Rimessa alle Sezioni Unite la questione sulle prove nuove decisive nel caso di revocazione della confisca di prevenzione

15 Marzo 2022

Le sezioni unite dovranno rispondere al seguente quesito: in tema di revocazione della confisca, disposta ex art. 28 d.lgs. 159/2011, se nelle “prove nuove” decisive sopravvenute alla conclusione del procedimento debbano includersi anche le prove preesistenti alla definizione del giudizio che, sebbene astrattamente deducibili in tale sede, non siano però state concretamente dedotte e perciò mai valutate, in conformità alla nozione di prova nuova elaborata al fine della revisione nel procedimento penale.
La questione

Negli anni la Corte di legittimità ha sposato posizioni differenti in relazione alla esegesi dell'art. 28, comma 1, lett. a) d.lgs. n. 159/2011; l'evidente dissonanza ha provocato l'intervento delle Sezioni Unite.

Il contrasto che il Supremo Consesso dovrà ricomporre ha ad oggetto l'annoso quesito «Se, in tema di revocazione della confisca, disposta ai sensi dell'art. 28 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159 nelle “prove nuove” decisive sopravvenute alla conclusione del procedimento debbano includersi anche le prove preesistenti alla definizione del giudizio che, sebbene astrattamente deducibili in tale sede, non siano però state concretamente dedotte e perciò mai valutate, in conformità alla nozione di prova nuova elaborata al fine della revisione nel procedimento penale».

La richiamata norma, introdotta nel d.lgs. n. 159/2011, costituisce evidentemente una novità nell'ambito dell'attuale statuto delle misure di prevenzione, la cui previgente conformazione non contemplava il caso delle sopravvenienze rispetto al giudicato prevenzionale.

Al vaglio della Corte di legittimità vi è, dunque, l'individuazione dell'esatta esegesi dei “casi” idonei ad attivare il rimedio azionabile per escludere la confisca di prevenzione, già definitiva.

Il rimedio della revocazione nel sistema di prevenzione

L'ordinanza in commento fornisce un excursusdella disciplina in questione, rimarcando come, in precedenza, si tentasse di supplire alla lacuna normativa ricorrendo, anche, all'applicazione degli artt. 629 e ss. c.p.p. fino a che, con la pronuncia Pisco (Cass. pen., sez. un., 10 dicembre 1997, n. 18, Pisco, Rv. 210041), le Sezioni Unite affermarono che l'istituto della revisione, così come previsto dagli artt. 629 c.p.p. e ss., non potesse operare in via analogica con riguardo ai provvedimenti applicativi di misure di prevenzione adottati ai sensi della l. 27 dicembre 1956, n. 1423, in quanto l'interesse che dovrebbe essere tutelato dall'istituto della revisione – finalizzato al riconoscimento dell'insussistenza originaria delle condizioni che legittimano l'adozione del provvedimento di applicazione della misura di prevenzione – potesse essere tutelato dall'istituto della revoca previsto dall'art. 7, comma 2, l. 1423/1956.

Alla base di tale affermazione di principio vi era il rilievo secondo cui deve reputarsi come soluzione costituzionalmente imposta, ex art. 24 comma 3 Cost. quella di configurare, attraverso la revoca in funzione di revisione, un rimedio straordinario teso a riparare all'errore giudiziario.

Invero, nella impostazione seguita dalla Sezioni Unite Pisco, si riscontravano due direttrici argomentative utilizzate per legittimare l'attivazione dell'istanza di revoca: la novità degli elementi prospettati a sostegno della medesima e, nel caso in cui venisse invocato il difetto genetico dei presupposti applicativi, la non necessità che gli elementi si riferissero ad eventi sopravvenuti alla sua emissione purché si trattasse in ogni caso di circostanze non già valutate nel corso del relativo giudizio.

Nel solco così tracciato, la successiva pronuncia Auddino (Cass. pen., sez. un., 19 dicembre 2006, n. 57 Rv. 234955) giustificava l'ulteriore sensibile estensione della richiamata tendenza interpretativa anche nel caso delle misure di prevenzione patrimoniali, sempre nella prospettiva di colmare una lacuna normativa derivante dalla inesistenza, nel sistema delle misure di prevenzione, di una impugnazione straordinaria corrispondente a quella della revisione del giudicato penale, posto che, altrimenti, sarebbe perdurata nel sistema una inaccettabile carenza di strumenti normativi che dessero attuazione al disposto costituzionale, il quale impone che la legge determini le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari.

È evidente, infatti, che non trova alcuna giustificazione l'irreversibilità dell'ablazione, che non esclude la possibilità della restituzione del bene confiscato all'avente diritto, o una eventuale forma riparatoria della perdita patrimoniale ingiustificatamente subìta.

Con l'avvento del codice antimafia, il rimedio della revocazione della decisione sulla confisca di prevenzione viene definitivamente previsto dall'art. 28 ed attribuito alla Corte di appello, mentre per i provvedimenti di confisca adottati prima dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 159/2011 continuerà ad applicarsi il precedente art. 7 l. n. 1423/1956 secondo cui competente alla revoca della confisca è l'organo giudicante che aveva provveduto alla sua deliberazione.

Tuttavia, pur nel rinnovato assetto normativo delle misure di prevenzione patrimoniali, ossia quello nel quale si è persa la funzione ancillare rispetto a quelle personali, il tema della revoca della confisca di prevenzione ha sempre presentato profili di indiscutibile delicatezza.

Invero, la legge 13 agosto 2010, n. 136 di delega al Governo per l'emanazione di un codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione aveva espressamente previsto i criteri e le direttive da indicare al legislatore delegato per la revocazione della confisca definitiva. In particolare se ne è postulata l'operatività quando: a) siano scoperte nuove prove decisive sopravvenute alla conclusione del procedimento di prevenzione; b) i fatti accertati con sentenze penali definitive escludano in modo assoluto l'esistenza dei presupposti di applicazione della confisca; c) la decisione di confisca sia stata pronunciata sulla scorta essenziale di atti riconosciuti come falsi o sulla base di falsità in giudizio o di fatti previsti come reato; d) si possa dimostrare il difetto originario dei presupposti per la confisca.

Ulteriore condizione è che si agisca in revocazione entro sei mesi dalla data in cui si è verificata una delle condizioni indicate o in un termine maggiore qualora l'interessato dimostri di non aver avuto conoscenza per causa a lui non imputabile.

E proprio su queste basi, l'art. 28 d.lgs. 159/2011 disciplina l'istituto della revocazione della confisca, allineato, per più versi, alla “revisione” delle sentenze di condanna.

Del resto, l'esigenza di rimuovere la confisca di prevenzione ingiusta non può che trovare – seppur in via di un efficace parallelismo – nella revisione disciplinata dagli artt. 630 ss. c.p.p. lo strumento utile, tenendo conto del rispetto dei canoni del giusto processo che, stante la natura e le conseguenze dell'ablazione di prevenzione, devono essere garantiti.

Tuttavia, una volta intervenuta la norma di cui all'art. 28 d.lgs. 159/2011, con esplicito riferimento al novum, in un antimero, sono andati consolidandosi i noti indirizzi interpretativi con riguardo allo strumento utilizzabile ed in punto di novità della prova.

La svolta in direzione delle Sezioni Unite: il tentativo di comporre il contrasto

La declinazione del rimedio della revocazione della confisca di prevenzione registra un contrasto interpretativo nel caso in cui ricorra il novum, e in particolare sul suo esatto perimetro.

Come segnalato dall'Ufficio del Massimario, già nel 2020, l'aspetto centrale del contrasto verteva sul “quando e in che termini” una prova, sopravvenuta alla conclusione del procedimento, sia da ritenersi “nuova”, così da legittimare la revocazione della confisca di prevenzione.

A fronte di una interpretazione restrittiva (Cass. pen., sez. II, 7 dicembre 2012, n. 11818 Ercolano, Rv. 255530; Cass. pen., sez. VI, 6 ottobre 2015, n. 44609 Alvaro, Rv. 265081; Cass. pen., sez. V, 30 novembre 2018, n. 3031 Lagaren, Rv. 272104; Cass. pen., sez. VI, 9 maggio 2019, n. 26341 De Virgilio, Rv. 276075; Cass. pen., sez. II, 24 settembre 2020, n. 28941 Morgante, Rv. 279809; Cass. pen., sez. II, 25 giugno 2021, n. 28305 Bellinvia, Rv. 281803) che qualificava come “nuove”, e dunque rilevanti ai fini della revoca della misura di prevenzione della confisca, solo le prove sopravvenute alla conclusione del procedimento di prevenzione (e quindi sconosciute), escludendo quelle deducibili ma, per qualsiasi motivo, non dedotte nell'ambito dello stesso, si contrapponeva una opposta interpretazione più ampia del concetto di “novità”, secondo cui “prove nuove” sono anche quelle che, seppure preesistenti alla conclusione del procedimento di prevenzione, sono state scoperte dopo che il provvedimento di confisca è divenuto definitivo (Cass. pen., sez. II, 12 marzo 2019, n. 19414 Ficara, Rv. 276063; Cass. pens., sez. II, 14 luglio 2020, n. 23928 Trupia, Rv. 79488).

Nell'ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite viene, pertanto, annotato anche quell'orientamento (Cass. pens., sez. VI, 29 ottobre 2020, n. 2190 Notaro, Rv. 281143-02 e Cass. pen., sez. VI, 18 maggio 2021, n. 27689 Mollica, Rv. 281692) che, nel rilevare l'indubbia affinità esistente tra l'istituto della revocazione e quello della revisione (sia pure con le dovute differenze imposte, tra l'altro, anche dalla specificità dell'elencazione delle ipotesi di revoca contenute nell'art. 28, oltre che dagli interessi sottesi ai due istituti non perfettamente coincidenti anche sotto il profilo della diversa rilevanza che essi hanno nel contesto costituzionale), hanno anch'esse affermato che per prova nuova deve intendersi anche quella preesistente e scoperta dopo che la misura è divenuta definitiva.

Del resto, in termini ancora più ampi si era espressa, seppur in relazione alla fattispecie di revoca di cui all'art. 7 l. n. 1423/1956, la Corte di legittimità laddove, in continuità rispetto alle Sezioni Unite Pisco, evidenziava che la revoca per difetto genetico dei presupposti di adozione può disporsi in presenza di “elementi nuovi”, non necessariamente sopravvenuti, purché mai valutati nel corso del procedimento di prevenzione, stante il carattere di rimedio straordinario dell'istituto che non può, pertanto, trasformarsi in un anomalo strumento di impugnazione. All'uopo, veniva richiamato il dato testuale dell'art. 28 d.lgs. n. 159/2011, osservando che lo stesso punto 2 dell'art. 4 del Protocollo della CEDU «connette il diritto di revisione alla prospettazione di elementi che si devono caratterizzare per la loro capacità di innovare la piattaforma cognitiva valutata nel precedente giudizio, talchè l'interpretazione dei limiti applicativi dell'art. 7 l. n. 1423/1956 qui accolta appare in linea anche con la normativa sovranazionale» (Cass. pen., sez. V, 4 novembre 2015, n. 148 Baratta, Rv. 265922).

Occorre segnalare, inoltre, come – dopo la stessa relazione dell'Ufficio del Massimario n. 8 del febbraio 2020 – è nuovamente intervenuta la Corte di legittimità accendendo un faro sul tema della «mancata valutazione» della prova, così come declinato nelle Sezioni Unite del 2002, PG in proc. Pisano. In particolare, la Prima Sezione (Cass. pen., sez. I, 5 novembre 2020, n. 10343 Venuti, Rv. 280856) ha evidenziato che in tema di confisca di prevenzione, costituiscono prove nuove deducibili a fondamento tanto della domanda di revoca ex tunc, ai sensi dell'art. 7 l. 27 dicembre 1956, n. 1423 quanto della domanda di revocazione, ai sensi dell'art. 28 d.lgs. 16 settembre 2011 n. 159 elementi di prova preesistenti alla definizione del giudizio che, sebbene astrattamente deducibili in tale sede, non siano però stati concretamente dedotti e perciò mai valutati.

In motivazione, la Prima Sezione ha chiarito che tanto la procedura di revoca ex art. 7 l. 27 dicembre 1956, n. 1423 quanto la revocazione della confisca di cui all'art. 28 d.lgs. n. 159/2011 – disposizione tesa alla formalizzazione e recepimento della operazione ermeneutica realizzata in riferimento all'art. 7 della Legge previgente – rappresentano la «proiezione», nello specifico settore delle misure di prevenzione, dell'istituto della revisione di cui agli artt. 629 c.p.p. e ss., trattandosi di fattispecie finalizzate a rimediare, in via straordinaria, ad una sostanziale ingiustizia della decisione, nei modi e con le forme previste dalla legge.

Da tali premesse la Prima Sezione ha concluso che è alla “prova nuova”, elaborata ai fini della revisione nel procedimento penale, che deve aversi riguardo nell'interpretazione di entrambe le citate disposizioni di legge: «è dunque nella conformazione giurisprudenziale dell'istituto “madre” della revisione delle sentenze – in ambito penale – che l'interprete è tenuto a rintracciare le linee ermeneutiche regolatrici dell'applicazione tanto della previsione di legge di cui all'art. 7 l. n. 1423/1956 che di quella dell'art. 28 d.lgs. n. 159/2011, lì dove la disposizione legislativa si presti ad una “estrazione di significato” non del tutto univoca, come è sul terreno della richiesta di “novità” della prova posta a base della domanda di rivalutazione del giudicato (ex art. 630 comma 1 lett. c) c.p.p. e art. 28 comma 1 lett. a) d.lgs. n. 159/2011)».

I possibili scenari

Seguendo, invero, l'indirizzo nomofilattico quantitativamente maggioritario, si rileva che mentre la revisione della condanna sarebbe giustificata non solo dall'ipotesi di sopravvenienza di prove decisive ma anche da quella della scoperta di prove preesistenti purché nuove, la revocazione presupporrebbe invece, sempre e necessariamente, prove che oltre che nuove siano anche sopravvenute alla conclusione del procedimento di prevenzione.

Una simile lettura del comma 1 dell'art. 28, tuttavia, sterilizzerebbe irragionevolmente la pregnanza di prove preesistenti ma mai valutate dal giudice perché scoperte solo successivamente, con evidente pregiudizio rispetto alla tutela del bene della proprietà privata e conseguente incostituzionalità della disposizione.

È, invece, logico da un angolo visuale che tenga conto anche delle garanzie del giusto processo, pensare che la revocazione — al pari della revisione — sia ammissibile anche in presenza di prove preesistenti mai sottoposte al vaglio giudiziale perché scoperte successivamente.

D'altra parte, se la ratio più recondita ma obiettivamente rilevante, di ogni istituto “riparativo” è non solo quella di ripristinare il patrimonio del soggetto ingiustamente leso ma anche quella di apprestare idonee garanzie atte a rendere “affidabile” il prodotto processuale del sistema di prevenzione, non può che concludersi che vada valorizzata la prova nuova nella sua più ampia proiezione.

E proprio in questo senso, la recente giurisprudenza di legittimità ha ritenuto utile ai fini della revocazione anche la prova preesistente ma scoperta dopo che la misura è divenuta definitiva, oltre alla prova sopravvenuta rispetto alla chiusura del procedimento, restando – incomprensibilmente – esclusa, invece, la nozione di prova nuova intesa come prova deducibile ma non dedotta nell'ambito del suddetto procedimento.

Come è ovvio, poi, la prova, oltreché nuova, deve possedere un contenuto idoneo a scalfire la tenuta del provvedimento definitivo, non essendo sufficiente semplicemente una prova contraria.

Ebbene, la questione rimessa alle Sezioni Unite, oltre ad essere non vicariabile, è particolarmente importante proprio per via della esistenza di orientamento ermeneutico teso ad escludere che per prove preesistenti alla conclusione della procedura di prevenzione, valutabili in sede di revoca, possano intendersi anche le prove “deducibili e non dedotte nell'ambito del suddetto procedimento”.

Tale impostazione, infatti, non è condivisibile – come decisamente indicato dalla pronuncia Venuti – giacché una volta affermato il principio della “radice comune” tra l'istituto della revocazione della confisca e la revisione penale (radici che affondano nell'humus della necessità di non ignorare prove decisive indipendentemente dalla loro “età processuale”), ed una volta superata – per tale ragione sistematica – la limitazione letterale alla produzione delle sole prove sopravvenute, derivante dal testo della disposizione di cui all'art. 28 d.lgs. n. 159/2011, non può che farsi riferimento – anche in sede di revocazione della confisca – alla nozione di prova nuova elaborata dalle Sezioni Unite nella nota decisione del 2002, PG in proc. Pisano (intervenuta in sede di revisione), secondo la quale si prescinde anche dal comportamento processuale negligente o addirittura doloso assunto dal condannato nel giudizio (Cass. pen., sez. I, 5 novembre 2020, n. 10343 Venuti, Rv. 280856).

Proprio nella richiamata pronuncia delle Sezioni Unite Pisano si è evidenziato come risulti essenziale al fine di ritenere “nuova” la prova dedotta in sede di revisione l'aspetto della sua “mancata valutazione”, sempre che ciò non sia dipeso da affermata inammissibilità o superfluità del giudice, ed indipendentemente dalla circostanza che l'omessa conoscenza da parte di quest'ultimo sia imputabile a comportamento processuale negligente o addirittura doloso del condannato.

È evidente che la logica di tale arresto di legittimità ben possa essere esportabile al tema della revocazione della confisca di prevenzione.

Non può, dunque, prescindersi da questa accreditata opzione interpretativa dell'art. 28 d.lgs. n. 159/2011, certamente più garantista e posta a presidio della qualità della pronuncia giurisdizionale, senza poi dimenticare che l'istituto della revocazione della confisca è munito di copertura nella fonte costituzionale e in quelle internazionali (art. 24, ult. co. Cost; art. 4 Prot. Agg. n. 7 Cedu; art. 14 § 6, Patto Internazionale ONU) ed è ispirato all'esigenza di riparare eventuali errori giudiziari non più rimovibili mediante l'esperimento di ordinari mezzi di impugnazione; la positivizzazione dell'istituto è volta a tutelare, tra l'altro, il godimento del diritto di proprietà, meritevole di tutela costituzionale e sovranazionale (rispettivamente, art. 41 e art. 1, § 1, Prot. Agg. n. 1 Cedu).

Così, proprio il ricorso all'operazione interpretativa secondo cui il giudizio sul novum idoneo a fondare la revocazione è strettamente connesso a quello della «mancata valutazione» della prova, incasella il rimedio dell'istanza revocatoria della confisca di prevenzione in un panorama di tutela del diritto di proprietà, già riconosciuto a livello sovranazionale.

È, del resto, evidente che anche il comma 3 dell'art. 28 indirizza nel senso che la revocazione della confisca di prevenzione sia legittimata per le prove decisive che siano scoperte dopo che la misura sia divenuta definitiva (essendo dunque preesistenti) e che siano ad essa sopravvenute, sia nel senso della scoperta che nel senso della mancata deduzione e mancata valutazione.

L'atteso intervento delle Sezioni Unite si mostra, quindi, particolarmente importante anche al fine di definitivamente censurare l'approccio di quelle Corti territoriali inclini alla comminatoria d'inammissibilità dell'istanza di revocazione, senza fissazione dell'udienza e l'instaurazione del contraddittorio tra le parti, nell'ipotesi di preesistenza del novum, accedendo all'orientamento di legittimità che escludeva tale qualitas nel caso di prova non dedotta, ma preesistente.

Deve, in tema, evidenziarsi che, in tema di procedimento di revisione (cui l'attuale disciplina della revocazione ex art. 28 d.lgs. n. 159/2011, espressamente fa richiamo in relazione alle forme previste per la richiesta), è necessario procedere nelle forme del contraddittorio qualora la valutazione di ammissibilità implichi una verifica, ancorché sommaria degli atti (Cass. pens., sez. V, 4 maggio 2015, n. 26480 Rv. 264848).

Anche sotto tale profilo, dunque, le misure di prevenzione continuano a rappresentare uno di quegli argomenti in cui pregnante si manifesta la necessità di un approccio garantista per gli effetti rilevantissimi che esse producono nel patrimonio del soggetto attinto, in quello dei terzi e nell'economia più in generale. Uno sguardo d'insieme, infatti, consente di affermare che l'impalcatura giustificativa che le Sezioni Unite forniranno nella esegesi del novum nella revocazione della confisca di prevenzione potrebbe puntellare un edificio le cui basi ancora peccano di un deficit di identità in un annoso movimento pendolare che stenta a trovare il suo punto di stasi tra le (eccessivamente enfatizzate) esigenze di snella efficacia e le irrinunciabili garanzie difensive.

Non può tralasciarsi, del resto, che con l'istanza di revocazione deve essere consentito di rimuovere, nei soli casi tassativamente indicati, gli effetti del giudicato di confisca di prevenzione, dando preferenza non solo alle esigenze di certezza sottese al rapporto processuale ed all'accertamento che da esso promana e si consolida nella res iudicata, ma anche ad esigenze di giustizia sostanziale e di equità dell'accertamento giurisdizionale.

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