L'istituto della revisione del prezzo dell'appalto può operare anche in riduzione

Angelica Cardi
03 Marzo 2022

La revisione del prezzo dell'appalto in riduzione – al pari di quella in aumento – non è mai una conseguenza automatica della sopravvenuta variazione dell'indice ISTAT, bensì soltanto l'esito finale di un procedimento amministrativo nel corso del quale l'Amministrazione deve compiere tutti i propri ineludibili apprezzamenti discrezionali circa l'opportunità (o meno) dell'eventuale riduzione del prezzo, operando il necessario bilanciamento tra l'interesse oppositivo dell'appaltatore e l'interesse pubblico connesso al risparmio di spesa (bilanciamento che il Giudice Amministrativo potrà censurare soltanto per manifesta irragionevolezza o abnormità).

Il caso. Con la sentenza in commento il TAR Lazio ha affermato importanti principi in tema di revisione dei prezzi pronunciandosi sul ricorso proposto da una società avverso il provvedimento con il quale la stazione appaltante le aveva comunicato la rideterminazione in diminuzione del corrispettivo di affidamento, in considerazione di una variazione in negativo dell'indice ISTAT di settore per l'anno precedente.

La soluzione. Innanzitutto il Collegio ha affermato la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo che include ogni controversia concernente la revisione dei prezzi di un contratto di appalto, sia sotto il profilo dell'an sia del quantum, ai sensi dell'art. 133, comma 1, lett. e), n. 2 c.p.a.

Nel merito, il TAR ha chiarito che la “revisione” periodica del prezzo ancorata all'indice ISTAT cui fa riferimento l'art. 115 del d.lgs. n. 163 del 2006ratione temporis applicabile – evoca un meccanismo perequativo potenzialmente bidirezionale, vale a dire sia in aumento e sia in riduzione, a seconda dell'andamento dell'indice ISTAT.

Ciò si ricava, secondo il Collegio, dalla ratio dell'istituto che è proprio quella di salvaguardare l'interesse pubblico ad acquisire prestazioni di beni e servizi qualitativamente adeguati e solo in via mediata e indiretta la disciplina realizza anche l'interesse dell'impresa a non subire l'alterazione dell'equilibrio contrattuale conseguente alle modifiche dei costi che si verificano durante l'arco del rapporto. Per tale motivo l'art. 115 del d.lgs. n. 163 del 2006 è norma imperativa che non può essere derogata in via pattizia ed è integratrice della volontà negoziale difforme.

Tuttavia, l'obbligatoria inserzione di una clausola di revisione periodica del prezzo non comporta alcun diritto soggettivo all'automatico aggiornamento del corrispettivo contrattuale, ma soltanto che l'Amministrazione proceda agli adempimenti istruttori normativamente sanciti. In tal senso, il TAR ha chiarito che la posizione dell'appaltatore è di interesse legittimo, quanto alla richiesta di effettuazione della revisione in base ai risultati dell'istruttoria, poiché questa è correlata ad una facoltà discrezionale riconosciuta alla stazione appaltante che deve effettuare un bilanciamento tra l'interesse dell'appaltatore alla revisione e l'interesse pubblico connesso al risparmio di spesa ed alla regolare esecuzione del contratto aggiudicato.

Alla luce di tali principi, la sentenza in oggetto statuisce che la revisione in riduzione deve essere certamente ammessa in quanto, dal punto di vista letterale, l'art. 115 del d.lgs. n. 163 del 2006 codifica un generale meccanismo revisionale che può rivedere il prezzo sia in senso rivalutativo che in senso svalutativo, in base al dato oggettivo delle fluttuazioni dell'indice ISTAT; dal punto di vista sistematico, l'obbligo di inserire nei contratti specifiche clausole di revisione del prezzo rinviene la propria ratio, come detto, proprio in motivi di interesse pubblico che operano tanto per la revisione in aumento che in riduzione, atteso che l'eventuale riduzione del prezzo entro i limiti della svalutazione monetaria risponde ad incontestabili esigenze di prudente gestione delle finanze pubbliche e di buon andamento della pubblica amministrazione.

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