Fatti decisivi per il mancato riconoscimento dell'assegno di divorzio

Ilaria Dionisio
11 Febbraio 2022

La mancata domanda di sostentamento proprio da parte dell'ex coniuge richiedente, sia in sede di separazione che di divorzio, nonché il riconoscimento per il contributo dato alla vita familiare sono da considerare fatti rilevanti e decisivi per il riconoscimento dell'assegno di divorzio?
Massima

Se dall'analisi delle circostanze e delle eventuali presunzioni emerge l'insussistenza dei requisiti di legge per il riconoscimento dell'assegno divorzile, non potrà essere accolta la domanda proposta sul punto dal coniuge richiedente

Il caso

In sede di cessazione degli effetti civili del matrimonio, il Tribunale aveva onerato l'ex marito del versamento di un assegno divorzile di €300,00 mensili ed aveva revocato l'assegno in favore della figlia. L'ex marito proponeva appello avverso tale sentenza di primo grado, senza però veder accolta l'impugnazione. Quest'ultimo proponeva, pertanto, ricorso per Cassazione.

La questione

La questione in esame è la seguente: la mancata domanda di sostentamento proprio da parte dell'ex coniuge richiedente, sia in sede di separazione che di divorzio, nonché il riconoscimento per il contributo dato alla vita familiare sono da considerare fatti rilevanti e decisivi per il riconoscimento dell'assegno di divorzio?

Le soluzioni giuridiche

Nell'ordinanza in esame la Corte ha fatto riferimento alla funzione stessa dell'assegno di divorzio secondo quanto previsto dall'art. 5 comma 6, l. n. 898/1970, in considerazione dell'orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità, che ha evidenziato la natura non solo assistenziale, ma anche compensativa-perequativa di tale assegno (a partire dalla pietra miliare posta dalla sentenza Corte di Cassazione a S.U. n. 18287/2018).

La Corte di legittimità ha rilevato che quindi ai fini della corresponsione dell'assegno in sede di divorzio correttamente i giudici del gravame hanno accertato l'inadeguatezza dei mezzi di sostentamento o comunque l'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive mediante l'applicazione dei criteri indicati nella citata norma. In particolare si è fatto, ad esempio, riferimento alla capacità lavorativa/reddituale delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi.

Proprio in considerazione di tali criteri, la Corte di legittimità ha rilevato l'incompleta analisi effettuata dai giudici di merito nella decisione emessa, in cui sono stati appunto omessi due fatti dirimenti.

Il primo ha riguardato la circostanza, peraltro mai contestata dall'ex moglie, che la stessa non avesse richiesto in sede di separazione, verificatasi nel 2008, un mantenimento per sé ed in tale sede era stato previsto che percepisse unicamente €100,00 mensili a titolo di contributo spese per la gestione della casa ex coniugale. Altra circostanza indiscussa era che la resistente avesse proposto la domanda di assegno solo nel 2018, in sede di divorzio, ovvero 10 anni dopo il procedimento di separazione.

Il secondo fatto, citato dalla Corte d'appello, ma non considerato, ha riguardato il riconoscimento della collaborazione domestica fornita dalla moglie che aveva permesso al marito l'acquisto della casa ex coniugale e che era stata compensata mediante il conferimento alla stessa di metà del ricavato della vendita del citato immobile, con cui la resistente aveva poi acquistato un'altra abitazione.

Peraltro la Corte d'appello ha altresì erroneamente invertito l'onere della prova, ritenendo non provata la circostanza che il marito avesse reperito occasioni di lavoro per la resistente, anziché richiedere a quest'ultima di fornire adeguata prova circa l'incolpevole individuazione di un'entrata economica quale conseguenza della propria attività lavorativa (tra le altre pronunce in tal senso, si riporta l'ordinanza Corte Cassazione n. 6886/2018).

Secondo la Corte di legittimità la mancata considerazione delle suddette due circostanze hanno dato luogo al vizio di omesso esame di un punto decisivo del provvedimento in sede di gravame, condizionandone la motivazione.

In particolare, il fatto che la moglie non avesse mai richiesto alcun contributo al proprio mantenimento per un lasso temporale così prolungato avrebbe dovuto costituire prova del fatto che la stessa nei dieci anni trascorsi avesse svolto una qualche attività lavorativa, anche eventualmente non regolare, per procurarsi un adeguato sostentamento.

Da qui l'importanza, evidenziata dalla Corte di prendere in considerazione tutti i fatti rilevanti per la determinazione dell'assegno di divorzio, comprese eventuali presunzioni, ovvero tutti gli elementi che possono influire in maniera dirimente sulla decisione.

Osservazioni

L'ordinanza in esame mette in evidenza l'importanza di un'analisi completa ed esaustiva delle circostanze di fatto, nonché delle eventuali presunzioni ai fini del riconoscimento dell'assegno divorzile.

Tale pronuncia aderisce all'orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità secondo cui va valorizzato il principio di autoresponsabilità economica dei coniugi, ribadendo che la corresponsione di tale mensilità va riconosciuta alla parte che non ha mezzi adeguati e non è in grado di procurarseli per ragioni oggettive, considerando anche la comparazione delle condizioni economiche delle parti ed il contributo dato alla vita familiare.

Va condivisa l'importanza che la Corte di legittimità ha attribuito ai fatti ritenuti “decisivi”, quali il considerevole lasso di tempo trascorso dal giudizio di separazione e la domanda di assegno divorzile e soprattutto la rilevanza conferita alle presunzioni, ovvero il fatto che tale circostanza non potesse che essere ritenuta quale indice di capacità lavorativa dell'ex moglie.

Alle medesime conclusioni si può giungere per ciò che riguarda l'onere della prova, considerato che i giudici di merito hanno erroneamente invertito tale onere attribuendo all'ex marito la responsabilità di provare il mancato reperimento di un'attività lavorativa dell'ex moglie. Correttamente va quindi ritenuto che sia la parte richiedente a dover dimostrare il proprio incolpevole stato di non occupazione, eventualmente anche mediante la semplice allegazione di documentazione che attesti l'attivazione al reperimento di un'attività lavorativa. L'inversione di tale onere renderebbe peraltro troppo gravosa e in molti casi impossibile la prova, trattandosi di circostanze molto spesso attinenti alla sfera strettamente personale, non accessibili a soggetti diversi dalla parte interessata.

Riferimenti

C. Rimini, Assegno divorzile e regime patrimoniale della famiglia: la ridistribuzione della ricchezza fra coniugi e fragilità del sistema italiano, in Riv. dir. civ. 2020, 2, 422;

La ricerca di un equilibrio tra autoresponsabilità e solidarietà post coniugale, in Famiglia e diritto n. 10/2021;

La solidarietà coniugale al tempo del divorzio, in Rivista di Diritto Civile n. 3/2021

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