Il nuovo processo familiare. Brevi riflessioni su alcuni principi della legge delega n. 206/2021

Giulia Sarnari
29 Marzo 2022

La legge delega n. 206/2021 pubblicata il 9 dicembre 2021 ha riformato il processo della famiglia prevedendo un rito unico, veloce e snello. L'autrice, esamina alcuni dei tratti caratterizzanti tale nuovo modello processuale evidenziando che pur essendo definito da ampi poteri officiosi del giudice e da rigide preclusioni per le parti, viene inserito nel libro II del codice di procedura civile per essere attuato dal legislatore delegato nel rispetto dei principi del giusto processo.
La legge delega: il punto di equilibrio

In data 9 dicembre 2021 è stata pubblicata la legge n.206 che unitamente alla revisione del processo civile, riforma integralmente la giurisdizione dei diritti delle relazioni famigliari, delle persone e dei minori e le norme di procedura del rito familiare, istituendo il Tribunale per le persone, per i minorenni e per le famiglie e unificando i tanti riti oggi esistenti in unico rito come l'avvocatura specializzata chiedeva da tempo.

Per la formulazione di questo nuovo rito, il legislatore delega il governo che, entro un anno dalla pubblicazione della legge, dovrà definire le norme processuali sulla scorta dei principi e dei criteri espressi al comma 23.

Primariamente, il nuovo e unico rito dovrà essere sistematicamente collocato nel libro II del codice di procedura civile, dedicato al processo di cognizione e non più nel libro IV, dove il legislatore del ‘42 aveva posto il procedimento di separazione e i procedimenti camerali per la volontaria giurisdizione. Si tratta di una modifica significativa e non meramente formale, laddove l'inserimento nel libro IV del codice di procedura civile sui procedimenti speciali non aveva una accezione positiva, ma stava a indicare una deviazione dal processo contenzioso ordinario, con attenuazione del principio del diritto di difesa e del contraddittorio, perché i procedimenti speciali erano stati intesi dal legislatore del '42 “autentici modi di risolvere la lite più con la forza che con il diritto, strumenti di imperio più che di giustizia”(SATTA).

Tale modifica sistematica indica, dunque, il punto di bilanciamento sul quale il governo dovrà dare attuazione alla delega, contemperando gli ampi poteri officiosi del giudice (che il legislatore conferma per la tutela dei soggetti deboli) e le rigide preclusioni (che introduce per snellire la procedura e assicurare la tempestività delle decisioni), con il diritto di difesa e il diritto alla prova e al contraddittorio, propri del processo di cognizione, diritti questi ultimi che il legislatore delegato, a ben vedere, in più punti della delega si preoccupa espressamente siano assicurati dal governo nella fase attuativa, ogni volta che interviene ad attribuire poteri officiosi.

Si osserva, peraltro, che il legislatore pur attribuendo al giudice poteri officiosi ampi, gli consente anche di porsi con il nuovo rito in posizione di effettiva terzietà, in equidistanza da tutte le parti, che è ciò che dà garanzia di un giusto processo.

Infatti, il legislatore ha rivitalizzato il ruolo del PM (lettera b e lettera e) del comma 23), quale parte pubblica del processo che agisce a tutela dei soggetti deboli e ha ridefinito il ruolo del curatore speciale del minore, ampliando le fattispecie di obbligatorietà e di facoltà della sua nomina (comma 30 e 31) consentendo in tal modo al minore di essere una parte autonoma e attiva del nuovo rito, con propria legittimazione processuale.

La tutela della violenza domestica nel processo familiare

Un tratto caratterizzante il nuovo rito è la individuazione di strumenti processuali specifici per la tutela delle situazioni di violenza intra familiare come impone la Convenzione di Istanbul adottata per il contrasto alla violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica entrata in vigore in Italia con la legge n. 77/2013.

Con la legge n.206/2021 il legislatore ha affermato che la tutela delle donne vittime di violenza intra familiare deve attuarsi anche nel nuovo processo civile, che diviene, dunque, uno strumento per la emersione del fenomeno della violenza domestica e un luogo in cui deve e può essere intercettata e fermata.

Come già previsto da prassi virtuose di diversi tribunali e procure, il governo, in attuazione della delega, deve dettare le modalità di coordinamento tra il giudice civile e le altre autorità giudiziarie anche inquirenti, sia per l'accertamento anche in sede civile di eventuali fatti sottoposti all'accertamento del giudice penale, ma anche per far conoscere al giudice penale quanto si accerta in sede civile, spesso con uno spettro molto più ampio di conoscenza del contesto relazionale. In ogni caso, per dare una risposta di giustizia, che può essere anche solo civile o solo penale, ma che comunque sia coordinata.

Sotto questo profilo, la delega (lettera b, comma 23,) è molto generica e dunque massima attenzione dovrà essere data nell'attuazione alle modalità con cui dovrà concretizzarsi questo dialogo tra le due sedi giudiziarie, civile e penale, con attenzione alle garanzie di difesa di tutte le parti e al rispetto del contraddittorio, ogni qualvolta il giudice civile acquisisca dati e documenti dal giudice penale o dalle autorità di polizia giudiziaria e il PM agirà come parte processuale pubblica a tutela dei soggetti deboli.

Del resto, per tutelare quelle situazioni di pregiudizio imminente e irreparabile per le quali l'immediato contraddittorio può essere dannoso per la vittima di violenza, alla lettera f del comma 23, il legislatore ha previsto che il giudice possa assumere inaudita altera parte, con la instaurazione del contraddittorio in fase successiva, nel termine di 15 giorni per la conferma, la modifica o la revoca dei provvedimenti assunti.

Si evidenzia che in questi casi di pregiudizio grave e irreparabile, il legislatore dopo essersi assicurato di avere messo in sicurezza la vittima di violenza con un provvedimento inaudita altera parte, si preoccupa che il processo civile riprenda il suo corso e indica al legislatore delegato di disciplinare la seconda fase di instaurazione del contradditorio, seguendo le norme di garanzia già previste per il procedimento cautelare vigente.

Il legislatore prevede una serie di meccanismi processuali per evitare la c.d. vittimizzazione secondaria della vittima (termini processuali a comparire abbreviati, la CTU psicologica può essere disposta solo con provvedimento motivato e deve essere condotta con preciso rigore e con incarico ad un consulente con specifiche competenze, l'invito alla mediazione familiare è escluso (lettera f e lettera n, comma 23), il tentativo di conciliazione delle parti è escluso, ed anzi le parti devono comparire a udienze differite (lettera l e m, comma 23).

Ciò che sta facendo discutere diversi commentatori è che il legislatore abbia ritenuto sufficiente che per attivare questo sistema di protezione delle donne e dei minori vittime di violenza intra familiare all'interno del processo civile, siano bastevoli le mere “allegazioni” di violenza, sebbene il principio cardine del processo civile è che chi agisce in giudizio deve dare la prova del fatto posto a fondamento della pretesa azionata.

Sotto questo profilo occorre mutuare quanto si applica nel processo penale nel quale le sole dichiarazioni della vittima in assenza di riscontri di prova, costituiscono prova, a condizione che siano attendibili e sia effettuata una verifica adeguatamente motivata della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto (Cass. 12 ottobre 2018, n. 46218, ma anche da ultimo, Cass. 6 marzo 2020, n. 13016).

Su questo punto, attuata la riforma del nuovo processo familiare, si misurerà la specializzazione della avvocatura e della magistratura familiarista, perché non qualsiasi allegazione potrà costituire prova, ma anche nel processo civile familiare l'esercizio della difesa e il linguaggio dell'avvocatura si dovrà esprimere valorizzando la qualità oggettiva della narrazione, con descrizioni che siano analitiche e accurate, con attenzione alla attendibilità della parte e alla congruenza del racconto. E tanto più l'avvocatura esprimerà difese e la magistratura emetterà sentenze, scevre da pregiudizi e stereotipi, tanto più il nuovo processo familiare diventerà strumento efficace per la emersione e la tutela della violenza intra familiare, come il legislatore prescrive che sia.

Gli oneri difensivi nel nuovo modello processuale

Il nuovo processo inizia con una vocatio iudicis, (lettera f comma 23), con un ricorso e stringenti sono i tempi previsti dal legislatore per la fissazione della udienza, la notifica e la costituzione del resistente, il nuovo rito è pensato affinché il giudice possa decidere l'intero procedimento già alla prima udienza, in modo “snello” e “veloce”, proprio come chiedeva l'avvocatura specializzata. Se il processo deve continuare dopo la prima udienza, il giudice già alla prima udienza può adottare sentenza sullo status e comunque provvedimenti urgenti, disponendo la prosecuzione del giudizio, a seguito di un provvedimento sulla ammissibilità delle prove richieste dalle parti o disposte di ufficio.

Laddove il processo riguardi diritti disponibili il legislatore ha previsto delle preclusioni stringenti, sin dall'inizio del giudizio e il thema decidendum e il thema probandum devono essere perfezionati nel ricorso e nella comparsa di costituzione in tempi brevissimi di comparizione.

Sembra chiaro che la domanda di assegno ex art. 156 o la domanda di assegno ex art. 5 della legge sul divorzio e la domanda di addebito debbano essere introdotte, dunque, a pena di decadenza con il ricorso o con la comparsa di costituzione e risposta.

Si tratta di una significativa caratterizzazione di questo processo familiare molto onerosa per le parti e i difensori, che tuttavia è dettata dalla necessità della attuazione di una tutela urgente. Il legislatore ha previsto (lettera i, comma 23) che il ricorrente possa espletare ulteriori difese e modificare domande e proporre nuove prove e depositare documentazione a seguito della domanda del resistente e ciò sembra andrà fatto in un termine che sarà indicato dal governo, ma che sia precedente la prima udienza, giacché è previsto che a tale prima ed unica udienza il giudice decida che corso dare alla causa. Della previsione di una seconda udienza “preliminare” non sembra vi sia spazio nella delega.

Al riguardo è auspicabile che il legislatore delegato sia molto chiaro anche in punto di reconventio reconventionis se sia ammissibile e per quali domande (se per la sola domanda di addebito o anche per quella di assegno ex art 156 c.c. e ex art. 5 della legge sul divorzio).

È evidente che la ratio di questa regola si comprende solo vista la necessità di tutela di urgenza insita nei diritti delle relazioni famigliari, delle persone e dei minori, tuttavia è innegabile che il legislatore delegato dovrà essere molto accorto su questo punto e prevedere tempi serrati di difesa sì, ma anche efficaci garanzie del contraddittorio e valutare anche che se concesso un termine a difesa al ricorrente, dovrà, per la regolarità del contraddittorio, essere previsto un successivo termine anche al resistente, affinché il contraddittorio sia equo.

La lettera i) comma 23 del resto è sufficientemente ampia per prevedere un meccanismo processuale che contemperi la necessità dell'urgenza con il diritto di difesa e che riconosca alle parti termini a difesa anche a fronte delle iniziative del PM e del curatore del minore.

Peraltro, il legislatore ha previsto che possono sempre essere introdotte domande nuove in presenza di fatti nuovi sopravvenuti e di nuovi accertamenti istruttori.

Il legislatore ha previsto che sia il primo provvedimento provvisorio che il giudice adotta alla prima udienza, che i provvedimenti che adotta nel prosieguo della causa in presenza di fatti nuovi sopravvenuti, possano0 essere reclamati dinanzi al collegio con termini molto stringenti anche decisori (viene così meno l'attuale mezzo di reclamo in Corte di Appello dei soli provvedimenti presidenziali ex art. 708 c.p.c.).

Terminata l'istruttoria, non è prevista discussione orale, ma scritti difensivi conclusivi.

Il legislatore ha previsto un termine di 60 giorni per il deposito della sentenza, non ha invece previsto alcun termine per la fissazione dell'udienza di rimessione della causa in decisione, una volta definita l'istruttoria, e ciò appare un vulnus nel ritmo serrato dato dal legislatore per la definizione del giudizio con urgenza, per cui il legislatore delegato dovrà prevedere termini coerenti con quelli stringenti previsti per la fase iniziale del giudizio, anche per questa fase conclusiva.

Tenuto conto del rigido sistema delle preclusioni appare incongruente il rinvio, quando la istruttoria si è conclusa, ad una udienza di rimessione della causa in decisione.

Laddove la controversia riguarda figli minori o maggiorenni portatori di handicap, ampi sono i poteri di ufficio del giudice, decisori ed istruttori (lettera t comma 23), ma il legislatore evidenzia che il provvedimento è nullo se non è assicurato il contradditorio.

Il legislatore afferma che il giudice può disporre d'ufficio mezzi di prova a tutela dei minori e delle vittime di violenza “anche al di fuori dei limiti stabiliti dal codice civile” (sempre tuttavia garantendo il contraddittorio).

Tale affermazione desta molte perplessità, anche perché appaiono inimmaginabili ulteriori mezzi di prova rispetto a quelli del processo ordinario di cognizione e di quelli tipici del processo famigliare. Nell'esercizio della delega il legislatore dovrà tenere conto che come detto il nuovo processo famigliare è inserito nel libro II del codice di procedura civile dedicato al processo di cognizione fondato sul principio del giusto processo e che in questo contesto di giustizia, non già di imperio, è impensabile conferire al giudice poteri istruttori creativi, illimitati e insindacabili.

Probabilmente con tale disposizione il legislatore ha inteso specificare che il giudice sino a che non ha deciso la causa, anche definita la fase istruttoria, laddove sorge la necessità di accertare una situazione nell'interesse del minore o di una vittima di violenza (ad esempio su indicazione della procura e per fatti nuovi sopravvenuti dedotti dalle parti e dal curatore del minore), può sempre di ufficio riaprire l'istruttoria. Altre letture, come detto, appaiono inconciliabili con i principi del processo civile di cui al libro II del codice di procedura civile nel quale sarà inserito il nuovo rito.

L'ascolto del minore

È di grande importanza che il legislatore abbia specificato che l'ascolto del minore debba essere effettuato dal giudice direttamente e ove ritenuto necessario con l'ausilio di un esperto, e ciò chiarisce definitivamente che l'esperto possa solo coadiuvare il giudice non essere da lui delegato. Il legislatore specifica anche che l'ascolto del minore sia sempre videoregistrato.

Tale indicazione è significativa, perché cristallizza un momento processuale importante del processo a salvaguardia del diritto di difesa di tutte le parti.

L'ascolto del minore infatti è stato definito un atto istruttorio, sia pur distinto da tutti gli altri, un vero e proprio nuovo “momento formale del procedimento” (Carbone, Cass. 5 marzo 2014, n. 5097), caratterizzante il processo familiare che fa parte dell'istruttoria, perché contribuisce a dare al giudice un elemento fondamentale di comprensione.

Si evidenzia anche che la lettera dd) comma 23 prevede che tutta la disciplina dell'ascolto del minore sia revisionata: auspicabile che tale revisione, da un punto di vista strettamente processuale, assicuri che l'esercizio del diritto di difesa, che non può essere impedito in alcun “momento” del processo, non sia sospeso in occasione di detto incombente con un passo in avanti rispetto a quanto affermato dall'art. 336-bis c.c. e con formalizzazione della fase processuale volta alla proposta di argomenti e temi di approfondimento prima dell'inizio dell'ascolto.

La disclosure

Il legislatore ha previsto che le parti, anche se non vi sono minori, devono sempre depositare le denunce dei redditi degli ultimi tre anni, documentazione attestante la disponibilità mobiliari, immobiliari e finanziarie degli ultimi tre anni. Tale norma prende le mosse dalla prassi giudiziaria di molti tribunali che con il provvedimento di vocatio in ius impongono da oltre un decennio tale obbligo di trasparenza, sulla scorta del principio che prevede che nel processo familiare vi sia non solo l'obbligo della partecipazione, ma anche l'obbligo di dire la verità con lealtà e trasparenza. Anche questo è un tratto distintivo tipico del processo famigliare, perché nel processo ordinario le parti hanno il diritto non solo di non parlare, ma anche di non dire la verità.

L'obbligo della disclosure laddove si verte di diritti disponibili, è la perpetrazione di quei poteri officiosi che il legislatore con l'art. 5 della legge sul divorzio ha affermato per la prima volta destando disappunto e a ben vedere sotto questo profilo si é persa un' occasione per dare ordine alla materia, laddove è incongruente che domande soggette alla disponibilità delle parti, quali quella di assegno coniugale e di assegno divorzile, siano soggette ad accertamenti officiosi, a meno che non ricorrano ipotesi di violenza economica che la Convenzione di Istanbul prevede e contrasta.

L'attuazione dei provvedimenti

I provvedimenti provvisori che costituiscono titolo esecutivo e di iscrizione di ipoteca, mantengono la loro efficacia in caso di estinzione del processo, devono contenere la disciplina delle forme di controllo nel corso del giudizio (lettera u, comma 23).

Tale prescrizione deve essere letta unitamente a quella di cui alla lettera mm) del comma 23 che prevede il riordino della disciplina dell'attuale all'art. 709-ter c.p.c. con la previsione che siano adottati anche di ufficio provvedimenti ex art. 614-bis c.p.c. in caso di inadempimenti di obblighi di fare e di non fare anche quando relativi ai minori e con la previsione della seconda parte della lettera ff, comma 23, che prevede che il giudice con apposita udienza e nel contraddittorio delle parti adotti le modalità di esecuzione dei provvedimenti relativi ai minori prevedendo determinate e specifiche prescrizioni con contenimento della attività dei servizi sociali e della forza pubblica.

Si tratta di norme che rispondono ad un unico principio della delega che è quello di prevedere un modello unitario di attuazione dei provvedimenti in materia di minori, demandando direttamente al giudice che ha adottato il provvedimento, il controllo, la risoluzione delle questioni che sorgono in sede attuativa e le eventuali contestazioni per un definitivo superamento alla tradizionale dicotomia titolo esecutivo - esecuzione, con affidamento al giudice autore del provvedimento di affidamento, il quale è opportuno detti anche le relative modalità di concreta attuazione.

Queste diverse norme dovranno portare alla identificazione di una procedura unica di attuazione dei provvedimenti sotto il controllo del giudice che ha adottato il provvedimento, con misure che dovranno essere assunte sempre nel rispetto del contraddittorio, nel rispetto della salvaguardia della salute psicofisica del minore. Il legislatore prevede espressamente che l'uso della forza pubblica per l'attuazione del provvedimento è consentito solo in casi rarissimi e comunque sostenuto da adeguata e specifica motivazione. Laddove intervengano i servizi sociali, se questi esplicano attività di accertamento oltre che di monitoraggio e controllo, il legislatore prevede che le parti abbiano visione delle relazioni, (lettera ff) comma 23). Tale previsione deve essere integrata in sede attuativa, con la concreta espressione del diritto di difesa e laddove i servizi sociali esprimano valutazioni, la parte deve poter esprimere la propria valutazione come in corso di CTU e nel rispetto che anche in CTU viene dato al principio del contraddittorio.

La unificazione del processo di separazione e del processo di divorzio

La legge n. 206/2021 comma 23 lettera bb) stabilisce che nel processo di separazione tanto il ricorrente quanto il convenuto possano proporre domanda, sempre che sia passata in giudicato la sentenza sullo status della separazione, sia rispettato il termine di cui all'art. 3 della legge 1° dicembre 1970 n.898 e che sia ammissibile la riunione dei procedimenti aventi ad oggetto queste domande qualora pendenti tra le parti dinanzi allo stesso tribunale, assicurando in entrambi i casi l'autonomia dei diversi capi della sentenza con la specificazione della decorrenza e dei relativi effetti. Tale norma ha una portata innovativa davvero significativa ed è stata pensata per porre fine alla vexata questio della sovrapposizione del giudizio di divorzio a quello di separazione ancora pendente per le domande accessorie, sovrapposizione divenuta sempre più frequente a seguito della legge sul divorzio breve n. 55/2015.

La norma tuttavia è molto generica. Sembra che tale domanda possa essere introdotta non già all'inizio con la domanda di separazione, ma “nel processo” di separazione, in qualsiasi stato dello stesso, ma dopo la emanazione della sentenza sullo status di separazione passata in giudicato.

Tuttavia si può osservare che le parti sono “nel processo” sin dal momento della sua incardinazione e poiché il legislatore ha previsto che con il nuovo rito il giudice alla prima udienza (lettera q) comma 23) qualora la causa debba continuare per le domande accessorie decide già sullo status della separazione, sarebbe opportuno, per una effettiva accelerazione, prevedere che già con gli atti introduttivi del giudizio di separazione le parti possano formulare domanda di divorzio e domande accessorie alla statuizione di divorzio ed istruirle, sulla scorta del principio per cui è sufficiente che la pronuncia sullo status della separazione sussista al momento in cui sia emessa la sentenza sullo status del divorzio.

La Cassazione in tal senso si è già espressa e in tema di giudizio di divisione della comunione legale dei beni, aveva chiarito che lo status della separazione non costituisce condizione di procedibilità, ma condizione dell'azione (Cass. 26 febbraio 2010 n. 4757).

In conclusione

G. Sapi, A. Simeone, Il nuovo processo per le famiglie e i minori, Milano, Giuffrè 2022;

A. Simeone, Riforma del processo civile: per la famiglia riforma in tre tappe, in ilFamiliarista;

G. Sarnari, L'esigenza di riforma dei procedimenti di famiglia: un procedimento con rito unico snello e veloce, in Rivista AIAF, 1/2010, 58;

A. Cecatiello, Il curatore speciale alla luce delle modifiche della riforma del processo civile: il minore al centro, in ilFamiliarista;

G. Scarselli, in www.giustiziainsieme.it, 15/12/21;

D. Passaro, Le dichiarazioni della persona offesa nel filtro della credibilità: la verità processuale oltre ogni ragionevole dubbio, in www.giustiziainsime.it, 16/11/20;

L. Massida, Giudizi e Pregiudizi, Bias di genere nella rappresentazione giuridica della violenza di genere, in www.progetto step.it.

F. Lepri, La vexata quaestio dell'esecuzione dei provvedimentio giudiziari di affidamento del minore: spunti per un modello unificato di attuazione, in Rivista AIAF, 3/2012, 12.

G. Dosi, Il giusto processo di famiglia: l'esigenza di un nuovo e unitario processo familiare, in www.studigiuridici.it.

Sommario