Facebook deve risarcire il danno all'utente se lo banna ingiustamente dal social network
28 Febbraio 2022
Massima
L'utente ingiustamente bannato da un social network ha il diritto di ottenere il risarcimento del danno subìto a causa della sospensione delle proprie relazioni sociali. Il caso
Tizio, avvocato e appassionato di collezionismo e storia militare, si era visto cancellare immotivatamente il suo account Facebook e a seguito della richiesta di spiegazioni ai titolari della piattaforma, aveva ricevuto la risposta che era stata distrutta l'intera documentazione relativa al contratto e che, quindi, risultava impossibile verificare i motivi della rimozione e ripristinare l'account. Tizio aveva diverse pagine molto seguite, una si chiamava “Collezionismo, militaria e legge” e l'altra “Libri e riviste storia militare” e decide di procedere giudizialmente contro Facebook. Quest'ultimo ha insistito perché la causa si svolgesse in Irlanda, ma il giudice ha fatto valere la legislazione a difesa del consumatore, il quale è in Italia. Infatti, il foro competente viene sempre più spesso individuato nel luogo in cui il soggetto leso risiede o patisce il maggior danno e dunque ha un forte interesse a ricevere giustizia, sia in casi del genere sia in casi di danno reputazionale causato dalla pubblicazione di notizie, giudizi e opinioni che lo riguardano.
Facebook è stato condannato dalla Corte d'Appello di L'Aquila a versare 15 mila euro a titolo di risarcimento per danno morale. La questione
È possibile chiedere i danni a Facebook se cancella il profilo senza una ragione apparente? E se si, deve avere un atteggiamento discriminatorio?
Le soluzioni giuridiche
L'utente ingiustamente bannato da un social network ha diritto ad essere risarcito del danno subìto a causa della sospensione delle proprie relazioni sociali. L'utente/consumatore può scegliere la giurisdizione competente in base al regolamento CE n. 593/2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali. L'adesione al contratto comporta il sorgere di doveri reciproci: se da un lato Facebook mette a disposizione una community, dall'altro l'utente concede al social network la facoltà di usare, a determinate condizioni, i propri dati personali. Si tratta, quindi, di un contratto a titolo oneroso e a prestazioni corrispettive, dove il “prezzo” pagato dall'utente è rappresentato dalla concessione per fini commerciali dei propri dati personali. Ogni social network può quindi introdurre clausole che gli attribuiscono poteri di rimozione dei post degli utenti e di sospensione degli account, che non possono essere considerate vessatorie. È però dovere dei social network valutare attentamente se i post risultino davvero offensivi o contrari agli “standard” della comunità prima di sospendere o rimuovere un account. Per questo i giudici hanno ridimensionato il risarcimento dovuto, quantificandolo in 3mila euro complessivi anziché 15.000. Si tratta, dunque, di un giudizio di bilanciamento delicato, che tuttavia impone ai social network un dovere di attenta verifica delle segnalazioni. Del resto, un utente potrebbe chiedere e ottenere dai social la rimozione di contenuti ritenuti in prima battuta erroneamente «conformi agli standard della comunità». A tal riguardo già in precedenza altre pronunce hanno affermato il diritto dell'utente alla riattivazione dei propri account sospesi o rimossi senza spiegazioni. In particolare, il Tribunale di Pordenone aveva condannato Facebook a riattivare immediatamente il profilo di un utente sospeso per aver pubblicato un estratto di una partita di tennis, poi immediatamente cancellato, che sarebbe stato protetto da copyright. Anche in questo caso per il giudice non c'è dubbio che l'utente abbia diritto di difendersi e a veder riattivato il proprio profilo quando la condotta non sia così grave da legittimare la chiusura dell'account. A ribadire il concetto la condanna disposta dal giudice di I grado di Pordenone al pagamento di 150 euro di indennizzo per ogni giorno di ritardo nella riattivazione dell'account ingiustamente sospeso (Provv. n. 2139 del 10 dicembre 2018). Ogni social network può quindi introdurre clausole che gli attribuiscono poteri di rimozione dei post degli utenti e di sospensione degli account, che non possono essere considerate vessatorie. Si tratta, infatti, di soggetti privati che offrono un servizio non essenziale e che possono quindi prevedere autonomamente condizioni condivise per la corretta fruizione delle proprie piattaforme. È però dovere dei social network valutare attentamente se i post risultino davvero offensivi o contrari agli “standard” della comunità prima di sospendere o rimuovere un account. Sulla base di questa premessa, la Corte d'appello ha ritenuto lecite le prime due sospensioni dell'account effettuate per commenti lesivi dell'altrui reputazione, visto che l'utente aveva, tra l'altro, definito “stupido” il proprio interlocutore, mentre ha ritenuto illegittime le successive, visto che «la mera pubblicazione di una foto con un commento che si limita all'espressione del proprio pensiero (…) non si ritiene sufficiente a violare gli standard della comunità». Per questo i giudici hanno ridimensionato il risarcimento dovuto, quantificandolo in 3mila euro complessivi. Si tratta, a ben vedere, di un giudizio di bilanciamento delicato, che però impone ai social network un dovere di attenta verifica delle segnalazioni. Del resto, un utente potrebbe chiedere e ottenere dai social la rimozione di contenuti ritenuti in prima battuta erroneamente «conformi agli standard della comunità». Osservazioni
Il tema della censura sui social costituisce una delle principali criticità legate all'esercizio dei diritti in rete da parte degli utenti. I gestori delle più importanti piattaforme, da una parte invocano una irresponsabilità giuridica per i contenuti postati dagli utenti, dall'altra pretendono a volte di entrare a gamba tesa nella selezione (e rimozione) di tali contenuti, sulla base di criteri algoritmici o, in alcuni casi, di valutazioni ideologiche o legate alle loro policy interne. Ciò che difetta, però, è molto spesso la mancanza di comunicazioni chiare e trasparenti agli utenti circa le ragioni di tali provvedimenti. Una breccia si è tuttavia aperta nei giorni scorsi, in Italia, grazie al provvedimento qui analizzato grazie al quale un professionista ha ottenuto un risarcimento considerevole per la chiusura arbitraria, da parte di Facebook, del proprio account. |