Infortunio in itinere e in occasione di lavoro: l'aggressione sulle vie del lavoro non è sempre indennizzabile dall'INAIL (Cass. n. 31485/2021)
04 Marzo 2022
Ancora una volta la Suprema Corte viene chiamata a pronunciarsi sull'indennizzabilità di un'aggressione mortale subita da una lavoratrice sulle vie del lavoro. Sul caso analogo, relativo all'omicidio di un'assicurata da parte del convivente mentre la stessa si stava recando al lavoro, si erano già pronunciate anche le Sezioni Unite, ritenendolo escluso dalla tutela INAIL; nella sentenza del 7 settembre 2015 n. 17685, infatti, si legge: “in caso di fatto doloso del terzo, legittimamente va esclusa dalla tutela la fattispecie nella quale in sostanza venga a mancare l'occasione di lavoro in quanto il collegamento tra l'evento e il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione e quello di lavoro risulti assolutamente marginale e basato esclusivamente su una mera coincidenza cronologica e topografica (come nel caso in cui il fatto criminoso sia riconducibile a rapporti personali tra l'aggressore e la vittima del tutto estranei all'attività lavorativa ed a situazioni di pericolo individuale, alle quali la sola vittima è, di fatto, esposta ovunque si rechi o si trovi, indipendentemente dal percorso seguito per recarsi al lavoro)” (cfr. Cass., sez. un., 7 settembre 2015 n.17685; cfr. pure l'ordinanza di remissione, Cass. 27 novembre 2014 n. 25243, in Resp. civ. prev., 2015, 1, 102 ss., con nota di G. CORSALINI, L'omicidio della convivente può essere indennizzato dall'INAIL? Un dubbio (di troppo) della Corte di Cassazione; A. DE MATTEIS, Omicidio della convivente per motivi personali durante il percorso casa lavoro: infortunio indennizzabile?, in ilgiuslavorista.it, 5 novembre 2015; S. PICCININNO, Infortuni in itinere: recenti sviluppi legislativi e giurisprudenziali, in Riv. dir. sic. soc., 2017, I, 103 ss.).
La nuova pronuncia, che richiama chiaramente l'intervento della più alta autorità giurisdizionale, era quindi quantomeno prevedibile. La Cassazione, comunque, confermando la sentenza della Corte d'Appello di Bari, con una motivazione pregevole, approfitta dell'occasione per puntualizzare che il comportamento del terzo costituisce una delle componenti causali dell'infortunio e che l'aggressione, di per sé, non fa perciò venire meno l'occasione di lavoro, in quanto costituisce il fattore causale dell'infortunio, reso possibile o comunque agevolato dal fatto che la vittima si trovi a percorrere il tragitto naturale, vale a dire obbligato, per raggiungere la sede lavorativa e, come tale, appunto, protetto dall'INAIL. Ribadisce poi che la tutela previdenziale va invece esclusa nel caso in cui la causa violenta dell'evento occorso al lavoratore, sul luogo o sulle vie del lavoro, sia stata integrata dal comportamento doloso del terzo riconducibile ai rapporti personali tra l'aggressore e la vittima e, pertanto, del tutto estranei all'attività lavorativa, tanto che il collegamento tra evento lesivo e attività o iter lavorativo risulta basato su una mera coincidenza cronologica e topografica, tale da escludere la possibilità di ritenere configurabile l'occasione di lavoro. Nella decisione si sottolinea quindi, in definitiva, che il discrimine per la protezione assicurativa del lavoratore aggredito sulle vie del lavoro è che il tragitto abbia semplicemente costituito il nesso di occasionalità necessaria con comportamenti del terzo sfociati in episodi delittuosi diretti a colpire vittime di un intento criminoso scelte a caso, agevolandoli o rendendoli possibili, mentre non costituisce evento protetto, meritevole della protezione assicurativa e solidaristica, la situazione di pericolo individuale che abbia esposto all'azione delittuosa dell'aggressore la sola vittima, per effetto dei rapporti interpersonali e, dunque, extralavorativi. La tutela degli infortuni derivanti da aggressioni
La Suprema Corte conferma allora il principio, sostanzialmente pacifico, della non indennizzabilità di quei casi d'infortunio riferibili a motivi extraprofessionali propri dell'assicurato in cui l'attività lavorativa e gli spostamenti per motivi di lavoro rappresentino una mera coincidenza topografica e cronologica, del tutto al di fuori dell'occasione di lavoro (sia consentito il rinvio G. CORSALINI, La centralità del lavoratore nel sistema di tutela INAIL, Milano, 2020, 73 ss.; cfr. anche INAIL, Criteri per la trattazione dei casi di infortuni sul lavoro con particolare riferimento alla nozione di rischio generico aggravato, in Riv. inf. mal. prof., 1999, I, 1237).
Appare allora evidente, ad esempio, che, se il lavoratore viene aggredito per motivi del tutto estranei al lavoro, il danno che ne deriva non è indennizzabile, neanche quando l'aggressione avvenga nel luogo di lavoro e durante l'orario di lavoro.
Si ricordano, a tal proposito, le sentenze con le quali non sono stati ammessi all'indennizzo gli omicidi: a) del guardiano ucciso per vendetta personale o per regolamento di conti tra organizzazioni criminose rivali (Cass. 11 aprile 1998 n. 3752); b) del pastore sardo assassinato per una faida paesana mentre percorreva un viottolo di montagna (Cass. 12 aprile 1975 n. 1403); c) dell'assicurato colpito a causa dei suoi legami con le cosche mafiose della zona (Cass. 4 ottobre 1995 n. 10406); d) del lavoratore nel cui caso diversi indizi inducevano a ritenere che il motivo dell'aggressione fosse collegato a particolari rapporti tra assassino e vittima (Cass., 11 giugno 2009 n.13599).
È vero, com'è stato rilevato a proposito del caso dell'omicidio del pastore sardo, di cui sopra, che spesso l'aggressore può trarre vantaggio da particolari circostanze riferibili all'attività lavorativa, che gli rendono più facile l'agguato, la consumazione del delitto o la fuga (A. FONTANA, L'occasione di lavoro nell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni in agricoltura, in Mass. giur. lav., 1988, 912), ma è anche indiscutibile che il lavoro finisce per rappresentare semplicemente una delle possibili opportunità per perpetrare l'intento criminoso. Ugualmente pacifico e consolidato risulta poi l'orientamento secondo il quale meritano tutela quelle fattispecie in cui venga accertata la sussistenza di un nesso eziologico, anche mediato e indiretto, tra attività lavorativa e aggressione. In questo senso è stato ritenuto meritevole di tutela, ad esempio: a) l'infortunio subito dal gestore di un distributore di benzina per effetto di una rapina perpetrata in suo danno (Cass. 13 dicembre 2000 n. 15691, in Riv. inf. mal. prof., 2000, II, 83 ss. Per un caso analogo cfr. Cass. 11 aprile 1998 n. 3747, in Giust. civ. mass., 1998, 792); b) l'infortunio del conducente di un autocarro, ustionato dal liquido infiammabile versato sul veicolo da una persona che aveva così agito in quanto disturbata dal continuo transito, sotto la sua abitazione e nelle prime ore del mattino, dei pesanti automezzi della ditta datrice di lavoro del medesimo autista (Cass. 11 aprile 1998 n. 3744); c) l'aggressione subita dall'artigiano, che era stato era stato rapinato del materiale occorrente per il lavoro mentre rientrava in officina dopo averlo acquistato (Cass. 18 gennaio 1991 n. 430); d) l'infortunio subito dall'autista di un'impresa di trasporti, rimasto ferito da colpi di arma da fuoco nel corso di un'aggressione ai danni del committente che era a bordo dello stesso autocarro (Cass. 21 luglio 1988 n. 4716, in Dir. prat. lav., 1988, n. 48, 3287 s. e in Mass. giur. lav., 1989, 77 ss., con nota di G. Alibrandi, Infortunio sul lavoro e agguato criminoso.); e) l'infortunio occorso a un dipendente, che già in passato aveva subito aggressioni e minacce per la sua attività di addetto agli ordini di acquisto (perché “non lasciava vivere altri candidati alle forniture”), raggiunto da colpi di arma da fuoco mentre tornava a casa a bordo della propria auto (Cass. 28 gennaio 1999 n. 774). Lo stesso principio, del resto, viene applicato anche in caso di risse o aggressioni tra lavoratori, in quanto si è sempre ritenuto che, quando esse trovano incentivo o scaturiscono da ragioni attinenti all'attività lavorativa, l'eventuale conseguente infortunio sia comunque indennizzabile; per esempio, è stata riconosciuta dal Supremo Collegio l'occasione di lavoro nel caso di un sorvegliante di una cava rimasto vittima della reazione violenta di un operaio al quale aveva contestato un'infrazione disciplinare (Cass. 27 febbraio 1986 n. 1259).
In tutte queste ipotesi, infatti, è evidente il nesso con il lavoro, nel senso che, non solo il lavoro ha reso possibile o ha agevolato il verificarsi dell'evento, ma addirittura ne è stato la causa. L'incertezza circa l'indennizzabilità del danno derivante da un'aggressione sul luogo di lavoro o durante il tragitto lavorativo potrebbe sorgere invece quando essa avviene per ragioni non solo estranee all'attività lavorativa, ma anche indipendenti da motivi personali extraprofessionali e da particolari rapporti tra vittima e l'aggressore. Secondo l'indirizzo tradizionale e, a dire il vero, più risalente, infatti, sarebbero esclusi dalla tutela gli infortuni come quelli ora ipotizzati, derivanti da rischio generico. La Suprema Corte ha seguito orientamento più restrittivo negando la tutela INAIL nella fattispecie in cui: a) un lavoratore era stato raggiunto da colpi di arma da fuoco esplosi da ignoti mentre si stava recando al lavoro con il proprio motoveicolo (Cass. 22 luglio 1987 n. 6382); b) l'assicurato aveva riportato lesioni in conseguenza dell'esplosione di una bomba collocata in un'autovettura sita sulla strada prospiciente il luogo di lavoro (Cass. 6 novembre 1993 n. 10973); c) un commerciante era stato attinto da colpi di pistola che non erano a lui diretti (Cass. 26 novembre 1994 n. 10065); d) un muratore era stato colpito a morte con un badile da un soggetto che si era introdotto nel cantiere, senza che se ne fosse compresa la ragione (Cass. 27 gennaio 2006 n. 1712 e la nota critica di A. FONTANA, Atto criminoso ai danni del lavoratore ed assicurazione contro gli infortuni, in Mass. giur. lav., 2006, 665 ss.); e) un allevatore era stato ucciso mentre si recava nella propria azienda, poiché gli autori dell'omicidio erano rimasti ignoti e non era stato quindi possibile accertare che fossero ladri di bestiame (Cass. 3 agosto 2004 n. 14875).
Questo indirizzo, volto appunto ad escludere la protezione nei casi in cui sia mancato l'accertamento del nesso di causalità diretto o, quantomeno, mediato tra aggressione e lavoro, trova forse le sue radici nella concezione primitiva dell'assicurazione obbligatoria, d'impostazione privatistica, fondata sul concetto di rischio professionale e ben espressa all'epoca dal Carnelutti, secondo il quale “quando lungo la via del lavoro l'operaio soccombe ad un rischio generico, svanisce la figura dell'infortunio professionale; ma non perché manchi un fantastico requisito della attualità di lavoro, sibbene perché il tipo del rischio esclude la sua professionalità” (F. CARNELUTTI, Infortuni sul lavoro, (Studi), Roma, 1913, 298). In base a questo orientamento, sarebbe necessaria per la tutela la sussistenza di un rischio proprio dell'attività lavorativa o, almeno, di un rischio “generico aggravato”, comunque intrinsecamente diverso da quello che ricade sulla generalità delle persone. Tuttavia, tale interpretazione, già alcuni decenni fa veniva criticata da chi sosteneva che essa risente delle condizioni e dei limiti giuridici ed economici presenti nelle prime attuazioni della previdenza sociale e che deve essere, quindi, ormai riesaminata e risolta in armonia con gli indirizzi evolutivi della protezione sociale nel senso più favorevole per i lavoratori colpiti da eventi dannosi; ciò in adesione alla lettera e alla ratio della norma fondamentale, secondo la quale la tutela previdenziale deve comprendere tutti i casi di infortunio avvenuti per causa violenta in occasione di lavoro e non solo quelli causati dall'esecuzione specifica degli atti lavorativi (D. BUFFA, Indicazioni per una risoluzione legislativa della questione sull'infortunio in itinere, in Dir. lav., 1960, I, 280 ss. Può ricondursi a questo indirizzo più favorevole agli assicurati, ad esempio, la decisione con la quale è stato riconosciuto meritevole di tutela l'infortunio mortale occorso a un lavoratore italiano in Libia, rimasto vittima di un'aggressione dovuta a fanatismo antitaliano; nella sentenza è stato, infatti, considerato irrilevante che il movente dell'omicidio fosse riconducibile ad un generico elemento extraprofessionale (Cass. 2 ottobre 1998 n. 9801). Per lo stesso motivo e seguendo lo stesso orientamento, è stata poi riconosciuta l'indennizzabilità dell'uccisione per odio politico di sette marinai che si trovavano a bordo di una nave ormeggiata in un porto algerino (A. DE MATTEIS, Infortuni sul lavoro e malattie professionali, Milano, 2020, 119).
In relazione all'infortunio in itinere, si pensi poi alla decisione con la quale sono state ritenute indennizzabili le lesioni subite da una lavoratrice a causa di uno scippo (Cass. 10 luglio 2012 n. 11545, in Foro it., 2012, 2294 ss., con nota di V. FERRARI, Ontologia dell'infortunio “in itinere”. In senso analogo v. pure Cass. 14 novembre 2000 n. 14715, in Giust. civ. mass., 2000, 2316) o a quella con la quale è stata considerata infortunio sul lavoro l'aggressione subita per rapina dal lavoratore che si recava al lavoro a bordo del proprio motoveicolo (Cfr. Cass. 14 febbraio 2008 n. 3776, in Mass. giur. lav., 2008, n. 4, 276 ss., con nota di G. CORSALINI, Infortunio da aggressione sulle vie del lavoro, e in Riv. crit. dir. lav., 2008, 688 ss., con commento di A. CORRADO, La rapina del mezzo di trasporto e configurabilità dell'infortunio in itinere). D'altra parte, come ricorda la Corte nella sentenza che si annota, il comportamento del terzo costituisce una delle possibili componenti causali dell'infortunio, alla stessa stregua del fatto accidentale o della forza maggiore, e, come tale, non può escludere la sussistenza dell'occasione di lavoro, sia che si tratti di infortunio sul lavoro in senso stretto, sia che si tratti di infortunio in itinere.
Conclusioni
In conclusione, l'aggressione subita dal lavoratore non fa venir meno l'occasione di lavoro, in quanto essa può essere considerata fattore causale dell'infortunio, reso appunto possibile o comunque agevolato dal fatto che il malcapitato si trova in quel momento in un determinato posto per ragioni lavorative. Non è una questione di rischio, ma di occasione di lavoro. Una volta accolto questo orientamento giurisprudenziale, in base al quale l'aggressione viene ricompresa nell'ambito dell'occasione di lavoro anche quando non possa essere ricollegata - neppure indirettamente - all'attività lavorativa svolta dall'assicurato, l'unico limite alla protezione può essere dato dal fatto che essa sia da ricollegarsi a ragioni personali extraprofessionali o a particolari rapporti tra vittima e aggressore. Restano quindi giustamente esclusi dalla tutela quei casi di aggressione, di cui sopra si è detto, compreso purtroppo quello del femminicidio per raptus passionale (triste ossimoro) in cui l'attività lavorativa o gli spostamenti per motivi di lavoro rappresentino una mera coincidenza topografica e cronologica, con un collegamento del tutto estraneo all'occasione di lavoro richiesta per la tutela assicurativa. In altre parole, sembra che abbia trovato ormai conferma nella giurisprudenza il principio di diritto che chi scrive aveva suggerito nell'attesa della decisione delle Sezioni Unite del 2015: “l'aggressione del lavoratore, in ambiente lavorativo o sulle vie del lavoro, costituisce evento protetto, a meno che l'aggressore non abbia agito per motivi estranei al lavoro ed attinenti a rapporti interpersonali con la vittima o a suoi comportamenti, qualità personali o orientamenti politici, religiosi, culturali ecc., tanto che le circostanze lavorative abbiano semplicemente costituito una delle possibili opportunità per perpetrare l'intento criminoso” (si veda G. CORSALINI, L'omicidio della convivente può essere indennizzato dall'INAIL? Un dubbio (di troppo) della Corte di Cassazione, in Resp. civ. prev., 2015, 1, 112). |