Condannato affetto da infermità psichica: il funzionamento delle Rems e la nuova censura al sistema penitenziario italiano da parte della Corte Edu

14 Febbraio 2022

Con questa pronuncia la Corte europea dei diritti dell'uomo (Corte EDU), ancora una volta, interviene sulle norme dell'ordinamento penitenziario italiano, censurando l'attuale regolamentazione dello stato detentivo del condannato affetto da infermità psichica, con specifico riferimento alle disposizioni degli artt. 3, 5 § 1, 5 § 5, 6 § 1 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU). Le censure rivolte al funzionamento del sistema penitenziario italiano...
Abstract

Con questa pronuncia la Corte europea dei diritti dell'uomo (Corte EDU), ancora una volta, interviene sulle norme dell'ordinamento penitenziario italiano, censurando l'attuale regolamentazione dello stato detentivo del condannato affetto da infermità psichica, con specifico riferimento alle disposizioni degli artt. 3, 5 § 1, 5 § 5, 6 § 1 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo (CEDU).

Le censure rivolte al funzionamento del sistema penitenziario italiano, con specifico riferimento alla condizione detentiva dell'imputato affetto da infermità psichica, implicano un'ampia riflessione sull'istituto delle Residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza (REMS), introdotte dall'art. 3-ter decreto legge 22 dicembre 2011, n. 211, che, a distanza di un decennio dalla loro introduzione, continuano a incontrare notevoli difficoltà applicative.

La vicenda processuale

Per inquadrare la pronuncia in esame occorre muovere da una sintetica ricostruzione della vicenda processuale riguardante il ricorrente.

Il 15 luglio 2017 il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma applicava al ricorrente, Giacomo Seydou Sy, accusato di molestie nei confronti dell'ex fidanzata, di resistenza a pubblico ufficiale e di lesioni personali, la misura cautelare degli arresti domiciliari, successivamente sostituita con quella carceraria, per le ripetute violazioni del regime restrittivo.

Nel procedimento penale che ne derivava, celebrato con le forme del giudizio immediato, il ricorrente veniva assolto, perché, a causa del disturbo mentale da cui era affetto, veniva ritenuto incapace di controllare le sue azioni, facendo applicazione dei parametri ermeneutici consolidati in tema di infermità psichica (Cass. pen., sez. unite, 21 maggio 2005, n. 9163, Raso, in Cass. C.E.D., n. 230317-01).

Conseguiva all'assoluzione dell'imputato l'applicazione della misura del ricovero in una REMS per un periodo di sei mesi, che non veniva eseguita per l'indisponibilità di posti nelle strutture compulsate dall'autorità giudiziaria.

Nelle more, il Magistrato di sorveglianza di Roma esaminava la posizione del ricorrente e, con ordinanza del 14 maggio 2018, lo dichiarava socialmente pericoloso, sostituendo la misura della collocazione in una REMS con quella della libertà vigilata, per la durata di un anno, da eseguire presso una struttura assistenziale.

A questa prima vicenda processuale ne seguiva un'altra, che aveva origine il 2 luglio 2018, quando Giacomo Seydou Sy veniva arrestato nella flagranza dei reati di furto aggravato e resistenza a pubblico ufficiale. Lo stesso giorno il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Tivoli convalidava l'arresto e applicava all'imputato la misura della custodia cautelare, eseguita presso il carcere di Roma Rebibbia.

Nel procedimento penale che ne derivava, il 22 novembre 2018, il Tribunale di Tivoli, basandosi sulla perizia psichiatrica svolta nel corso del dibattimento, riteneva che, al momento dei fatti, il ricorrente era affetto da un vizio parziale di mente ex art. 89 c.p., che imponeva di escludere solo parzialmente la sua responsabilità (Cass. pen., Sez. I, 16 aprile 2019, n. 35842, Mazzeo, in Cass. C.E.D., n. 276616-01), per cui lo dichiarava responsabile dei reati di cui era accusato e lo condannava alla pena di un anno e due mesi di reclusione.

Con un'autonoma decisione, inoltre, il Tribunale di Tivoli sostituiva la custodia cautelare in carcere con gli arresti domiciliari, ai quali faceva seguito il ripristino della misura applicata per le ripetute violazioni del regime che gli era stato concesso.

Nelle more, il 7 febbraio 2019, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (DAP), dopo che il ricorrente aveva tentato di suicidarsi, ne ordinava il trasferimento presso il reparto per infermi e minorati psichici del carcere di Roma Rebibbia.

Dopo la condanna definitiva del ricorrente, pronunciata dalla Corte di appello di Roma il 20 maggio 2019, veniva disposta la revoca della misura cautelare e il trasferimento dell'imputato in una REMS, che però non veniva eseguito, rimanendo il ricorrente detenuto a Rebibbia, a causa dell'indisponibilità di posti nelle strutture compulsate.

A seguito del passaggio in giudicato della sentenza di condanna e l'instaurazione del ricorso in esame, la Corte EDU, il 7 aprile 2020, ritenendo sussistenti ragioni di urgenza, forniva al Governo italiano, ai sensi dell'art. 39 del Regolamento della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo (Reg. CEDU), indicazioni finalizzate ad assicurare il trasferimento di Sy in una REMS o in un'altra struttura che potesse garantire, sul piano terapeutico, un adeguato trattamento sanitario della patologia psichica del ricorrente.

Tuttavia, a queste indicazioni della Corte EDU l'autorità giudiziaria nazionale non si conformava tempestivamente, rimanendo il ricorrente ristretto presso il carcere di Rebibbia fino al 27 luglio 2020, quando, in esecuzione del provvedimento emesso dal Magistrato di sorveglianza di Roma l'8 giugno 2020, veniva trasferito in una comunità terapeutica.

La condizione detentiva del condannato affetto da infermità psichica

Con la pronuncia che si commenta la Corte EDU censurava, per l'ennesima volta, le norme dell'ordinamento penitenziario italiano, così come regolamentato dalla legge 26 luglio 1975, n. 354 (ord. pen.), intervenendo su un tema di particolare interesse, riguardante il mantenimento del condannato affetto da infermità psichica in una condizione restrittiva carceraria, nonostante il parere contrario degli psichiatri che lo monitorano.

Questa pronuncia, tra l'altro, assume un rilievo ancora maggiore alla luce del fatto che, quasi contemporaneamente, veniva depositata la sentenza della Corte costituzionale 27 gennaio 2022, n. 22. Con quest'ultima decisione, pur essendo state dichiarate inammissibili le questioni di legittimità costituzionale proposte in riferimento all'art. 3-ter legge 22 dicembre 2011, n. 211, la Corte costituzionale rivolgeva un monito al legislatore italiano, finalizzato ad attivare un percorso normativo idoneo a garantire strumenti di tutela assistenziale adeguati per gli imputati affetti da gravi infermità psichiche (G. Nicolò, Rems, oltre le buone intenzioni, non al ritorno al passato e problema di legittimità costituzionale,in www.questionegiustizia.it, 4 febbraio 2021).

Il mantenimento del regime detentivo carcerario applicato a Giacomo Seydou Sy, secondo quanto affermato dalla Corte EDU, doveva essere censurato in ragione del fatto che impediva al condannato di beneficiare di un'assistenza terapeutica adeguata al suo stato di salute mentale. Dal permanere del regime restrittivo censurato, infatti, derivava un aggravamento delle condizioni nosografiche del detenuto, che concretizzava una violazione dell'art. 3 CEDU, a tenore del quale: «Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti».

In questa cornice, il ricorrente affermava che le cure mediche che gli erano state somministrate all'interno del carcere di Roma Rebibbia non erano adeguate, non fondandosi su una strategia terapeutica idonea a curare la patologia psichica del ricorrente o a prevenirne l'aggravamento. La conferma di tale inadeguatezza si traeva dal fatto che gli psichiatri che avevano visitato il ricorrente avevano attestato che il suo stato di salute era incompatibile con la detenzione in carcere e che erano necessarie delle cure idonee, che non gli venivano somministrate tempestivamente, non essendo stato il condannato trasferito in una REMS o in un'analoga struttura a causa di una cronica mancanza di posti.

Il ricorrente, al contempo, deduceva di essere stato collocato in un ambiente carcerario ordinario e, richiamando i rapporti di tenore negativo del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale e del Garante delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale della Regione Lazio, evidenziava che le condizioni detentive in cui era mantenuto il condannato erano inadeguate.

La violazione dell'art. 3 CEDU

Nell'affrontare le doglianze di Giacomo Seydou Sy, la Corte EDU osservava preliminarmente che era incontroversa l'esistenza dei problemi di salute del ricorrente, che risultava affetto da un disturbo della personalità e da un disturbo bipolare, aggravati dall'uso di sostanze psicoattive.

Il detenuto, inoltre, soffriva di crisi psicotiche ricorrenti e aveva tentato di suicidarsi, quando era detenuto presso il carcere di Roma Rebibbia, nel gennaio 2019.

In questo contesto, si evidenziava che il ricorrente lamentava l'assenza di cure mediche adeguate e le cattive condizioni di detenzione durante la sua permanenza presso il carcere di Roma Rebibbia, che andavano esaminate per l'arco temporale compreso tra il 2 dicembre 2018 e l'8 giugno 2020.

Si trattava, pertanto, di verificare se lo stato di salute del ricorrente, alla luce delle infermità psichiche da cui era affetto, era compatibile «con la sua detenzione in carcere, in particolare in un reparto comune, e verificare se le cure mediche che gli sono state dispensate fossero sufficienti […]» (Corte EDU, Sy c. Italia, 24 gennaio 2022, n. 11791/2021).

Invero, già durante la detenzione presso il carcere di Roma Rebibbia, l'autorità giudiziaria italiana, sulla base delle conclusioni della perizia psichiatrica svolta nei confronti di Sy, nel primo dei due procedimenti instaurati nei suoi confronti, che attestava la necessità di un'adeguata assistenza terapeutica, aveva sostituito la custodia cautelare in carcere applicata al ricorrente con il ricovero in una REMS.

Per quanto riguarda la detenzione presso il carcere di Rebibbia, si osservava che, nel novembre 2018, il perito nominato dal Tribunale di Tivoli aveva affermato che l'inserimento del ricorrente in un articolato programma terapeutico era necessario e doveva prevalere sulle esigenze di detenzione, connesse alla pericolosità sociale del condannato.

Successivamente, il 21 gennaio 2019, il Magistrato di sorveglianza di Roma disponeva il trasferimento immediato del ricorrente in una REMS.

Alcuni giorni dopo, lo psichiatra del carcere di Roma Rebibbia segnalava l'incompatibilità delle condizioni di salute del ricorrente con il regime carcerario comune; segnalazione alla luce della quale, il 4 febbraio 2019, il Tribunale di Tivoli ordinava che Sy fosse assegnato senza ritardo a un istituto o a una sezione carceraria speciale per infermi e minorati psichici.

Ne discendeva che lo stato di salute mentale del ricorrente era palesemente incompatibile con la detenzione in un reparto carcerario comune e che, nonostante «le indicazioni chiare e univoche, l'interessato è rimasto detenuto in un reparto comune del carcere per quasi due anni […]» (Corte EDU, Sy c. Italia, 24 gennaio 2022, cit).

Né era possibile dubitare delle conclusioni delle verifiche psichiatriche richiamate, peraltro nemmeno contestate, essendo incontroverso che il mantenimento del ricorrente in un reparto comune del carcere fosse incompatibile con l'art. 3 CEDU, alla luce della giurisprudenza consolidata della Corte strasburghese (Corte EDU, Contrada c. Italia, 11 febbraio 2014, n. 7509/08).

Queste conclusioni venivano corroborate dai documenti acquisiti al fascicolo processuale, da cui emergeva che il ricorrente, durante la sua detenzione, non aveva beneficiato di alcun programma terapeutico adeguato alle sue patologie psichiche, finalizzato a porre rimedio ai suoi problemi di salute o a prevenirne l'aggravamento, in un contesto caratterizzato da cattive condizioni di detenzione, che rendevano ulteriormente problematico lo stato restrittivo censurato (Corte EDU, Blokhin c. Russia, 23 marzo 2016 n. 47152/06).

Ne discendeva conclusivamente la violazione dei parametri previsti dall'art. 3 CEDU.

La violazione dell'art. 5 § 1 CEDU

La Corte EDU era chiamata a verificare ulteriormente se la detenzione di Giacomo Seydou Sy nel carcere di Roma Rebibbia rientrasse in uno dei casi che autorizzavano la privazione della libertà, tassativamente elencati nell'art. 5 § 1 CEDU.

In questa cornice, occorreva esaminare il periodo di detenzione patito da Sy presso il carcere di Roma Rebibbia fino all'8 giugno 2020, quando il ricorrente era stato scarcerato e trasferito in una comunità terapeutica.

Occorreva, pertanto, stabilire se la detenzione dell'interessato durante il periodo in questione era stata rispettosa dei parametri previsti dall'art. 5 § 1 CEDU, che dovevano essere valutati alla luce dei criteri elaborati dalla giurisprudenza strasburghese (Corte EDU, Ilnseher c. Germania, 4 dicembre 2018, nn. 10211/12 e 27505/14).

In questo contesto, si evidenziava che l'esame della regolarità delle condizioni detentive patite da Sy imponeva di accertare se sussisteva, per tutta la durata del periodo considerato, un collegamento tra la ragione che giustificava la privazione della libertà e la carcerazione, tenuto conto che, in linea di principio, la detenzione di un alienato può essere considerata legittima soltanto se attuata in un ospedale, in una clinica o in una struttura specializzata (Corte EDU, Ilnseher c. Germania, 4 dicembre 2018, cit.).

Queste conclusioni discendevano dal fatto che la collocazione in una REMS ha lo scopo non solo di proteggere la società, ma anche di offrire all'interessato le cure necessarie per migliorare, per quanto possibile, le sue condizioni di salute e permettere, in questo modo, di attenuare o comunque di controllare efficacemente la sua pericolosità sociale. Ne consegue che, nel caso di specie, era indispensabile sottoporre il ricorrente a un trattamento clinico adeguato, allo scopo di ridurre il pericolo che rappresentava per la società, contemperando tale esigenza con la somministrazione di cure efficaci (Corte EDU, Klinkenbuß c. Germania, 25 febbraio 2016, n. 53157/11)

Ne derivava che, nonostante la sentenza con cui la Corte di appello di Roma aveva ordinato la sua liberazione, il ricorrente non era stato trasferito in una REMS, essendo stato detenuto in regime carcerario ordinario, in cattive condizioni restrittive e in assenza di un percorso terapeutico individualizzato, indispensabile per assicurarne il recupero socio-sanitario, in una prospettiva necessariamente multifattoriale (M. Bertolino, Diritto penale, infermità mentale e neuroscienze, in discrimen.it, 27 novembre 2018, pp. 14 ss.)

Occorreva, al contempo, evidenziare che lo Stato italiano era tenuto, nonostante i problemi logistici, endemici, che caratterizzano le strutture penitenziarie nostrane, a organizzare la detenzione – del ricorrente come di ogni altro condannato – in modo da assicurare «ai detenuti il rispetto della loro dignità umana […]» (Corte EDU, Muršić c. Croazia, 20 ottobre 2016, n. 7334/13).

Né potrebbe essere diversamente, atteso che se un divario tra posti disponibili e posti necessari può essere considerato occasionalmente tollerabile, il ritardo nell'individuazione di una struttura adeguata non può essere illimitato ed è accettabile solo se debitamente giustificato. Le autorità nazionali, quindi, dovevano dimostrare di non essere rimaste passive di fronte all'emergenza che coinvolgeva Sy e di avere «cercato attivamente una soluzione e di essersi sforzate di superare gli ostacoli che si frapponevano all'applicazione della misura […]» (Corte EDU, Sy c. Italia, 24 gennaio 2022, cit).

Tale dimostrazione, nel caso di specie, non si riteneva fornita, atteso che, a partire dal febbraio del 2019, il DAP aveva formulato, senza successo, numerose richieste alle REMS della Regione Lazio e a quelle presenti sul territorio nazionale, finalizzate a trovare un posto per il ricorrente, per la contingente mancanza di strutture assistenziali disponibili.

A fronte di questi, ripetuti, rifiuti, le autorità nazionali non avevano provveduto a creare nuovi posti all'interno delle REMS e non avevano trovato altre soluzioni logistiche compatibili con le gravi condizioni di salute psichica di Giacomo Seydou Sy, pur dovendo «garantire al ricorrente la disponibilità di un posto in una REMS o trovare una soluzione adeguata […]»; garanzia rispetto alla quale l'indisponibilità di posti non era «una valida giustificazione per mantenere il ricorrente in ambiente penitenziario […]» (Corte EDU, Sy c. Italia, 24 gennaio 2022, cit).

Ne discendeva conclusivamente la violazione dei parametri previsti dall'art. 5 § 1 CEDU.

La violazione dell'art. 5 § 5 CEDU

Sotto un diverso profilo censorio, Giacomo Seydou Sy sosteneva di non aver avuto a disposizione una tutela giurisdizionale effettiva, che gli avrebbe permesso di ottenere riparazione per il pregiudizio che aveva subito a causa della sua detenzione, attuata in contrasto con la disposizione dell'art. 5 § 5 CEDU. In particolare, secondo tale disposizione: «Ogni persona vittima di arresto o di detenzione in violazione di una delle disposizioni del presente articolo ha diritto a una riparazione».

In questa cornice, la Corte EDU osservava preliminarmente che la norma dell'art. 5 § 5 CEDU prevede che è possibile chiedere un ristoro per una privazione della libertà operata in condizioni inumane o degradanti, che devono essere accertate dall'autorità giudiziaria nazionale. Il diritto alla riparazione, inoltre, deve essere effettivo e deve essere assicurato con un grado adeguato di certezza processuale (Roth c. Germania, 22 ottobre 2020, nn. 6780/18 e 30776/18).

Si evidenziava, al contempo, che in presenza di una violazione di diritti convenzionali, la vittima deve disporre di uno strumento di tutela giurisdizionale che consenta di accertare la responsabilità degli organi dello Stato per l'inadempienza censurata, che, a sua volta, deve essere risarcita attraverso un meccanismo efficiente di riparazione dei danni, morali e materiali, patiti dal detenuto (Corte EDU, Roth c. Germania, 22 ottobre 2020, nn. 6780/18 e 30776/18).

I rimedi risarcitori, inoltre, devono essere garantiti senza gravare eccessivamente il ricorrente sul piano probatorio, essendo riconosciuto un indennizzo pecuniario a tutti i detenuti che sono stati ristretti in condizioni inumane o degradanti, che hanno presentato una richiesta risarcitoria. Infatti, la constatazione che le condizioni di detenzione non soddisfano i parametri prefigurati dall'art. 3 CEDU fa sorgere la presunzione, favorevole al detenuto, che le violazioni hanno provocato un danno morale alla persona, meritevole di ristoro (Corte EDU, Polgar c. Romania, 20 luglio 2021, n. 39412/19)

Ne discende che la disciplina nazionale deve mirare prioritariamente alla soddisfazione di questa esigenza e regolamentare conseguentemente il regime probatorio attraverso cui risarcire il detenuto per il disagio patito in conseguenza di una detenzione attuata in violazione dei parametri di cui all'art. 3 CEDU.

Pertanto, subordinare la concessione di un'indennità alla possibilità di dimostrare la colpa delle autorità nazionali e l'illegalità dei loro atti non può privare di effettività le legittime pretese risarcitorie del detenuto. Ne consegue che un formalismo eccessivo, sul piano probatorio, può comportare il depotenziamento dell'azione di responsabilità nei confronti dello Stato, così come prevista dall'art. 5 § 5 (Corte EDU, Danev c. Bulgaria, 2 settembre 2010, n. 9411/05).

In questo, articolato, contesto, la Corte EDU evidenziava che il riferimento allo strumento risarcitorio previsto dall'art. 2043 c.c., richiamato dal Governo italiano a garanzia delle pretese del ricorrente, non era funzionale ad assicurare le sue pretese di ristoro economico, prevedendo un regime probatorio eccessivamente rigoroso e inidoneo a tutelare gli interessi legittimi del detenuto. Tali conclusioni, del resto, erano confermate dal fatto che il Governo italiano non aveva fornito «alcun esempio che dimostri che tale azione sia stata intentata con successo in circostanze simili a quelle della presente causa» […]» (Corte EDU, Sy c. Italia, 24 gennaio 2022, cit).

Ne discendeva conclusivamente la violazione dei parametri previsti dall'art. 5 § 5 CEDU.

La violazione dell'art. 6 § 1 CEDU

Il ricorrente, ancora, lamentava una violazione del diritto a un processo equo in ragione della mancata esecuzione della sentenza pronunciata dalla Corte di appello di Roma il 20 maggio 2019, con cui era stata disposta la revoca della misura cautelare e il trasferimento dell'imputato in una REMS, invocando l'art. 6 § 1 CEDU, che recita: «Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente […] da un tribunale […] il quale sia chiamato a pronunciarsi […] sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti».

In questa cornice, la Corte EDU rilevava preliminarmente che l'esecuzione di un provvedimento o di una sentenza doveva essere considerata parte integrante del processo penale, ai sensi dell'art. 6 § 1 CEDU, con la conseguenza che la mancata esecuzione di una decisione giudiziaria definitiva ed esecutiva privava le garanzie previste da tale disposizione della loro effettività.

Nel caso di specie, le garanzie di effettività prescritte dall'art. 6 § par. 1 CEDU non erano state soddisfatte nei confronti di Giacomo Seydou Sy, atteso che la citata sentenza del 20 maggio 2019, con cui era stata ordinata l'immediata scarcerazione del ricorrente non era stata eseguita.

Infatti, alla luce di questa pronuncia, il ricorrente avrebbe dovuto essere scarcerato e ricoverato in una REMS; mentre, rimaneva detenuto presso il carcere di Roma Rebibbia fino all'8 giugno 2020.

Ne discendeva conclusivamente la violazione dei parametri previsti dall'art. 6 § 1 CEDU.

La violazione dell'art. 34 CEDU

La Corte EDU, infine, si soffermava sulla violazione dell'art. 34 CEDU, dedotta nell'interesse di Giacomo Seydou Sy, evidenziando che lo Stato italiano si era sottratto agli obblighi derivanti da tale disposizione a causa del ritardo nell'esecuzione della misura provvisoria emessa il 7 aprile 2020 ex art. 39 Reg. CEDU.

Si trattava, allora, di verificare se le autorità nazionali si erano conformate alla misura provvisoria emessa dalla Corte EDU, che consisteva nell'assicurare il trasferimento del ricorrente in una REMS o in una struttura similare, che permettesse di garantire che la sua patologia psichica fosse adeguatamente curata, pur tenendo conto delle disfunzioni del sistema penitenziario nostrano (A. Massaro, Tutela della salute mentale e sistema penale: dalla possibile riforma nel doppio binario alla necessaria diversificazione della risposta esecutiva, in www.questionegiustizia.it, 13 maggio 2021).

In questa cornice, la Corte EDU non riteneva sufficiente la giustificazione addotta dal Governo italiano, secondo cui l'inottemperanza alla misura provvisoria era conseguita alla contingente indisponibilità di posti nelle REMS compulsate, atteso che, già il 21 gennaio 2019, il Magistrato di sorveglianza di Roma aveva disposto il trasferimento del ricorrente in una siffatta struttura, senza che a tale provvedimento venisse data esecuzione.

Pertanto, il Governo italiano era perfettamente consapevole della necessità di trovare un posto in una struttura assistenziale adeguata alle patologie psichiche del ricorrente, ben prima che fosse adottata la misura provvisoria ex art. 39 Reg. CEDU da parte della Corte EDU.

Spettava, dunque, al Governo italiano trovare per il ricorrente, in sostituzione di un posto in REMS, un'altra soluzione assistenziale adeguata, come del resto la Corte EDU aveva espressamente richiesto. Pertanto, non si poteva considerare l'indisponibilità di posti nelle REMS come una giustificazione valida per il ritardo nell'esecuzione della misura provvisoria adottata ex art. 39 Reg. CEDU.

Si evidenziava, infine, che, pur tenendo conto delle difficoltà del caso, connesse agli ostacoli che il Governo italiano aveva trovato nell'esecuzione della misura provvisoria, in «una situazione eccezionale come quella del confinamento, trentacinque giorni sembrano comunque eccessivi […]» (Corte EDU, Sy c. Italia, 24 gennaio 2022, cit).

Ne discendeva conclusivamente la violazione dei parametri previsti dall'art. 34 CEDU.

In conclusione

Con la decisione che si è commentata la Corte EDU, in linea con alcuni precedenti interventi chiarificatori, censurava l'applicazione delle norme dell'ordinamento penitenziario italiano, in relazione alle ipotesi in cui il detenuto è affetto da infermità psichica.

Tali censure, innanzitutto, riguardano l'attuale regolamentazione dello stato detentivo del condannato affetto da infermità psichica, con specifico riferimento alle disposizioni degli art. 3 e art. 5 § 1 CEDU, che comportano una più ampia riflessione sul funzionamento delle REMS, che, distanza di dieci anni dalla loro entrata in vigore, stentano a imporsi nel tessuto socio-sanitario nostrano.

La Corte EDU, al contempo, censurava le modalità con cui è possibile bilanciare la pericolosità sociale del detenuto affetto da infermità psichica con l'esigenza, imprescindibile, di garantire il suo diritto alla salute, il cui pregiudizio deve essere risarcito ex art. 5 § 5 CEDU con modalità idonee a consentire una tutela effettiva del danno subito.

La Corte EDU, infine, censurava il ritardo con cui Giacomo Seydou Sy era stato scarcerato dal carcere di Rebibbia dopo la sentenza di condanna emessa nei suoi confronti dalla Corte di appello di Roma il 20 maggio 2019, che si riteneva ingiustificato e rilevante sia ai sensi dell'art. 6 § 1 CEDU sia ai sensi dell'art. 34 CEDU.

Questa pronuncia assume un rilievo ancora maggiore alla luce del fatto che, in concomitanza con la decisione commentata, veniva depositata la sentenza della Corte costituzionale 27 gennaio 2022, n. 22, che ribadiva la necessità di rivedere la disciplina e il funzionamento delle REMS, così come regolati dall'art. 3-ter decreto legge 22 dicembre 2011, n. 211.

Guida all'approfondimento

S. Aleo, Diritto penale e neuroscienze, in Resp. med., 2020, 2, pp. 171 ss.; T. Bandini e U. Gatti, Nuove tendenze in tema di valutazione clinica della imputabilità, in Trattato di criminologia, medicina criminologica e psichiatria forense, diretta da F. Ferracuti, Giuffrè, Milano, 1988,XIII, pp. 152 ss.; M. Bertolino, Diritto penale, infermità mentale e neuroscienze, in www.discrimen.it, 27 novembre 2018, pp. 14 ss.; A. Cardinali, Rems: una riforma in divenire, in Riv. med. leg., 2019, 1, pp. 405 ss.; A. Massaro, Tutela della salute mentale e sistema penale: dalla possibile riforma nel doppio binario alla necessaria diversificazione della risposta esecutiva, in www.questionegiustizia.it, 13 maggio 2021; I. Merzagora Betsos, I nomi e le cose, in Riv. it. med. leg., 2005, 2, pp. 372 ss.; G. Nicolò, Rems, oltre le buone intenzioni, non al ritorno al passato e problema di legittimità costituzionale,in www.questionegiustizia.it, 4 febbraio 2021.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario