Motivi aggiunti impropri e istanza di fissazione di udienza e interruzione del termine di perenzione

Adriana Presti
30 Marzo 2022

La perenzione dell'intero giudizio, e non già del solo ricorso, dovuta alla presentazione della istanza di fissazione oltre il termine massimo, va dunque collegata al carattere unitario del processo, formato dal ricorso introduttivo e dai motivi aggiunti, propri e impropri, non potendo distinguersi, all'interno di un unico processo, una perenzione del ricorso originario da una perenzione dei motivi aggiunti.

Il caso. Nell'ambito di un contenzioso già instaurato dinanzi al TAR Catania venivano depositati due ricorsi per motivi aggiunti, con i quali veniva chiesto l'annullamento di una serie di provvedimenti sopravvenuti e connessi con l'oggetto del ricorso introduttivo.

La ricorrente, che non aveva depositato istanza di fissazione contestualmente al ricorso introduttivo, provvedeva a tale adempimento solo a seguito della proposizione dei primi motivi aggiunti.

Con decreto n. 585 del 3 marzo 2021 veniva dichiarato perento il ricorso ed i successivi motivi aggiunti. Il tutto considerato che:

- secondo l'art. 23, c. 1, l. 1034/1971, applicabile ratione temporis, l'istanza di fissazione dell'udienza va presentata entro il termine massimo di due anni dal deposito del ricorso,

- il ricorso era stato depositato il 26 gennaio 2009 e la domanda di fissazione dell'udienza di discussione è stata depositata (tardivamente) il 29 aprile 2011.

Con ordinanza collegiale, il medesimo TAR rigettava l'opposizione, confermando la perenzione decretata in precedenza, con riferimento tanto al ricorso introduttivo, quanto ai successivi motivi sebbene qualificati dalla ricorrente come “impropri” sull'assunto che l'istanza di fissazione dell'udienza di discussione, depositata pur dopo il deposito dei motivi aggiunti, fosse riferibile in via esclusiva al ricorso introduttivo, e non anche ai motivi aggiunti, limitandosi ad elencare solo gli atti impugnati col ricorso introduttivo, e a chiedere la fissazione dell'udienza di discussione del suddetto ricorso, senza fare riferimento alcuno ai ricorsi per motivi aggiunti, che in quanto impropri, i. e. “autonomi”, perché contenenti domande nuove, avrebbero dovuto essere seguiti da una autonoma domanda di fissazione dell'udienza di discussione, che ad essi doveva fare espresso riferimento: dal che, la decisione di conferma della perenzione dell'intero giudizio.

Avverso il provvedimento sopra riassunto veniva proposto gravame con riguardo esclusivamente ai motivi aggiunti.

La soluzione. Il Collegio, nel confermare l'ordinanza di primo grado con il decreto presidenziale di perenzione, ha ritenuto che in presenza di una istanza di fissazione tardiva, “ultra-biennale”, in violazione dell'art. 23, comma 1, l. n. 1034/1971, norma vigente “ratione temporis”, non si potrebbe avere un “salvataggio”, dei soli motivi aggiunti, dalla pronuncia, esiziale, di perenzione: si intende, qualora, sempre in tesi, sia trascorso meno di un biennio tra istanza di fissazione e deposito dei motivi aggiunti. Questo perché la perenzione, quantunque le norme che la prevedono, così come numerose altre, facciano improprio riferimento, per tradizione, ai ricorsi, è, con tutta evidenza, una causa di estinzione del processo, non già del solo ricorso, come ora indica correttamente l'art. 35 comma 2 c.p.a.

Il ricorso per motivi aggiunti, pur avendo l'autonomia di una domanda nuova rispetto al ricorso principale quanto ai presupposti processuali, inerisce allo stesso processo, atteso che la sua ragion d'essere è quella di consentire alle parti di proporre nello stesso processo domande relative ad atti connessi.

Pertanto, la perenzione, di cui nel caso di specie ricorrono i presupposti (l'istanza di fissazione di udienza era stata presentata oltre il termine massimo di due anni dal deposito del ricorso principale), determina l'estinzione del processo e quindi l'inefficacia anche dei ricorsi per motivi aggiunti.

La perenzione dell'intero giudizio, e non già del solo ricorso, dovuta alla presentazione della istanza di fissazione oltre il termine massimo di due anni (un anno, ex art. 71, comma 1, del c.p.a.), va dunque collegata al carattere unitario del processo, formato dal ricorso introduttivo e dai motivi aggiunti, propri e impropri, non potendo distinguersi, all'interno di un unico processo, una perenzione del ricorso originario da una perenzione dei motivi aggiunti.

La riferibilità della istanza di fissazione all'intero giudizio, formato da ricorso e motivi aggiunti, non implica che il biennio - ex art. 23 l. n. 1034/1971, vigente all'epoca - da far maturare per la declaratoria di perenzione, vada fatto decorrere dalle date dei depositi dei motivi aggiunti (impropri).

Osta a tale tesi la considerazione che a interrompere il maturare del termine di perenzione di un giudizio non basta un qualsivoglia atto di impulso processuale – nemmeno se si tratti dei motivi aggiunti di ricorso – , essendo sempre indispensabile l'atto specifico a ciò deputato, che è l'istanza di fissazione dell'udienza (Cons. St., n. 3911/2013 2411/2020). E come il deposito del solo ricorso, senza istanza di fissazione, non impedisce la perenzione, così non la impedisce il deposito dei motivi aggiunti, se l'istanza di fissazione (che è unitaria) è tardiva, come nella specie.