, con ordinanza interlocutoria del 17 dicembre 2020, n. 28995, al Primo Presidente, veniva dunque sottoposto alle Sezioni Unite per la valutazione della questione di massima, di particolare importanza, sul se il diritto all'assegno divorzile in capo all'ex coniuge che abbia intrapreso una nuova convivenza stabile, duratura, con un terzo, si estingua automaticamente prescindendo dalle finalità proprie dell'assegno, o se siano invece praticabili altre scelte interpretative.

La natura composita dell'assegno

Le Sezioni Unite operano innanzitutto una ricognizione degli orientamenti formatisi in merito all'instaurazione di una convivenza stabile, duratura da parte dell'ex coniuge, beneficiario dell'assegno divorzile.

In base all'orientamento più risalente, formatisi in assenza di una disciplina normativa organica sulle convivenze more uxorio e sulle unioni civili, il diritto all'assegno non cessa automaticamente ma può essere eventualmente rimodulato dal giudice nel suo ammontare.

Ciò in ragione del carattere precario dei nuovi benefici economici legati alla convivenza e del fatto che la contribuzione dei conviventi viene ricondotta nell'ambito dell'adempimento di una obbligazione naturale. Per il coniuge divorziato, economicamente più debole, solo in caso di nuove nozze vi sarebbe quindi il passaggio alla protezione di una nuova solidarietà coniugale.

In base ad un orientamento intermedio, si ha invece una mera sospensione, per tutta la durata della convivenza, del diritto all'assegno divorzile, che entra in uno stato di quiescenza e può riprendere vigore ove venga a cessare la convivenza, operando in questo caso una sorta di reviviscenza.

In base all'orientamento più recente, infine, si ha invece un'estinzione automatica e per l'intero del diritto stesso all'assegno, che viene a cessare per sempre e non rivive neppure in caso di cessazione della convivenza (per alcune pronunce, specie se sugellata dalla presenza di figli). Questo orientamento valorizza in maniera estrema il principio di autoresponsabilità e l'assunzione piena del rischio di una cessazione del rapporto e, quindi, esclude ogni residua solidarietà post-matrimoniale con l'altro coniuge, il quale non può che confidare nell'esonero definitivo da ogni obbligo.

Dunque, con l'instaurarsi di una convivenza dotata dei connotati di stabilità e continuità, si rescinde ogni connessione con il modello di vita caratterizzante la pregressa fase di convivenza matrimoniale e con ciò ogni presupposto per la riconoscibilità di un assegno divorzile (con la sola differenza che nel caso di nuove nozze il diritto viene meno ex lege, mentre in questo caso è necessario un accertamento giudiziale).

Tale ultimo orientamento, posto a base della decisione della Corte di Cassazione che a sezioni Unite, svolge, infatti, parallelamente, una ricognizione normativa in materia, evidenziando che:

-il dato normativo dell'art. 5, comma 10, l. n. 898/1970, prevede che "L'obbligo di corresponsione dell'assegno cessa se il coniuge, al quale deve essere corrisposto, passa a nuove nozze" ed è, quindi, limitato al solo caso di contrazione di nuova unione matrimoniale e non di convivenza;

- non è stata inserita altra apposita norma nella pur recente regolamentazione organica delle famiglie di fatto, contenuta nella l. n. 76/2016, sulla sorte dell'assegno di divorzio per l'ipotesi che si instauri una nuova convivenza;

-il progetto di legge in corso di approvazione in Parlamento, approvato in prima lettura dalla Camera dei deputati il 14 maggio 2019, contempla la modifica proprio dell'art. 5, comma 6 l. div., prevedendo l'inserimento espresso della previsione secondo cui: "L'assegno non è dovuto nel caso di nuove nozze, di unione civile con altra persona o di una stabile convivenza ai sensi della l. 20 maggio 2016, n. 76, art. 1, comma 36, anche non registrata, del richiedente l'assegno. L'obbligo di corresponsione dell'assegno non sorge nuovamente a seguito di separazione o di scioglimento dell'unione civile o di cessazione dei rapporti di convivenza".

La Corte di Cassazione, deduce quindi che:

- allo stato, sulla base dell'attuale impianto normativo, non è possibile estendere tale previsione anche all'ipotesi di contrazione di nuova convivenza;

- se l'evoluzione del percorso normativo va verso l'affievolimento dei legami precedenti alla costituzione di nuove formazioni sociali familiari, conformemente alle scelte operate a livello normativo in altri paesi Europei a noi vicini, non è possibile il ricorso all'analogia, ex art. 12 preleggi, trattandosi di situazioni (unioni matrimoniali e unioni fatto) eterogenee sul piano del diritto positivo, regolamentate in maniera diversa e non essendosi in presenza di un vuoto normativo che necessiti di essere colmato.

Considerando quindi la non piena omogeneità normativa della due situazioni, la natura composita dell'assegno di divorzio, comprensiva della componente assistenziale e di quella compensativo-perequativa (da Cass. sez. un. n. 18287/2018 in poi) e i criteri per determinarne sia l'attribuzione che la quantificazione, la Corte afferma la necessità di trovare un equilibrio tra il principio di autoresponsabilità e la tutela della riaffermata solidarietà post-coniugale. Enuclea quindi il principio secondo cui in caso si instauri una convivenza stabile, giudizialmente provata (frutto di una scelta, libera e responsabile, con la formazione di un nuovo progetto di vita e, quindi, con possibilità di ricevere contribuzioni economiche che, dopo la regolamentazione normativa delle convivenze di fatto, rilevano per l'ordinamento anche come adempimento di un reciproco e garantito dovere di assistenza morale e materiale), deve ritenersi che si estingua, di regola, il diritto alla componente assistenziale dell'assegno di divorzio anche per il futuro, per la serietà che deveessere impressa al nuovo impegno, anche se non formalizzato, e per la dignità dariconoscere alla nuova formazione sociale. Il coniuge beneficiario non perde invece automaticamente la componente compensativa/perequativa dell'assegno, che potrà essere rimodulato, in sede di revisione, o quantificato, in sede di giudizio per il suo riconoscimento, purchè al presupposto indefettibile della mancanza di mezzi adeguati, si sommi il comprovato emergere di un contributo, dato dal coniuge debole con le sue scelte personali e condivise in favore della famiglia, alle fortune familiari e al patrimonio dell'altro coniuge, che rimarrebbe ingiustamente sacrificato e non altrimenti compensato se si aderisse alla caducazione integrale.

Conclusioni

Le Sezioni Unite affrontano uno snodo cruciale che vede, da un lato, la progressiva valorizzazione della famiglia di fatto e la pari dignità delle formazioni sociali a carattere familiare e, dall'altro, la correlativa equiparazione anche delle ricadute patrimoniali sull'an e sul quantum dell'assegno divorzile, nel caso di nuova unione, anche non matrimoniale, dotata di carattere di stabilità.

L'effetto estintivo automatico del diritto all'assegno divorzile, espressamente previsto dall'art. 5, comma 10, della l. n. 898/1970 nel caso di nuove nozze del beneficiario dell'assegno, finisce per essere escluso in caso di instaurazione di un vincolo di fatto del coniuge beneficiario con un terzo, anche dopo la disciplina dell'unioni civili e delle convivenze, l. 20 maggio 2016, n. 76.

Il nuovo vincolo di fatto, dotato di stabilità e serietà, non è cioè ritenuto idoneo ad elidere gli obblighi economici derivanti dalla precedente vità anteatta matrimoniale, se non nella sola dimensione assistenziale, che trova la sua esclusiva sede nella nuova unione, in cui transita il principio di solidarietà.

Il sacrificio di aspettative professionali e lavorative, le rinunce fatte da un coniuge a favore dell'altro per la conduzione familiare e la crescita dei figli, la sperequazione tra le condizioni economico-patrimoniali, causalmente collegata a tali scelte, può invece continuare a ricevere compensazione dopo il divorzio, anche in caso di instaurazione di nuova unione che assuma carattere di stabilità e sia duratura.

Le sezioni Unite offrono una soluzione che mira a contemperare i due principi, posti agli antipodi, che hanno scandito l'evoluzione giurisprudenziale registratasi negli ultimi anni:

- il principio di autoresponsabilità dei coniugi divorziati con l'assunzione piena del rischio di una cessazione del nuovo rapporto, (cfr Cass. n. 6855/2015 e Cass. civ., n. 11504/2017, che ha aperto ad una concezione totalmente individualista del post divorzio e con ridimensionamento della solidarietà post coniugale alla funzione meramente assistenziale, concretizzabile nei limiti di un assegno divorzile sufficiente a consentire al coniuge richiedente il raggiungimento dell'indipendenza economica funzionale ad una esistenza dignitosa);

-il principio di solidarietà postconiugale che ha visto il suo approdo più significativo nell'affermazione della natura composita dell'assegno (assistenziale e perequativa/compensativa), con le Sezioni Unite n. 18287 del 2018, che hanno propugnato l'abbandono degli automatismi del tenore di vita e del criterio dell'autosufficienza, la valutazione unitaria e non più bifasica dei presupposti dell'assegno, la necessità di tener conto dell'intera storia matrimoniale, delle scelte endofamiliari, specie se in ragione di essa sono state sacrificate aspettative e possibilità professionali e reddituali, senza azzeramento della vita anteatta matrimoniale).

Dunque, eseguito un accertamento pieno sulla stabilità e durata della nuova formazione sociale, il diritto all'assegno divorzile di chi abbia intrapreso una nuova convivenza stabile -ove la sua posizione economica sia sperequata rispetto a quella del suo ex coniuge e tale sperequazione sia causalmente ricollegabile alle scelte matrimoniali- non si estingue se non nella componente assistenziale, non azzerandosi la valorizzazione del contributo dato dall'avente diritto al patrimonio della famiglia e dell'altro coniuge, e quindi la componente compensativa dell'assegno divorzile, che potrà subire una rimodulazione da parte del giudice di merito, specie laddove la nuova scelta di convivenza si riveli migliorativa delle condizioni economico-patrimoniali del beneficiario .

La soluzione offerta dalle Sezioni Unite quindi lascia permanere una differenziazione ontologica e di regolamentazione tra unione matrimoniale e convivenza, che si giustifica con il fatto che la componente compensativa non verrebbe recuperata all'interno della coppia di fatto ma solo all'interno di una nuova unione matrimoniale.

La Corte di Cassazione chiarisce poi la distribuzione dell'onere della prova tra le parti, in caso di richiesta di assegno o di sua revisione avanzata per la instaurata convivenza del coniuge beneficiario con un terzo, e considera i limiti dell'erogazione periodica a tempo indeterminato di un assegno divorzile che abbia valenza solo compensativa.

Rimane infatti la difficoltà della quantificazione economica della sola componente compensativa, specie quando, a seguito della nuova convivenza, la situazione economica del beneficiario, seppure sperequata rispetto all'ex coniuge obbligato, sia migliorata.

La Corte evidenzia quindi la necessità che la quantificazione non sia proiettata verso il futuro ma rivolta al passato, in correlazione al contributo prestato, e segnala l'opportunità di porre un termine finale a tale erogazione, prevedendo la corresponsione di un'unica soluzione o la mitigazione ad numero di anni parametrato alla durata del vincolo matrimoniale, senza mancare di evidenziare che tale soluzione, allo stato dell'attuale normativa, appare praticabile essenzialmente sulla base dell'accordo tra i coniugi, che il giudice è sollecitato a perseguire.

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