Grave infermità psichica del detenuto: possibile la detenzione domiciliare
24 Marzo 2022
Il Tribunale di sorveglianza di Catania rigettava l'istanza di differimento dell'esecuzione della pena per ragioni di salute nell'interesse di D.G.S, il quale stava espiando la pena di 25 anni di reclusione per omicidio e soppressione di cadavere. Secondo il giudice, infatti, sussisteva la compatibilità delle condizioni di salute del detenuto con il regime carcerario.
D.G.S. ricorre in Cassazione, denunciando l'inosservanza e l'erronea applicazione degli artt. 147 c.p. e 47-ter, comma 1-ter, ord.penit., nonché la mancanza e manifesta illogicità della motivazione relativamente alla «riconosciuta sussistenza dei presupposti per il differimento facoltativo dell'esecuzione della pena». Egli, quindi, lamenta che il Tribunale, nonostante l'evidente vulnerabilità, non ha preso in considerazioni le sue condizioni psichiche. Secondo il detenuto, inoltre, il giudice ha ingiustificatamente minimizzato le conclusioni della relazione sanitaria, posta a fondamento della decisione, secondo cui la protrazione della detenzione poteva essere pregiudizievole per le sue condizioni di salute.
La doglianza è fondata.
Secondo la previsione contenuta nell'art. 147, comma 1, c.p., il differimento facoltativo dell'esecuzione della pena può essere disposto nel caso in cui il condannato risulti affetto da una “grave infermità fisica” e, nella stessa ipotesi, l'art. 47-ter stabilisce che il Tribunale di sorveglianza possa applicare la detenzione domiciliare cd. “umanitaria”, nel caso in cui si debba contenere la pericolosità sociale del soggetto.
Al fine di verificare l'incompatibilità tra il regime carcerario e le condizioni di salute del soggetto interessato, è necessario però, in primo luogo, appurare «la compatibilità in astratto, tenendo conto dell'inquadramento nosografico della patologia che affligge il detenuto e della sua obiettiva gravità». In secondo luogo, bisogna accertare se la patologia possa essere adeguatamente gestita in rapporto alle caratteristiche dell'istituto o se sia possibile assicurare gli interventi diagnostico terapeutici attraverso il ricovero «in luogo esterno di cura». In ultimo, invece, si deve valutare se il differimento dell'esecuzione possa consentire al condannato di commettere nuovi reati. Un apprezzamento, quello sul rischio di recidiva, «che deve essere a sua volta realizzato tenendo conto di un ulteriore fattore, ovvero della possibilità, contemplata dall'art. 47-ter, comma 1-ter, ord.penit., di far luogo, ricorrendo alle condizioni per il differimento, all'applicazione della detenzione domiciliare speciale».
Secondo la Suprema Corte, però, l'ordinanza impugnata si è limitata a prendere atto di alcune valutazioni espresse nella relazione sanitaria senza confrontarsi con l'intero elaborato che evidenzia alcune criticità legate allo stato di età avanzata del detenuto, elemento di particolare importanza perché considerato dall'ordinamento da solo sufficiente per l'applicazione delle norme derogatorie in tema di detenzione carceraria. Infatti, l'art 47-ter, comma 1, lett. d), ord. penit. estende la possibilità di scontare la pena, non superiore a quattro anni, in regime di detenzione domiciliare ai soggetti di età superiore a sessanta anni anche solo parzialmente inabili, intendendosi per questi ultimi gli ultrasessantenni «in condizioni psico-fisiche di decadimento, non temporaneo tali da incidere sulla concreta possibilità di svolgere le ordinarie azioni della vita quotidiana […]» (Cass. n. 33339/2021). Inoltre, secondo la Suprema Corte sono state ignorate le condizioni psichiche del detenuto, nonostante «siano da sole rilevanti, ove assumano le caratteristiche di “grave infermità psichica”, per disporre l'applicazione al condannato della detenzione domiciliare anche in deroga ai limiti di cui al comma 1 dell'art. 47-ter comma 1-ter, ord.penit.» (Corte cost. n. 99/2019).
Per questi motivi, la Cassazione accoglie il ricorso.
Fonte: DirittoeGiustizia |