La delicata questione del diritto al trattamento di reversibilità del coniuge superstite
03 Marzo 2022
Massima
Vanno trasmessi gli atti al Primo Presidente perché valuti l'opportunità di rimettere all'esame delle Sezioni Unite la questione relativa alla sussistenza del diritto del coniuge divorziato alla pensione di reversibilità, o ad una sua quota, quando il diritto all'assegno divorzile non sia stato riconosciuto giudizialmente (sia nella sua esistenza, sia nel suo ammontare) per la sopravvenuta morte del coniuge obbligato, dopo il passaggio in giudicato della statuizione sullo status di divorziato, assunta con sentenza non definitiva. Il caso
Pronunciata sentenza non definitiva di divorzio, interviene il decesso del marito; il Tribunale, con sentenza confermata in sede d'appello, ritiene dovuto l'assegno divorzile fino al momento della morte. Interposto ricorso in sede di legittimità, la Prima Sezione della Suprema Corte, dopo aver passato in rassegna gli opposti orientamenti giurisprudenziali succedutisi nel tempo, ha ritenuto di investire il Primo Presidente. La questione
Il coniuge divorziato ha diritto alla pensione di reversibilità, o ad una sua quota, quando il diritto all'assegno divorzile non è stato riconosciuto giudizialmente, nell'an e nel quantum, per la sopravvenuta morte del coniuge obbligato dopo il passaggio in giudicato della sentenza non definitiva in punto status? Le soluzioni giuridiche
Come noto, il trattamento di reversibilità costituisce una forma di sostegno e tutela di alcuni familiari del defunto pensionato. La medesima tutela previdenziale è riconosciuta anche al coniuge superstite separato, anche ove la separazione fosse stata addebitata al superstite, persistendo comunque il vincolo matrimoniale. A determinate condizioni analoga tutela compete pure al coniuge divorziato (oltre che alla parte dell'unione civile sciolta, per effetto del richiamo di cui all'art. 1 comma 23 l. 20 maggio 2016 n. 76), ancorché il defunto abbia contratto nuovo matrimonio o unione civile e il nuovo coniuge o parte dell'unione civile sia ancora in vita. L'art. 9, l. 898/1970 prevede invero che, qualora esista un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, una quota della pensione e degli altri assegni a questi spettanti è ripartita dal tribunale, tenendo conto della durata del matrimonio, con il coniuge rispetto al quale è stata pronunciata la sentenza di divorzio, sempre che sia titolare dell'assegno di cui all'art. 5 e non abbia contratto nuove nozze. Come è noto, la giurisprudenza, in nome di esigenze solidaristiche, ha ritenuto doversi valorizzare anche altri elementi rispetto alla durata dei rispettivi vincoli matrimoniali, quali l'instaurazione di una stabile convivenza more uxorio da parte del coniuge rimasto vedovo, l'ammontare dell'assegno divorzile erogato e le condizioni economiche dei richiedenti. Condizione imprescindibile per poter beneficiare della pensione di reversibilità, anche in concorso l'altro coniuge superstite, è appunto la titolarità di un assegno in capo al soggetto divorziato (o alla parte dell'unione civile sciolta). La Corte di Cassazione ha anche di recente precisato che esso debba svolgere un'effettiva funzione assistenziale e dunque non essere contenuto in una misura simbolica, dal momento che, secondo l'orientamento più recente della Suprema Corte di Cassazione «il diritto del coniuge divorziato alla pensione di reversibilità ex art. 9, l. n. 898/1970 presuppone (anche ai sensi della norma interpretativa di cui all'art. 5, l. n. 263/2005) non solo che il richiedente al momento della morte dell'ex coniuge sia titolare di assegno di divorzio giudizialmente riconosciuto, ma anche che detto assegno non sia fissato in misura simbolica, ponendosi la diversa interpretazione in contrasto con la "ratio" dell'attribuzione del trattamento di reversibilità al coniuge divorziato, da rinvenirsi nella continuazione del sostegno economico prestato in vita all'ex coniuge e non già nell'irragionevole esito di assicurare al coniuge divorziato una condizione migliore rispetto a quella già in godimento” (Cass. civ., n. 20477/2020). Questione dibattuta ed oggetto dell'ordinanza in commento riguarda, invece, la sorte del diritto del coniuge divorziato a ricevere il trattamento di reversibilità, quando la morte dell'obbligato sia intervenuta, non in una fase successiva al passaggio in giudicato della sentenza definitiva, bensì in pendenza di giudizio divorzile, quando sia stato già riconosciuto, in astratto, il diritto dell'altro coniuge a ricevere l'assegno e sia nel frattempo spirato il termine per impugnare la sentenza parziale, che ha deciso sullo status. Gli orientamenti giurisprudenziali, richiamati dalla Suprema Corte, avevano ad esprimere due diverse posizioni. Da un lato, era stato riconosciuto il diritto dell'ex coniuge superstite a ricevere comunque una quota della pensione di reversibilità, atteso che il riconoscimento giudiziale dell'assegno si poneva come presupposto del sostegno economico a favore del coniuge debole (cfr. Cass. 24041/2019, in un caso analogo a quello in esame); dall'altro, all'opposto, si è affermato che la morte del coniuge, anche nel corso del giudizio di legittimità, farebbe cessare la materia del contendere, tanto nel giudizio sullo status, quanto in quello relativo alle domande accessorie, con l'implicita conseguenza di per un verso, intervenuta la morte del coniuge, il giudizio non potrebbe essere proseguito nei confronti degli eredi e, per l'altro, che gli eredi non potrebbero riassumere il giudizio nei confronti dell'ex coniuge, al fine di accertare l'insussistenza del suo obbligo di versare l'assegno, nonché di ottenere la restituzione delle somme versate sulla base di provvedimenti interinali o non definitivi. (cfr. Cass. n. 4092/2018). Ciò aveva a ritenere, da ultimo, la Suprema Corte, posto che l'obbligo di corresponsione dell'assegno divorzile si considera personalissimo e non trasmissibile agli eredi, traendo origine dall'accertamento di uno status, quello di divorziato, che, con la morte, viene inevitabilmente a cessare. Pertanto, se è vero che la c.d. sentenza parziale o non definitiva, non è più tangibile, per effetto del suo passaggio in giudicato, la pendenza del giudizio sulle domande accessorie al momento della morte non potrebbe comunque costituire una causa di scissione del carattere unitario proprio del giudizio di divorzio. Alla luce degli ondivaghi pronunciamenti della Giurisprudenza, la Suprema Corte ha dunque ritenuto di rimettere la questione al Primo Presidente, per un eventuale esame da parte delle Sezioni Unite Civili. Osservazioni
Come noto, a stabilire le condizioni di accesso al trattamento di reversibilità dell'ex coniuge divorziato è la stessa legge sul Divorzio, la n. 898/1970 e, in particolare, l'art. 9 che sancisce che, in caso di morte dell'ex coniuge - cui oggi è equiparata la ex parte dell'unione civile, dopo il suo scioglimento - l'ex coniuge superstite, o la ex parte dell'unione civile abbiano diritto a fruire della pensione, ove, alla data della morte: i) siano titolari di assegno di divorzio (come osservato nel precedente capitolo, non in misura simbolica); ii) non siano convolati, nel frattempo, a nuove nozze o abbiano costituito una nuova unione civile; iii) il rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza che ha disposto lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio o lo scioglimento dell'unione civile o il diverso atto da cui risulti lo scioglimento dell'unione civile (cfr. Pensione di (reversibilità), di Russo A., Rossi B., Musio A. in IlFamiliarista). Sull'interpretazione dell'art. 9 e, in particolare, sulla ratio dell'istituto si era, oltre vent'anni fa, espressa la Corte Costituzionale, con la nota sentenza n. 419/1999, attribuendole una funzione solidaristica, affinché al coniuge superstite fosse riconosciuto il diritto di continuare a ricevere un sostentamento, che gli era assicurato da quello deceduto, conservando una parte rilevante del trattamento pensionistico riservato a quest'ultimo. Muovendo dall'interpretazione della Consulta, l'ordinanza in commento ha rimesso gli atti al Primo Presidente della Corte di Cassazione, perché valuti di sottoporre alle Sezioni Unite la seguente questione, ovverosia se il coniuge divorziato abbia o meno diritto alla pensione di reversibilità, o ad una sua quota, quando il diritto all'assegno divorzile non sia stato riconosciuto giudizialmente, per la sopravvenuta morte del coniuge obbligato, pur essendo passata in giudicato la statuizione sullo status di divorziato assunta con sentenza non definitiva. Nel farlo, parrebbe invero che la Corte abbia inteso attribuire maggiore rilevanza all'orientamento, secondo il quale, a seguito del passaggio in giudicato della sentenza parziale sullo status, il procedimento di divorzio prosegue nonostante il decesso del coniuge, per la definizione delle questioni di rilevanza patrimoniale, permanendo l'interesse dall'altra parte alla pronuncia (Cfr. ex multis Cass. civ, sent. 24 luglio 2014, n.16951; Cass. civ. sez. VI, ord.11 aprile 2013, n. 8874). Già autorevole giurisprudenza di merito si era espressa al riguardo, prendendo la distanze da quell'orientamento di legittimità, più restrittivo, che dalla morte della Parte in pendenza di giudizio divorzile, faceva derivare la cessazione della materia del contendere con riguardo a tutte le domande personali e patrimoniali connesse (cfr. Trib. Milano, sent. 2 novembre 2018, n. 20658 nel commento di Costabile C. in IlFamiliarista). In particolare, riteneva il Tribunale, in quel caso, che con il passaggio in giudicato della sentenza sullo status divorzile, il matrimonio fosse già cessato e da quel momento dovesse retroagire l'effetto costitutivo dell'obbligo da parte del coniuge, poi deceduto, di versare all'altro l'assegno divorzile; nel pronunciarsi sulla spettanza dell'assegno, peraltro, il Tribunale aveva riconosciuto il diritto dell'altro a ricevere l'assegno per il solo periodo intercorrente tra il passaggio in giudicato della sentenza in punto status e la successiva morte dell'obbligato. La titolarità dell'assegno, anche solo per quel breve periodo, costituisce per il coniuge superstite presupposto ineludibile per l'accesso alla pensione di reversibilità, dal che se ne ricava la persistenza dell'interesse di quest'ultima a proseguire il giudizio, per ottenere sentenza definitiva anche sulle questioni patrimoniali connesse al divorzio. Dall'eventuale pronuncia delle Sezioni Unite conseguiranno importanti risvolti pratici, atteso che l'INPS, in difetto di una sentenza che riconosca il diritto all'assegno divorzile, non ha fino ad ora provveduto alla corresponsione del trattamento in favore del coniuge superstite. Di una questione analoga si è recentemente interessata la stessa Prima Sezione della Corte di Cassazione, con l'ordinanza interlocutoria n. 26932/2021, che ha rinviato la decisione, all'esito della definizione della questione di costituzionalità sollevata dalla Corte d'Appello di Salerno, intravedendo profili d'incostituzionalità della norma, per contrasto con gli artt. 2 e 3, comma 2, della Costituzione, nella parte in cui non riconosce il diritto dell'altro coniuge, già divorziato con sentenza parziale passata in giudicato e destinatario di un assegno divorzile provvisorio, di concorrere con l'altro in una quota della pensione, per il solo fatto che la morte dell'obbligato sarebbe avvenuta prima dell'emissione della sentenza definitiva. Stupisce, pertanto, che nel breve lasso di tempo intercorso tra le due pronunce, la stessa Sezione non abbia rilevato, nell'ordinanza in commento, che pende questione di costituzionalità della norma sollevata su profili omogenei. Riferimenti
Costabile C., La morte del coniuge dopo passaggio in giudicato della sentenza parziale sullo status determina la cessazione della materia del contendere? in ilFamiliarista; Russo A., Rossi B., Musio A., Pensione di (reversibilità), in IlFamiliarista. |