I poteri del CTU e le conseguenze in ipotesi di CTU che abbia esorbitato il mandato peritale e/o abbia acquisito documenti non versati dalle parti

22 Febbraio 2022

In materia di consulenza tecnica d'ufficio, l'accertamento di fatti diversi dai fatti principali dedotti dalle parti a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d'ufficio, oppure l'acquisizione nei predetti limiti di documenti che il consulente nominato dal giudice accerti o acquisisca al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli in violazione del contraddittorio delle parti è fonte di nullità relativa rilevabile ad iniziativa di parte nella prima difesa o istanza successiva all'atto viziato o alla notizia di esso.
Massima

In materia di consulenza tecnica d'ufficio, l'accertamento di fatti diversi dai fatti principali dedotti dalle parti a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d'ufficio, oppure l'acquisizione nei predetti limiti di documenti che il consulente nominato dal giudice accerti o acquisisca al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli in violazione del contraddittorio delle parti è fonte di nullità relativa rilevabile ad iniziativa di parte nella prima difesa o istanza successiva all'atto viziato o alla notizia di esso.

Il caso

Gli eredi di un correntista convenivano in giudizio la banca ed il direttore di filiale proponendo domanda di risarcimento in solido per i danni conseguenti ad operazioni (in tesi) distrattive poste in essere dal direttore, disconoscendo l'autenticità delle sottoscrizioni del dante causa, presenti in calce alle contabili in uscita dal conto corrente. La banca svolgeva istanza di verificazione, ma vi rinunciava in corso di causa. Nonostante la rinuncia, la CTU era egualmente depositata ed aveva ad oggetto non solo la verifica dell'apocrifia delle sottoscrizioni -tempestivamente disconosciute- in calce alle contabili in uscita dal conto ma anche la verifica dell'apocrifia delle sottoscrizioni in calce alle contabili in entrata, ancorché queste ultime non fossero state disconosciute.

Le sentenze di primo e secondo grado erano fondate anche su questi ulteriori accertamenti

a CTU

e, in particolare, la Corte di appello, accogliendo parzialmente la domanda, stabiliva che il danno era pari ai prelievi a firma falsa, dedotti i versamenti a firma falsa. Gli eredi hanno proposto ricorso per Cassazione affidato a cinque motivi. La Sezione I rilevava per il quinto motivo la sussistenza di un contrasto di giurisprudenza tra le Sezioni semplici della Cassazione in ordine al regime dei vizi (nullità assoluta o relativa) della consulenza tecnica di ufficio extra-mandato e della sentenza fondata su siffatta consulenza: pertanto, con ordinanza n. 9811/2021 rimetteva la causa al Primo Presidente per la valutazione dell'opportunità di assegnazione alle Sezioni Unite, come avveniva.

Le Sezioni Unite accoglievano il primo motivo, dichiaravano inammissibile il quinto motivo per carenza di autosufficienza (avendo i ricorrenti omesso di indicare quale fosse stato il quesito peritale in primo grado), con assorbimento dei restanti motivi e rinvio alla Corte d'appello per un nuovo giudizio alla luce del principio enunciato per il primo motivo. Nonostante l'inammissibilità del quinto motivo di ricorso, le Sezioni Unite esaminavano egualmente le questioni poste dalla Sezione rimettente, attesa la particolare rilevanza delle stesse, avvalendosi della facoltà, prevista dall'art. 360 co. 4 c.p.c., di pronunciare di ufficio il principio di diritto nell'interesse della legge.

La questione

Per rispondere all'interrogativo posto nell'ordinanza di rimessione circa le conseguenze processuali dei vizi della CTU che abbia esorbitato dal mandato peritale con acquiescenza delle parti, le Sezioni Unite hanno anzi tutto distinto -nei paragrafi da 11 a 17- quattro questioni da esaminare in progressione logica:

1) cosa può fare, o non può fare, il CTU nell'espletare l'incarico affidatogli? In particolare, di quali fatti può, o non può, conoscere?

2) dai fatti alle fonti di prova: qual è il rapporto tra le preclusioni assertive e probatorie previste dall'art. 183 c.p.c. e quali sono i poteri del CTU?

3) come si coordina quanto deciso sui punti 1 e 2 con le previsioni dell'art. 198 co. 2 c.p.c. in materia di CTU contabile?

4) ove il CTU conosca di fatti estranei al thema decidendum e/o acquisisca elementi di prova in violazione del principio dispositivo, la conseguenza sul piano processuale è la nullità o consiste nell'inammissibilità/inutilizzabilità dell'atto viziato, come ritiene il Procuratore Generale? Se il rimedio è la nullità, si tratta di una nullità relativa, sanata dalla mancata eccezione di parte, come ritiene la quasi totalità della giurisprudenza di legittimità, o si tratta di una nullità insanabile e rilevabile di ufficio, anche in caso di acquiescenza delle parti, come innovativamente sostenuto da Cass. n. 31886/2019?

Le soluzioni giuridiche

Di seguito si descrivono le risposte delle Sezioni Unite a ciascuna delle domande sopra enunciate, seguendo lo stesso ordine logico: si nota che la Corte nel corpo della motivazione rimarca più volte come l'interpretazione da essa fornita poggi sull'assunto -che diventa il perno essenziale su cui si incentra l'intera motivazione- che tutte le volte in cui il CTU per rispondere al quesito indaghi su fatti estranei al thema decidendum e/o acquisisca documenti non versati dalle parti, è necessario che sottoponga i fatti ed i documenti al contraddittorio delle parti, a pena di nullità, perché ciò solo consente di conciliare “l'anelito” del processo a perseguire la giustizia sostanziale con il rispetto ineludibile della “giustizia” del processo anche sul piano delle forme.

a) Cosa può fare o non può fare il CTU nell'espletare l'incarico affidatogli?

Per rispondere a questa domanda, nei paragrafi da 18 a 25 della sentenza le Sezioni Unite ripercorrono l'evoluzione dell'istituto della consulenza tecnica di ufficio, sottolineando come nel codice di rito del 1865 il CTU fosse un esperto nominato dalle parti, mentre nel codice di rito del 1940 assuma il ruolo -di natura pubblicistica- di ausiliare del giudice, il quale può disporre la consulenza tecnica anche di ufficio, tutte le volte in cui necessiti di un sapere tecnico ai fini della decisione. Il CTU è quindi un pubblico ufficiale, come si ricava dagli artt. 61 e ss e 191 e ss c.p.c., in forza dei quali il CTU deve essere imparziale ed è obbligato per un verso ad assumere l'incarico peritale se iscritto all'albo e, per altro verso, ad astenersi, ove ne ricorrano i presupposti di legge. Il CTU inoltre presta giuramento al giudice “di bene e fedelmente adempiere al solo scopo di far conoscere al giudice la verità” e risponde penalmente del suo operato, non solo nelle ipotesi di dolo, ma anche per colpa grave nell'esecuzione degli atti che gli sono richiesti, a mente dell'art. 64 co. 2 c.p.c..

Le Sezioni Unite poi rimarcano come sia ravvisabile un'oggettiva convergenza tra le funzioni del giudice e quelle del CTU, avendo il secondo il ruolo di integrare le conoscenze del giudice con il proprio sapere tecnico, per scongiurare una decisione di non liquet. Da tale asserto il Giudice della Nomofilachia trae la conclusione che i poteri del CTU incontrano gli stessi limiti dei poteri del giudice: quindi, come il giudice è vincolato al principio della domanda, anche i poteri del CTU subiscono tale limite. In questi termini la Corte conferma il principio, consolidato in giurisprudenza, per cui sono inammissibili le CTU esplorative, cioè quelle dirette ad indagare su fatti mai neanche allegati in precedenza dalle parti. Ancora, la Corte si sofferma sulla nota distinzione tra relazione di CTU “deducente”, cioè quella diretta a consentire al giudice di valutare le prove offerte dalle parti con l'ausilio del sapere tecnico del CTU, e CTU “percipiente”, cioè quando essa verte su elementi già allegati dalla parte, ma che soltanto un tecnico sia in grado di accertare per mezzo delle conoscenze e degli strumenti di cui dispone. In entrambi i casi, osservano le Sezioni Unite, la CTU è sempre uno strumento che concerne la fase della prova nel processo. In definitiva, secondo la Corte il limite superiore dei poteri del CTU (cioè cosa il CTU non può mai fare) è costituito dal rispetto del vincolo della domanda, mentre il limite inferiore (cioè cosa il CTU può e deve sempre fare) è rappresentato dallo svolgimento delle indagini commessegli dal giudice nei modi indicati dall'art. 194 c.p.c.: in conclusione, il CTU non può indagare i “fatti avventizi”, cioè quelli extra-mandato, né i fatti principali, cioè costitutivi della domanda, ovvero impeditivi/modificativi/estintivi, se non sono stati dedotti dalle parti.

Le Sezioni Unite da un lato confermano tale statuizione, del resto costante nella giurisprudenza di legittimità, dall'altra però aggiungono una serie di precisazioni, alla luce di un'interpretazione costituzionalmente orientata ed in conformità al principio di cui all'art. 6 CEDU.

La prima precisazione è che ove il CTU durante le operazioni peritali prenda conoscenza di fatti e/o documenti che fondano eccezioni rilevabili di ufficio, così come il giudice può rilevare tali fatti principali, se fondano eccezioni rilevabili di ufficio, anche il CTU deve portarne a conoscenza il giudice. Inoltre, come il giudice può conoscere dei fatti secondari (cioè quei fatti privi di efficacia probatoria diretta ma funzionali alla dimostrazione dei fatti principali ) e può assumere informazioni presso la PP.AA., in parallelo, il CTU è legittimato ex art. 194 c.p.c.ad acquisire ogni elemento necessario a rispondere ai quesiti demandatigli dal giudice, purché si tratti di fatti accessori rientranti nell'ambito strettamente tecnico della consulenza” e del pari può “estendere il proprio giudizio anche ai fatti che, pur se non dedotti dalle parti, siano pubblicamente consultabili”, come sono i “fatti conoscibili da chiunque”. Infine, come il giudice, anche il CTU può conoscere dei fatti che seppure non espressamente indicati dalle parti, tuttavia “risultino in qualche modo già ricompresi nelle allegazioni delle parti”.

b) Dai fatti ai documenti: qual è il rapporto tra le preclusioni assertive e probatorie previste dall'art. 183 c.p.c. ed i poteri del CTU?

Nei successivi paragrafi da 26 a 29 le Sezioni Unite, dopo il rilievo che “sovente la conoscenza che il consulente matura in ordine ai fatti rilevabili officiosamente, ai fatti accessori, ai fatti pubblicamente accessibili ed ai fatti impliciti nell'oggetto della domanda -per non dire dei fatti extramandato- avviene per il tramite di fonti documentali non oggetto di produzione a cura delle parti..”, si pongono la domanda: quid juris per tali acquisizioni documentali?

Sul punto, il Giudice della Nomofilachia respinge nettamente l'orientamento espresso da Cass. n. 31866/2019, secondo cui, ove siano intervenute le decadenze assertive e probatorie previste dall'art. 183 c.p.c., è precluso al CTU di conoscere fatti e di acquisire i relativi documenti, perché tanto significherebbe vanificare la regola delle preclusioni. Le Sezioni Unite affermano che tale tesi sia errata, in quanto i termini di decadenza sono previsti dall'art. 183 c.p.c. per le parti e non sono applicabili al Giudice e, pertanto, neanche sono applicabili al CTU, stante la

vista

obiettiva convergenza di ruolo e funzione tra il giudice ed il suo ausiliare. A sostegno di tale conclusione la Corte richiama gli artt. 183 co. 8 c.p.c. e 420 co. 5 c.p.c., che prevedono la facoltà del giudice di disporre di ufficio mezzi di prova, potere esplicabile anche dopo che le parti ne siano decadute, come si ricava dalla previsione di termini alle stesse per articolare difese, prove e controprove.

La Corte svolge un'ulteriore e sottile riflessione: le norme che prevedono la facoltà del giudice di disporre mezzi di prova di ufficio (artt. 118 e 213 c.p.c. in tema di ispezione e di richiesta di informazioni alla PP.AA., e l'art. 2711 c.c. in ambito di registri e libri contabili) prevedono il requisito dell'indispensabilità della prova ai fini del decidere: da tanto la Corte ricava che il modello processuale è “saldamente orientato in modo da garantire il primario valore della giustizia della decisione.” Ora, osserva la Corte, si tratta di “un anelito” a cui non può restare indifferente anche l'attività del consulente che “potrà procedere nei limiti visti a quegli approfondimenti istruttori che prescindendo da ogni iniziativa di parte, e nel segno caratterizzante dell'indispensabilità, appaiono necessari al fine di rispondere ai quesiti oggetto dell'interrogazione giudiziale allo scopo di far conoscere al giudice la verità”. In altre parole, secondo la Corte proprio la formula del giuramento è segno sia della “speciale sensibilità del legislatore per le difficoltà a cui il processo può essere esposto quando si trova al bivio di importanti questioni tecnico-scientifiche che il giudice non è in grado di affrontare con le sue sole forze”, sia del “campo largo che il legislatore ha voluto assicurare al teatro delle investigazioni peritali, non confinabili perciò dal punto di vista istruttorio, entro lo steccato delle attività deduttive riservate alle parti”.

c) Come si interpreta l'art. 198 c.p.c. in materia di CTU contabile?

Le Sezioni Unite reputano che l'interpretazione da esse fornite in materia di poteri del CTU trovi ulteriore conferma nella disciplina codicistica del peculiare tipo di consulenza tecnica ad alto tasso di specializzazione che è la consulenza contabile di cui all'art. 198 c.p.c.: tale disposizione al secondo comma consente al CTU di “esaminare anche documenti e registri non prodotti in causa”, con il consenso delle parti. Dopo avere ricordato l'indirizzo giurisprudenziale formatasi sul punto, secondo cui i documenti non prodotti ed esaminabili con il consenso delle parti ex art. 198 c.p.c. sarebbero solo i “documenti accessori, cioè utili a consentire una risposta più esauriente ed approfondita al quesito posto dal Giudice”, le Sezioni Unite affermano di non condividere questo indirizzo, perché consiste in un'interpretazione abrogante dell'art. 198 c.p.c. contraria alla ratio della norma stessa. Le Sezioni Unite espongono due ragioni a sostegno di tale conclusione: la prima, di natura letterale, sottolinea che l'art. 198 co. 2 c.p.c. espressamente indica che sono esaminabili con il consenso delle parti i “documenti non prodotti” senza ulteriori distinzioni circa la natura di tali documenti (cioè se volti a provare fatti secondari, piuttosto che fatti principali). La seconda ragione è di ordine sistematico: se si interpreta l'art. 198 c.p.c. con il significato restrittivo sopra ricordato, la disposizione non solo non ha alcun senso, risultando un doppione di quanto qualsiasi CTU già può svolgere, ma perfino giunge a subordinare l'attività che qualsiasi CTU può svolgere al consenso delle parti.

Secondo le Sezioni Unite allora, nell'interpretare tale disposizione, occorre salvaguardarne la specialità, da ricercarsi nella peculiare natura delle materie in cui è disposta “Questa complessità delle materie oggetto di giudizio non riverbera solo i suoi effetti nel determinare la specialità delle indagini …. di essa si possono avvertire i riflessi anche con riferimento alle attività di allegazione e delle parti, posto che le difficoltà di sondare compiutamente tutti gli aspetti di quanto è oggetto di lite potrebbero risolversi nell'impedire alle parti, anche quando siano assistite dal consiglio di un esperto, una corretta valorizzazione dei temi decisionali ed insieme dei temi probatori postulati dal giudizio”. Secondo la Corte, dunque, la disposizione di cui all'art. 198 c.p.c. esprime la necessità di una “attenuazione a misura della complessità tecnica della lite” degli oneri assertivi e probatori,così da permettere al Consulente contabile anche l'esame di quei documenti, che ancorché afferenti alla prova dei fatti principali, le parti non siano state in grado di individuare e di indicare tempestivamente”.

d) Il rispetto del principio del contraddittorio

A questo punto della motivazione della sentenza, al paragrafo 33, le Sezioni Unite avvertono “la speciale necessità di rimarcare-come raccomandazione di carattere generale e, di più, come condizione irrinunciabile per consentire al consulente l'esame di fatti, nei limiti visti, e documenti non oggetto di rituale produzione delle parti- che nell'espletamento delle attività demandategli il CTU nominato dal giudice debba attenersi al più fedele e scrupoloso rispetto del principio del contraddittorio”. La Corte sul punto ricorda come il rispetto di tale principio sia stato sin dall'inizio codificato dagli artt. 194 co. 2 e 201 c.p.c. (che regolano la fase iniziale del reperimento del materiale utile al fine di rispondere ai quesiti), mancando analoga previsione per la fase finale (quella della valutazione del materiale raccolto da parte CTU) e che a tale carenza ha posto rimedio la modifica dell'art. 195 co. 3 c.p.c., introdotta dalla L. 18.06.2009, n. 69. La Corte evidenzia come l'esigenza del rispetto del contraddittorio sia identica tanto per il CTU come per il giudice, da cui il CTU ripete il ruolo e le funzioni, alla luce delle disposizioni degli artt. 198 co. 2 ed art. 183 co. 8 c.p.c. ed anche dell'art. 101 co. 2 c.p.c., che sancisce in via generale il divieto per il giudicante di assumere decisioni a sorpresa e senza contraddittorio con le parti.

e) In caso di CTU viziata, quali sono le conseguenze processuali? Nullità o inutilizzabilità/inammissibilità? Se nullità, assoluta o relativa?

Nei paragrafi da 34 a 40 della sentenza la Corte trae le conclusioni derivanti dalle riflessioni svolte attorno alle questioni in precedenza esaminate e fornisce così la risposta al quesito posto dalla Sezione I rimettente. In particolare, le Sezioni Unite respingono tout court la tesi della nullità assoluta della CTU che abbia preso cognizione di fatti e documenti in violazione delle scansioni poste dall'art. 183 co. 6 c.p.c., propugnata da Cass. n. 31866/2019, evidenziando che è errato il fondamento di diritto su cui tale sentenza si regge, ossia che al CTU siano applicabili le stesse preclusioni e decadenze delle parti: la Corte ribadisce che il CTU ha una funzione ausiliare rispetto al giudice e quindi ne ripete i poteri istruttori officiosi, soprattutto in quelle controversie che richiedono elevata specializzazione tecnico-scientifica.

Si interroga allora la Corte su quali siano le conseguenze della cognizione da parte del CTU di fatti ed acquisizione di documenti non legittimamente conoscibili o acquisibili, oppure legittimamente conoscibili ed acquisibili ma con violazione del contraddittorio. In primo luogo, la Corte sottolinea che ai sensi dell'art. 159 co. 1 c.p.c. il CTU potrebbe non avere posto tali fatti/documenti a fondamento delle sue valutazioni, con conseguente irrilevanza del vizio. In secondo luogo, lo stesso giudice, resosi conto di tale vizio della CTU, potrebbe giudicare senza tenerne conto, ovvero tenendo conto delle valutazioni non viziate del CTU, se indipendenti, ovvero potrebbe procedere alla rinnovazione della CTU con sanatoria del vizio (ad es., vizio di difetto di contraddittorio). Laddove non vi siano tali accorgimenti e rimedi preventivi e la CTU sia viziata (perché ha considerato fatti non allegati e/o documenti non prodotti dalle parti e che non rientrano gli uni e gli altri tra quelli che il CTU poteva conoscere ed acquisire in base a quanto scritto nei paragrafi precedenti), le Sezioni Unite evidenziano come il rimedio processuale sia da ricercare nella tradizionale categoria della nullità, atteso che altri rimedi (segnatamente l'inutilizzabilità/inammissibilità) appartengono ad altri ordinamenti processuali e sono estranei al sistema chiuso del codice di rito, onde non può essere accolta la tesi del P.M., rilevandosi che il sistema delle nullità copre l'intero arco dei vizi processuali. In particolare, le Sezioni Unite affermano: “E' ferma convinzione delle Sezioni Unite che occorra confermare...l'orientamento tradizionalmente invalso nella giurisprudenza in materia di questa Corte secondo cui i vizi che infirmano l'operato del CTU sono fonte di nullità relativa e rifluiscono tutti invariabilmente sotto il dettato dell'art. 157 co. 2 c.p.c.”. In aggiunta a quanto già esposto circa l'inapplicabilità al CTU delle preclusioni previste dall'art 183 c.p.c. per le parti, le SS.UU. sul punto aggiungono un'ulteriore considerazione: “la violazione non rileva primariamente in funzione dell'interesse delle parti, ma in funzione di far conoscere al giudice la verità che è il fine ultimo a cui tende l'attività consulenziale”. Confermando l'orientamento prevalente, le Sezioni unite ancora una volta sottolineano come sia essenziale che l'attività del CTU si svolga nel più fedele e scrupoloso rispetto del contraddittorio delle parti. Secondo la Corte, la violazione del contraddittorio in ipotesi di accertamento di fatti non capitolati o di acquisizione di documenti non versati in causa dalle parti comunque non determina nullità assoluta in quanto lede un interesse che, pur primario, è comunque di parte, onde di tale interesse la parte può disporre, competendo solo ad essa far valere la violazione di cui all'art. 157 co. 2 c.p.c., il tutto a condizione che il CTU abbia cura di mantenere il perimetro delle sue investigazioni “entro i limiti segnati dalla domanda e, più esattamente, dai fatti principali che siano dedotti dall'attore a fondamento di essa”. Laddove invece il CTU travalichi tali limiti e ciò si riverberi nella consulenza, si determina una nullità della relazione rilevabile di ufficio che, se non rilevata nella sentenza, può farsi valere quale motivo di impugnazione della sentenza che decida sulla base di questa consulenza ai sensi dell'art. 161 c.p.c.

La sentenza termina quindi al paragrafo 41 con l'enunciazione dei seguenti cinque principi di diritto che giova riportare di seguito, con le stesse parole della Sezioni Unite.

1)In materia di consulenza tecnica d'ufficio, il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell'osservanza del contraddittorio delle parti, può accertare tutti i fatti inerenti all'oggetto della lite il cui accertamento si rende necessario al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che non si tratti dei fatti principali che è onere delle parti allegare a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti fatti principali rilevabili d'ufficio”.

2)In materia di consulenza tecnica d'ufficio il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell'osservanza del contraddittorio delle parti, può acquisire, anche prescindendo dall'attività di allegazione delle parti, non applicandosi alle attività del consulente le preclusioni istruttorie vigenti a carico delle parti, tutti i documenti che si rende necessario acquisire al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che essi non siano diretti a provare i fatti principali dedotti a fondamento della domanda e delle eccezioni che è onere delle parti provare e, salvo quanto a queste ultime, che non si tratti di documenti diretti a provare fatti principali rilevabili d'ufficio”.

3)In materia di esame contabile ex art. 198 c.p.c., il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell'osservanza della disciplina del contraddittorio delle parti ivi prevista, può acquisire, anche prescindendo dall'attività di allegazione delle parti, tutti i documenti che si rende necessario acquisire al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, anche se essi siano diretti a provare i fatti principali posti dalle parti a fondamento della domanda e delle eccezioni”.

4)In materia di consulenza tecnica d'ufficio, l'accertamento di fatti diversi dai fatti principali dedotti dalle parti a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d'ufficio, o l'acquisizione nei predetti limiti di documenti che il consulente nominato dal giudice accerti o acquisisca al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli in violazione del contraddittorio delle parti è fonte di nullità relativa rilevabile ad iniziativa di parte nella prima difesa o istanza successiva all'atto viziato o alla notizia di esso”.

5)In materia di consulenza tecnica d'ufficio, l'accertamento di fatti principali diversi da quelli dedotti dalle parti a fondamento della domanda o delle eccezioni e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di fatti principali rilevabili d'ufficio, che il consulente nominato dal giudice accerti nel rispondere ai quesiti sottopostigli dal giudice viola il principio della domanda ed il principio dispositivo ed è fonte di nullità assoluta rilevabile d'ufficio o, in difetto, di motivo di impugnazione da farsi a valere ai sensi dell'art. 161 c.p.c.

Osservazioni

La sentenza in commento suscita moltissimi spunti di riflessione, che dovranno essere meditati e filtrati alla luce della prassi giudiziaria e con l'aiuto della Dottrina: ci si limita pertanto qui ad accennare quelli che si reputano più rilevanti ed urgenti, senza pretesa di fornire risposte, ma con l'auspicio di sollecitare un confronto ed ulteriori approfondimenti.

Anzi tutto, si impone l'apprezzamento per lo sforzo sistematico compiuto dalle Sezioni Unite che, per rispondere alla questione su quali siano i rimedi della CTU extra-mandato hanno accuratamente ricostruito l'istituto e la sua ratio, estendendo l'analisi anche alla disciplina della CTU contabile, allo scopo di allinearne l'interpretazione della disciplina a quella della CTU ordinaria, ed elaborato conclusioni che, sia pure diversificate a seconda che il fatto sostenga la domanda o l'eccezione e di quale fatto si tratti, sono tra loro armoniche e coerenti.

Si deve altresì registrare che nell'ambito della costante oscillazione pendolare della giurisprudenza di legittimità tra la prevalenza della forma sulla sostanza e viceversa, con l'obiettivo impossibile di conciliare il diritto ad un processo rapido mediante preclusioni rigide (Cass. civ., SS.UU., , n. 36596 del 25.11.2021) con il diritto ad un processo “giusto”, che decide “nel merito” ad ogni costo esaurendo la trattazione della vicenda una volta e per tutte (Cass. civ., SS.UU., , n. 7305 del 28.03.2014; Cass. civ., SS.UU., , n. 22404 del 13.09.2018sent.), la sentenza segna una netta scelta di campo a favore dell'obiettivo della giustizia sostanziale, sancendo expressis verbis che “lo scopo del processo non è, e non può essere, rigida applicazione di regole, segnatamente di ordine formale, che quel diritto ingiustamente penalizzino, ma deve mirare a garantire attraverso una pronuncia sul merito della contesa, l'interesse delle parti al conseguimento di una decisione per quanto più è possibile giusta”. Ora, spetta all'Accademia valutare se tale opzione ermeneutica in punto di CTU sia coerente ed armonica con il sistema e con i principi generali, ma di certo la decisione è sostenuta da una motivazione ricca ed articolata, e trova un pregnante ed inequivocabile fondamento normativo -più volte invocato- nell'art. 193 c.p.c., che impone al CTU di giurare “di bene e fedelmente adempiere al solo scopo di fare conoscere al giudice la verità”: la formula del giuramento non sarebbe che una vuota clausola di stile ove si ritenesse che la verità che il CTU deve far conoscere al giudice sia solo quella “processuale” e non la verità tout court e si impedisse così al CTU di ricercare, nei limiti indicati dalla SS.UU. e con il rispetto del contraddittorio, la verità.

Quanto alle ricadute pratiche della decisione, si rileva come per alcuni aspetti la sentenza abbia consacrato ex professo in principi delle prassi consolidate nelle aule di giustizia: ad esempio, di regola la CTU medico-legale indaga anche sullo stato di salute ante-sinistro del danneggiato (tipicamente ignoto al preteso responsabile civile e, quindi, di regola mai oggetto di allegazione), e ciò anche quando non sia espressamente previsto nel quesito; le parti ed il giudice hanno sempre posto a fondamento dei rispettivi atti tali valutazioni peritali, senza che mai alcuno abbia nutrito dubbi sulla nullità della CTU e/o della sentenza fondata su tale CTU.

Per altro verso, la sentenza contiene un'interpretazione innovativa, destinata a pregnanti ricadute nella prassi giudiziaria: ad es., in materia di CTU contabile, la Corte ha proceduto ad un revirement rispetto alla precedente giurisprudenza e tanto comporterà inevitabilmente il riesame di prassi e protocolli in determinati contenziosi, quali quello bancario e sul rendiconto, ma anche in quelli in cui sono disposte CTU “tecnico-contabili” (ad es. in materia di somministrazione di energia e gas per la misura dei consumi effettivi).

Ancora, si rileva come la ratio posta dalla Corte a giustificazione della deroga ai principi generali in materia di CTU contabile, nell'epoca attuale della diffusione di sofisticate tecnologie in qualsiasi attività (produttiva e non) potrebbe far sorgere più di un dubbio circa la legittimità costituzionale della diversa disciplina di poteri dell'ausiliare in caso di CTU contabile e di CTU, ad es. informatica o in materia di colpa medica, ambiti in cui la complessità della materia pure renderebbe ragionevole attenuare gli oneri assertivi e probatori delle parti stante la difficoltà per le stesse di focalizzare i termini della questione.

Inoltre, un'altra possibile ricaduta pratica potrebbe essere quella di adoperare selettivamente le indicazioni contenute nella sentenza in esame per trasformare il processo in una sorte di delega al CTU ad opera del giudice e delle parti al fine di ricercare i fatti utili e le prove pertinenti idonee a fondare la soluzione più corretta: ci si augura che tale deriva sarà scongiurata dall'interprete, che dovrà tenere presente come l'istituto della CTU debba comunque essere coordinato armonicamente con tutti i principi del processo, tra cui il vincolo della domanda ed il principio dispositivo: non a caso le Sezioni Unite hanno rimarcato come i poteri probatori di ufficio del giudice sono una sorta di extrema ratio, come sottolineato dal requisito dell'indispensabilità della prova ufficiosa ai fini della decisione.

Infine, non può tacersi che nonostante lo sforzo di sistematizzazione delle Sezioni Unite, la sentenza non compone integralmente il puzzle del rapporto tra CTU ed oneri di allegazione e prova delle parti nel processo civile ordinario di cognizione (nei riti relativi a tutela di persone deboli e/o diritti indisponibili il problema non si pone, considerato lo scopo di tutela del processo di tali soggetti/diritti) e lascia invero scoperti alcuni spazi, forieri di possibili nuovi ulteriori contrasti interpretativi. In particolare, si rileva come la sentenza indichi nella summa divisio tra “fatti principali” e “fatti diversi dai fatti principali” (fatti secondari/tecnici/conoscibili da chiunque/consultabili dai pubblici registri/impliciti nell'oggetto della domanda”) il discrimen dei poteri di cognizione e probatori del giudice e, quindi, del CTU. Ne consegue che il discernimento dei fatti principali da quelli che principali non sono (soprattutto i fatti tecnici ed i fatti implicitamente allegati) diventa la nuova frontiera dell'interprete per la corretta attuazione del dictum di questa sentenza. Tale distinzione -apparentemente chiara in astratto- è a ben vedere molto meno limpida in concreto, tanto potendo generare divergenze applicative della sentenza in commento. In altre parole, il dissidio composto con questa sentenza potrebbe essere semplicemente traslato più a monte, ponendo sulle spalle dell'interprete il fardello della ricognizione di quali siano i fatti “principali” ed i “fatti diversi da quelli principali” che pure sostengono la domanda. Ad esempio, ci si potrebbe chiedere se i fatti principali sono solo quelli che contraddistinguono la domanda e consentono la difesa del convenuto (in altre parole, quelli la cui assenza determina la nullità della citazione per vizi dell'edictio actionis ai sensi dell'art. 164 c.p.c.), ovvero se i fatti principali siano tutti i fatti che sostengono la pretesa. Ancora, l'interprete dovrà interrogarsi su quali siano i fatti “tecnici” ed i fatti “impliciti nell'oggetto della domanda”, rilevandosi che -a seconda di quale sia l'opzione ermeneutica adottata- le ricadute concrete sui poteri del CTU potrebbero essere notevoli (ad es., se si intende che la sofferenza interiore soggettiva sia un fatto “implicito all'oggetto della domanda” di risarcimento del danno alla salute o da perdita del rapporto parentale, le ricadute pratiche sull'attività istruttoria del giudice e/o del CTU saranno macroscopiche).

Nell'auspicio che la Dottrina presto contribuisca ad aiutare l'interprete nel dipanare i dubbi sopra esposti, ed i molti altri che si porranno, sarebbe interessante verificare quali saranno le ricadute concrete di tali principi -solo apparentemente nel solco della tradizione, ma di fatto parecchio innovativi anche con riguardo ai poteri del giudice- nelle aule giudiziarie. A volte, infatti, principi innovativi hanno bisogno di anni per essere metabolizzati dagli operatori ed attuati in ogni possibile declinazione mentre a volte dimostrano una portata dirompente ed “espansiva”, contaminando anche altre discipline e branche dell'ordinamento. Sul punto peraltro devono essere ricordate le imminenti modifiche legislative del rito di cognizione ordinaria, anche in tema di CTU, che potrebbero a breve nuovamente “sparigliare le carte” del processo civile: pur tuttavia, si crede che la valorizzazione da parte del Giudice della nomofilachia dello scopo del processo, consistente nel giungere ad una decisione di merito il più possibile giusta, costituisca un insegnamento ed un monito fondamentale, e prezioso, che ben difficilmente potrà essere pretermesso, quali che siano le imminente modifiche legislative, atteso che trova la sua fonte nelle norme costituzionali e sovranazionali citate dalla Corte (artt. 24 e 111 Cost. ed art. 6 CEDU).