Doveri delle parti e del Pubblico ministero nel Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza

Stanislao De Matteis
16 Marzo 2022

L'articolo esamina i doveri del P.M. e delle parti disciplinati nel Codice della crisi d'impresa agli  artt. 3-5, che  stabiliscono i doveri che si impongono alle parti coinvolte nelle procedure, enunciando distintamente i doveri del debitore e  dei creditori, nonché i doveri e le prerogative delle autorità chiamate a gestire le procedure.
Doveri delle parti coinvolte nelle procedure

Gli artt. 3-5 CCII stabiliscono i doveri che si impongono alle parti coinvolte nelle procedure, in vista del conseguimento delle finalità cui le stesse sono preordinate. Le disposizioni enunciano distintamente: i doveri del debitore (che si esamineranno con specifico riguardo al caso in cui il debitore sia un imprenditore); i doveri dei creditori; i doveri e le prerogative delle autorità chiamate a gestire le procedure.

Le disposizioni enunciano una serie di clausole generali, volte a fissare le fondamentali modalità di comportamento che si impongono a detti soggetti, alle quali deve dunque aversi riguardo, al fine di accertarne la correttezza del comportamento, nei casi nei quali questo assume rilievo.

a) Doveri del debitore

Gli artt. 3 e 4 pongono a carico dell'imprenditore:

- l'obbligo di rilevare tempestivamente lo stato di crisi e di assumere le iniziative necessarie a farvi fronte, che assume concretezza in considerazione di quello preliminare che grava:

  • l'imprenditore individuale del dovere di adottare le misure idonee a permettere la rilevazione tempestiva della crisi;
  • l'imprenditore collettivo del dovere di istituire, come impostogli dal secondo comma del novellato art. 2086 c.c., «un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell'impresa».

La distinzione tra imprenditore individuale e collettivo assume rilievo in quanto l'art. 2086, comma 2, c.c. stabilisce soltanto per il secondo l'obbligo di adottare un assetto organizzativo adeguato al richiamato obiettivo che, tuttavia, concerne in definitiva anche il primo. L'adozione di misure idonee a permettere la rilevazione tempestiva della crisi implica infatti, di necessità, un'organizzazione dell'impresa idonea a detto scopo. E', quindi, soltanto in considerazione della maggiore libertà organizzativa che connota l'imprenditore individuale rispetto a quello collettivo (tenuto conto degli schemi organizzativi che si impongono a quest'ultimo, particolarmente complessi e stringenti nelle società di capitali) che si giustifica la diversa specificazione del contenuto dell'obbligo di realizzare un'adeguata organizzazione amministrativa dell'impresa.

Nondimeno, in occasione della rilevazione della crisi e/o dell'insolvenza l'osservanza di detto obbligo da parte dell'imprenditore individuale andrà accertato, verificando anzitutto la congruità dell'assetto scelto, tenuto conto dell'attività svolta, rispetto allo scopo di garantire l'osservanza dell'obbligo in esame;

- l'obbligo di rilevare tempestivamente la crisi assume concretezza grazie all'introduzione dei cc.dd. strumenti di allerta e degli indicatori della crisi, che costituiscono parametri di controllo e di verifica della sua osservanza.

All'obbligo di rilevare tempestivamente la crisi si accompagna quello di attivarsi, adottando le iniziative necessarie per fronteggiarla; in particolare, avviando il procedimento di composizione della crisi, ovvero una delle procedure di regolazione della crisi e/o dell'insolvenza, che grava in identico modo l'imprenditore individuale e l'imprenditore collettivo (l'art. 3 stabilisce, al comma 1, che l'imprenditore individuale deve assumere le iniziative necessaria a fronteggiare la crisi «senza indugio», locuzione che non si rinviene nel comma 2, che concerne l'imprenditore collettivo, soltanto perché questo rinvia all'art. 2086, comma 2, c.c., che la contiene).

L'importanza di tale fondamentale obbligo è chiara, poiché una delle idee principali del codice è che le possibilità di salvaguardare i valori di un'impresa in difficoltà sono direttamente proporzionali alla tempestività dell'intervento risanatore. La sua rilevanza emergerà in occasione dell'esame delle diverse procedure, allorché sarà evidenziato che la sua osservanza è condizione, tra l'altro, della fruizione di alcuni effetti favorevoli e rileva anche quanto alle conseguenze di carattere penale;

-l'obbligo di comportarsi «secondo buona fede e correttezza» (art. 4, comma 1), che, in buona sostanza, reitera la clausola generale dell'art. 1175 c.c., specificata con riguardo al caso in cui il debitore versi in uno stato di crisi e/o di insolvenza, attraverso la fissazione (nel comma 2 dell'art. 4):

  • del dovere di illustrare la propria situazione in modo completo, veritiero e trasparente. L'imprenditore è in tal modo gravato di un preciso obbligo informativo che lo onera di fornire ai creditori tutte le notizie necessarie ed appropriate allo strumento di regolazione della crisi o dell'insolvenza prescelto e che assume concretezza attraverso le specifiche disposizioni (di seguito esaminate) in cui sono specificate le informazioni che il debitore è tenuto a fornire;
  • del dovere di assumere tempestivamente le iniziative idonee alla rapida definizione della procedura, anche al fine di non pregiudicare i diritti dei creditori. Si tratta, a ben vedere, di una specificazione dell'obbligo di tempestività sopra esaminato, esteso alla fase di trattazione della procedura, che impone all'imprenditore di assumere con tempestività anche le iniziative strumentali a garantirne la rapida definizione;
  • del dovere di gestire il patrimonio o l'impresa durante la procedura di regolazione della crisi o dell'insolvenza nell'interesse prioritario dei creditori, che è niente altro che una specificazione dell'obbligo di correttezza stabilito a carico del debitore dall'art. 1175 c.c.

b) Doveri dei creditori

L'art. 4, comma 1, grava anche il creditore dell'obbligo di comportarsi «secondo buona fede e correttezza», onerandolo:

  • del dovere di collaborare lealmente con il debitore, con i soggetti preposti alle procedure di allerta e composizione assistita della crisi, con gli organi nominati dall'autorità giudiziaria nelle procedure di regolazione della crisi e dell'insolvenza;
  • del dovere di rispettare l'obbligo di riservatezza sulla situazione del debitore, sulle iniziative da questi assunte e sulle informazioni acquisite.

Si tratta, in buona sostanza, della reiterazione dell'obbligo di correttezza stabilito anche per il creditore dall'art. 1175 c.c., che assume specificità e concretezza nelle disposizioni che disciplinano le differenti procedure. Particolare rilievo riveste il secondo di detti doveri, in quanto mira a rafforzare l'obbligo del debitore di segnalare con tempestività lo stato di crisi e/o di insolvenza (e di assumere l'iniziativa di dare corso al procedimento di composizione del Titolo II), garantendogli che le notizie acquisite dal creditore non potranno da questo essere divulgate, con il rischio che possano pregiudicare lo svolgimento dell'attività e la stessa composizione della crisi.

c) Doveri e prerogative delle autorità preposte

Il codice della crisi disciplina anzitutto la procedura di composizione assistita della crisi, affidata ad appositi organismi e che si svolge sul piano stragiudiziale; nelle procedure di regolazione della crisi o dell'insolvenza è previsto, invece, tendenzialmente, in linea generale (la precisazione si impone, tenuto conto della previsione di strumenti negoziali stragiudiziali, da parte dell'art. 56), l'intervento dell'autorità giudiziaria.

L'art. 5 del codice stabilisce i doveri e le prerogative dei primi e taluni dei doveri che concernono la seconda e gli organi con questa chiamati a collaborare e che è opportuno esaminare distintamente.

c.1) Doveri e prerogative dell'OCRI e dell'OCC

Le procedure di allerta e composizione della crisi sono gestite, a seconda della qualità del debitore, da due organismi, l'OCRI e l'OCC, di cui è stata sopra esaminata la definizione.

Detti organismi, così come il referente attraverso cui gli stessi operano, ed il personale dei relativi uffici, chiamati a svolgere compiti fondamentali nella procedura di composizione della crisi, sono tenuti all'obbligo di riservatezza su tutte le informazioni acquisite nell'esercizio delle loro funzioni e devono conservare il segreto sui fatti e sui documenti di cui hanno conoscenza per ragione del loro ufficio. La previsione non esaurisce il complesso degli obblighi che fa carico ai componenti di detti organismi ed assume pregnante importanza soprattutto in quanto è espressiva del convincimento che l'obbligo del segreto in questa fase preliminare di verifica della situazione di difficoltà del debitore è indispensabile per garantire che questi la segnali tempestivamente, senza il timore che la possibile diffusione di notizie relative alla stessa possa essa stessa, da sola e di per sé, pregiudicare comunque lo svolgimento dell'attività e la stessa composizione della crisi.

La centralità di tale obbligo è ancora più chiara se si considera che l'art. 5, comma 5, tutela il segreto stabilendo altresì che i componenti degli organismi e dei collegi preposti alle procedure di allerta e composizione assistita della crisi non possono essere tenuti a deporre sul contenuto delle dichiarazioni rese e delle informazioni acquisite nell'esercizio delle loro funzioni, né davanti all'autorità giudiziaria né davanti ad altra autorità.

A questo scopo, l'art. 5, comma 5, stabilisce che si applicano le disposizioni dell'art. 200 c.p.p.; i componenti di tali organismi sono dunque tenuti al segreto professionale e gli stessi costituiscono un'ulteriore categoria di soggetti, che si aggiunge a quelle previste da detta disposizione del codice di rito penale e di cui è appunto tutelato detto segreto. Ad essi sono inoltre estese le garanzie previste nel processo penale per il difensore dall'art. 103 c.p.p. e, conseguentemente, le ispezioni, le perquisizioni, i sequestri e le intercettazioni interferenti con l'attività d'ufficio sono possibili soltanto nei casi e nei modi stabiliti da quest'ultima disposizione.

c.2) Doveri dell'autorità giudiziaria e degli organi da questi nominati

Il legislatore ha ritenuto di fissare in linea generale due obblighi che gravano i giudici e gli organi che con questi collaborano, che possono essere distinti in base alla seguente bipartizione:

- il primo obbligo grava sia l'autorità giudiziaria sia gli organi da questa designati nel corso della procedura e concerne le nomine dei professionisti chiamati a svolgere compiti nelle stesse, che vanno effettuate nell'osservanza dei criteri di trasparenza, rotazione ed efficienza.

Tale obbligo assume concretezza attraverso la previsione che il presidente del tribunale, ovvero se questo è ripartito in sezioni il presidente della sezione cui è assegnata la trattazione delle procedure, devono procedere all'adozione di protocolli, condivisi con i giudici della sezione, nei quali devono essere stabilite le regole da osservare, come nell'esecuzione, e conseguenze della violazione per il giudice ed il professionista.

L'osservanza dell'obbligo è presidiata dal potere attribuito al presidente del tribunale, ovvero al presidente della sezione designata per la trattazione delle procedure (qualora il tribunale sia articolato su più sezioni) di vigilare sulla sua attuazione e sul rispetto dei protocolli. E', peraltro, evidente che a detto potere corrisponde un dovere di esercitare tale vigilanza disciplinare

- il secondo obbligo grava esclusivamente sull'autorità giudiziaria e consiste nella previsione di un criterio di priorità nella trattazione anche dei processi c.d. satellite delle procedure previste dal codice della crisi, e cioè di quelli in cui è parte un organo nominato dall'autorità giudiziaria nelle stesse o comunque un soggetto nei cui confronti è aperta una procedura di regolazione della crisi o dell'insolvenza. Il criterio di priorità mira a scongiurare che la lungaggine dei processi promossi a seguito delle (e correlati alle) procedure del codice possa irragionevolmente procrastinare la durata di queste ultime.

Allo scopo di richiamare l'attenzione dei capi degli uffici sull'esigenza di vigilare che detto criterio di priorità sia osservato e di apprestare le misure più congrue a questo fine, è stato previsto che annualmente il capo dell'ufficio (quindi, il presidente del tribunale, anche quando questo sia diviso in sezioni) deve trasmettere al presidente della corte d'appello i dati relativi al numero e alla durata dei suddetti procedimenti, indicando le disposizioni adottate per assicurarne la celere trattazione e di tali notizie il presidente della corte d'appello deve dare atto nella relazione sull'amministrazione della giustizia.

Doveri e poteri del pubblico ministero nella crisi d'impresa

Probabilmente, una delle maggiori novità nel nuovo codice della crisi avrebbe dovuto e potuto (l'uso del condizionale è giustificato dal fatto che, come si precisa infra nel testo, i successivi interventi sul codice della crisi possono avere incrinato l'idea originaria, volta alla rivitalizzazione del ruolo del P.M.) essere individuata nel rivitalizzato ruolo del pubblico ministero e nella adeguata valorizzazione dell'interesse pubblico sotteso alla regolazione della crisi e dell'insolvenza.

La riforma del 2007 aveva decisamente improntato l'asse della disciplina concorsuale fallimentare ad una visione eminentemente privatistica (Cfr. sull'argomento Nigro, “Privatizzazione” delle procedure concorsuali e ruolo delle banche, in AA.VV., Le soluzioni concordate della crisi d'impresa, Torino, 2007).

Il codice della crisi, in senso antitetico, sembra ispirato al rafforzamento dei poteri del P.M. nelle procedure di composizione e regolazione della crisi delle imprese, allo scopo di realizzare un ragionevole bilanciamento di tutti gli interessi in gioco.

Il riconoscimento dell'interesse pubblico descritto nella vigenza dell'originario testo della legge fallimentare come correlato “all'esigenza di rimuovere l'insolvenza dell'imprenditore, ossia difendere l'economia generale dal fenomeno morboso del dissesto” si trasforma, in linea con la Racc. n. 2014/135/UE, in interesse correlato alla predisposizione di istituti e strumenti procedurali atti a consentire alle imprese in difficoltà di ristrutturarsi in una fase precoce, per evitare che la crisi si aggravi e diventi irreversibile (Filippi, Il ruolo del PM nel codice della crisi e dell'insolvenza, in www.giustiziainsieme.it.).

Nel nuovo codice della crisi, il pubblico ministero, spogliandosi delle sue vesti puramente penalistiche, nell'esercizio delle funzioni per lui previste dal diritto civile, è chiamato a riflettere ed a porre la propria attenzione sia alle situazioni imprenditoriali di difficoltà (di preinsolvenza), sia a quelle avviate ad una regolazione concordata, sia alla liquidazione, muovendosi in una prospettiva di compatibilità tra esigenze punitive e di perseguimento dell'interesse generale anche attraverso il risanamento delle imprese.

L'importanza del ruolo attribuito al P.M. nella gestione della crisi di impresa è stata diffusamente approfondita in un documento, al quale è possibile e doveroso rinviare, per l'esposizione, in dettaglio, delle ragioni che fondano tale affermazione e per l'individuazione delle disposizioni che ne costituiscono la base giuridica e che costituisce un contributo importante ai fini della ricostruzione di detto specifico tema (si tratta dell'atto leggibile in www.procuracassazione.it, su “Il ruolo del pubblico ministero nella crisi d'impresa tra legge fallimentare, Codice della crisi e dell'insolvenza e decreto-legge n. 118 del 2021”).

Nel nuovo assetto della disciplina della crisi e dell'insolvenza la parte pubblica è chiamata a interloquire con tutti gli attori dei molteplici procedimenti, essendogli, ad uno stesso tempo, consentito di interloquire per garantire la congruità rispetto all'interesse pubblico delle scelte realizzate in ciascuno, e di accendere un faro garantendo le altre parti delle procedure per avere immediata contezza dei presupposti dello svolgimento dell'azione investigativa in ambito penale.

Al P.M. nel nuovo quadro normativo viene consentito e garantito di attenzionare le condotte che possono essere realizzate da parte dei soggetti responsabili dell'impresa nel periodo di ricerca del ripianamento economico e della continuità aziendale.

L'epicentro dell'analisi investigativa in materia concorsuale –è stato osservato– si è dunque spostato all'indietro, con conseguente aumento dei fatti e degli atti richiesti dell'attenzione del pubblico ministero che, dunque, viene oggi ad assumerne una nuova veste di controllore ed un rinnovato potere d'azione (De Flammineis, Il “nuovo” ruolo del p.m. tra crisi e perdita della continuità aziendale, Alcune osservazioni al Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, in Diritto Penale Contemporaneo).

Difatti, proprio nell'ottica del richiamato “controllo anticipato” il nuovo codice, ha, altresì, previsto nella fase di trattativa negoziale specifiche e nuove fattispecie di reato, ovvero:

- con riferimento alle fasi relative agli accordi di ristrutturazione ed al concordato preventivo, l'art. 341 punisce l'attribuzione da parte dell'imprenditore di attività inesistenti, ovvero, per influire sulla formazione delle maggioranze, la simulazione di crediti in tutto o in parte inesistenti.

- l'art. 342, invece, fa riferimento alle false attestazioni e relazioni dei professionisti indipendenti nelle medesime procedure.

- con riferimento alla composizione del sovraindebitamento ed ai reati posti in essere dai componenti dell'organismo di composizione della crisi, sono previste: “Sanzioni per il debitore e per i componenti dell'organismo di composizione della crisi” (art. 344) ed il reato di “Falso nelle attestazioni dei componenti dell'OCRI” (art. 345). Le condotte illecite descritte (in particolare nell'art. 344, comma 1, lett. a) e b) e comma 3 e nell'art. 345) si riferiscono ad ipotesi di frodi, patrimoniali e documentali, falsi documentali e falsità ideologiche di attestazione, che si inquadrano nell'ambito delle attività da compiersi nel corso della formulazione dei programmi di risanamento; invece, le condotte illecite di cui all'art. 344, comma 1, lett. c), d) ed e), riguardano la fase esecutiva di tali procedure di composizione della crisi.

Tuttavia, profilo pregnante è che il P.M. non è chiamato ad intervenire soltanto nella fase patologica del procedimento, essendo peraltro evidente l'esigenza di scongiurare il rischio che arrivi tardi, anche molto dopo l'eventuale danno provocato dalle condotte illecite sopradescritte dalle fattispecie agli interessi protetti (Gambardella, Il nuovo codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza: un primo sguardo ai riflessi in ambito penale, in Diritto penale contemporaneo).

Non pare, peraltro, possibile fornire una diversa lettura dell'impianto codicistico che consenta di attribuire al PM, oltre all'accertamento dei reati già consumati nel corso della procedura di componimento (fase patologica), un controllo in itinere.

Con riguardo alla procedura di composizione della crisi di cui agli artt. 18 e 19 CCII, nel caso di evoluzione patologica, ossia di un'anomala interruzione, è prevista, ai sensi dell'art. 22 , una segnalazione al P.M., ai fini dei poteri d'iniziativa di cui all'art. 38.

Il riferimento contenuto nell'art. 22 all'insolvenza dell'azienda sposta dunque il piano di analisi verso un'ipotesi concreta di decozione dell'attività imprenditoriale confermando che l'iniziativa del pubblico ministero è rivolta alla sola apertura della procedura della liquidazione giudiziale, che prende il posto della procedura di fallimento. Solo a questo punto, già patologico della vicenda della trattativa per la composizione della crisi, è previsto l'intervento del controllo del pubblico ministero che, a quel punto, dovrebbe andare a scandagliare tutte le condotte antecedenti al percorso di trattativa non andata a buon fine.

Limitato pare il potere di intervento del pubblico ministero nelle ipotesi in cui le trattative negoziali si concludano positivamente, ovvero quando viene concluso un accordo tra il debitore con i creditori coinvolti. In tali casi, infatti, il pubblico ministero potrebbe non venire affatto a conoscenza della situazione di crisi e degli accordi intrapresi tra le parti salvo il caso in cui dovesse sopraggiungere una situazione patologica e, quindi, ai sensi dell'art. 21, comma 4, CCII gli atti e i documenti prodotti nel corso delle trattative negoziali potrebbero “essere utilizzati (…) nell'ambito di un procedimento penale”.

Nel caso in cui la trattativa per la composizione della crisi non si concluda positivamente perché l'accordo con i creditori non viene raggiunto ma permane una situazione di crisi – e non di evidente insolvenza–, anche su invito del collegio (art. 21), il debitore può fare ricorso alle procedure regolatrici della crisi cui agli artt. 37 ss. CCII con conseguente intervento, solo successivo, della figura della pubblica accusa.

E' comunque il caso di chiedersi se non sia opportuno approfondire l'esigenza di fornire al pubblico ministero strumenti di controllo in itinere che gli consentano di apportare correttivi, in un processo fisiologico di monitoraggio delle situazioni di crisi, per dare concretezza alle opzioni di recupero della continuità aziendale ed alla finalità della riforma. Si tratta, in definitiva, di realizzare sinergie rafforzate e maggiormente qualificate per un accrescimento culturale e qualitativo del controllo pubblico sulle procedure concorsuali (De Flammines, Il “nuovo” ruolo del p.m. tra crisi e perdita della continuità aziendale, Alcune osservazioni al Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, cit.), tenendo conto che la crisi e l'insolvenza dell'impresa coinvolgono una pluralità ed eterogeneità di interessi che, di necessità, non consente di ricondurre le relative vicende ad una dimensione esclusivamente privatistica.

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