Improcedibilità dell'opposizione a d.i. per tardiva costituzione dell'opponente: possibile la deduzione in appello quale unico motivo di gravame?

05 Aprile 2022

Il principio, secondo cui è inammissibile, per difetto di interesse, l'appello principale con cui si denuncino vizi processuali senza censurare la decisione sul merito della controversia, non opera quando la questione preliminare di rito proposta attenga all'improcedibilità dell'opposizione a decreto ingiuntivo per tardiva costituzione dell'opponente.
Massima

Il principio, secondo cui è inammissibile, per difetto di interesse, l'appello principale con cui si denuncino vizi processuali senza censurare la decisione sul merito della controversia, non opera quando la questione preliminare di rito proposta attenga alla improcedibilità dell'opposizione a decreto ingiuntivo per tardiva costituzione dell'opponente, atteso che tale accertamento non incide soltanto, in via diretta, sul giudizio di opposizione, comportandone la declaratoria di improcedibilità, ma anche, in via riflessa, sul diritto di credito fatto valere col provvedimento monitorio, determinando la sua definitività e, di conseguenza, l'incontestabilità della pretesa creditoria dell'opposto, sicché quest'ultimo ha interesse ad ottenere una pronuncia sul punto, ancorché svincolata dalla decisione sul merito della controversia, non potendo il giudice del gravame, una volta ritenuta fondata l'eccezione, accedere all'esame del merito.

Il caso

La Alfa s.p.a. proponeva appello per la riforma della decisione del Tribunale di Roma che aveva revocato il decreto ingiuntivo emesso su sua richiesta nei confronti della Società Beta s.r.l. contestando, in particolare, la decisione impugnata nella parte in cui aveva rigettato la propria eccezione di improcedibilità dell'opposizione, per avere l'opponente assegnato un termine di comparizione inferiore a quello legale – ai sensi dell'art. 645 c.p.c. nella formulazione ratione temporis vigente - e quindi essersi costituita iscrivendo la causa al ruolo oltre il termine di 5 giorni previsto dall'art. 165 c.p.c. in presenza di termini abbreviati. La Beta srl resisteva al gravame, proponendo, a sua volta, appello incidentale avverso il capo della decisione che aveva rigettato la propria domanda di risarcimento dei danni per l'inadempimento della controparte. Con sentenza n. 1939/2016, la Corte di appello di Roma dichiarava inammissibile l'appello principale e quello incidentale, rilevando, quanto al primo, che la parte aveva limitato il gravame esclusivamente al rigetto dell'eccezione di improcedibilità del decreto ingiuntivo, senza formulare alcuna doglianza avverso la pronuncia di merito, con conseguente difetto di interesse all'accoglimento dell'impugnazione. La dichiarazione di inammissibilità dell'appello principale travolgeva quello incidentale ai sensi dell'art. 334 c.p.c., essendo le censure in quest'ultimo sollevate strettamente dipendenti e collegate con l'oggetto del primo. Avverso la predetta decisione interponeva ricorso per Cassazione la Alfa spa, eccependo, quale unico motivo, la violazione degli artt. 165 e 645 c.p.c., in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., non avendo il giudice di appello considerato, nel dichiarare il difetto di interesse dell'appellante, che l'accoglimento del motivo in rito articolato, diretto ad ottenere la dichiarazione di improcedibilità dell'opposizione a decreto ingiuntivo proposta dalla Beta srl, avrebbe comportato la definitività del decreto ingiuntivo e quindi il consolidarsi della pretesa creditoria con esso fatta valere.

Il motivo era giudicato fondato dalla Suprema Corte.

La questione

Va premesso che la il processo di merito si svolgeva nella vigenza della formulazione dell'art. 645, comma 2, c.p.c. antecedente alle modifiche apportate dalla l. 218/2011 e ai sensi della quale «in seguito all'opposizione il giudizio si svolge secondo le norme del procedimento ordinario davanti al giudice adito ma i termini di comparizione sono ridotti a metà». La norma predetta era interpretata, in maniera pressoché unanime, nel senso che qualora l'opponente si fosse concretamente avvalso – e solo in quel caso - della facoltà di dimidiazione del termine a comparire, avrebbe avuto l'onere, in forza del disposto dell'art. 165 c.p.c., di iscrivere a ruolo la causa nel termine di cinque giorni dalla notifica della citazione, pena l'improcedibilità dell'opposizione (ciò fino all'intervento delle Sezioni Unite, le quali, con la sentenza n. 19246/2010, avevano chiarito che la previsione della riduzione a metà dei termini a comparire, stabilita nell'art. 645, comma 2, c.p.c., determinava il dimezzamento automatico dei termini di comparizione dell'opposto e dei termini di costituzione dell'opponente, discendendo tale duplice automatismo della mera proposizione dell'opposizione; l'impatto di simile interpretazione sui procedimenti pendenti provocava l'intervento del legislatore, il quale, con la l. 218/2011, da un lato sopprimeva, per i giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo introdotti successivamente la sua entrata in vigore, la previsione della dimidiazione dei termini di comparizione, dall'altro precisava, con disposizione di natura transitoria, che «nei procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della presente legge, l'art. 165, comma 1, del codice di procedura civile si interpreta nel senso che la riduzione del termine di costituzione dell'attore ivi prevista si applica, nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo, solo se l'opponente abbia assegnato all'opposto un termine di comparizione inferiore a quello di cui all'art. 163-bis, comma 1, del medesimo codice»).

Le soluzioni giuridiche

Nel caso all'esame della Suprema Corte nella pronuncia in commento, l'opponente in primo grado si era avvalso della facoltà di dimidiazione dei termini a comparire, assegnando all'opposto con la citazione un termine di comparizione di 38 giorni, inferiore a quello di 60 giorni ratione temporis previsto dall'art. 163-bis c.p.c. In forza del disposto dell'art. 165 c.p.c. la parte avrebbe dovuto quindi iscrivere a ruolo il giudizio nel termine di cinque giorni dalla notifica della citazione. Non essendo ciò avvenuto, l'opposto aveva eccepito l'improcedibilità dell'opposizione, con censura disattesa dal giudice di primo grado. Avverso la relativa statuizione l'opposto aveva proposto appello, formulando, quale unico motivo di gravame, l'errore commesso dal giudice di prime cure nel non dichiarare improcedibile l'opposizione. Il giudice del gravame, tuttavia, aveva dichiarato l'appello inammissibile per carenza di interesse, facendo applicazione dell'orientamento ermeneutico in forza del quale l'appellante che si limiti a denunziare vizi processuali senza censurare la decisione che abbia deciso il merito della controversia in senso sfavorevole, alcun effetto utile può ottenere dall'impugnazione, atteso che il riscontro positivo dei vizi denunciati, tranne i casi tassativamente determinati in cui il vizio ha l'effetto di far retrocedere il processo restituendolo al primo grado, non esime comunque il giudice di appello dal decidere il merito della controversia, decisione che, a sua volta, il giudice del gravame si troverebbe nell'impossibilità di adottare, non essendo stato investito da specifici motivi.

Secondo la Suprema Corte, tuttavia, l'orientamento in questione non può trovare applicazione in materia di opposizione a decreto ingiuntivo, in quanto, a fronte della declaratoria di improcedibilità dell'opposizione, il decreto ingiuntivo è destinato ad acquisire carattere di definitività, senza necessità di pronuncia sul merito. Da qui il principio di diritto in forza del quale «laddove l'atto di appello si limiti a denunziare una causa di improcedibilità della domanda, nella specie di opposizione a decreto ingiuntivo, l'appellante mantiene intatto il suo interesse alla decisione della impugnazione, avendo posto una questione in grado di definire il giudizio senza pronuncia sul merito».

Osservazioni

E' pacifico, in materia di impugnazione, che, nel rispetto dei principi di economia processuale, di ragionevole durata del processo e di interesse ad agire, l'ammissibilità del gravame consegue alla possibilità per l'impugnante di ottenere una pronuncia diversa e più favorevole a quella impugnata, posto che l'impugnazione non tutela l'astratta regolarità dell'attività giudiziaria ma mira ad eliminare il concreto pregiudizio subito dalla parte (tra le tante, si vedano Cass. civ., Sez. III, sent., 8 ottobre 2021, n. 27419; Cass. civ., sez. I, sent., 9 agosto 2017, n. 19759). L'impugnazione con cui l'appellante deduca esclusivamente vizi di rito avverso una pronuncia che abbia deciso in senso a lui sfavorevole anche nel merito è, quindi, di regola ammissibile solo qualora i vizi in parola comportino, se fondati, la rimessione al primo giudice ex artt. 353 e 354 c.p.c.. Al di fuori di tali casi, l'appellante, a pena di inammissibilità del gravame per carenza di interesse, è tenuto a dedurre, contestualmente a quelle di rito, anche le questioni di merito a sé favorevoli, non potendo altrimenti avere alcun effetto utile dalla decisione (Cass. civ., Sez. VI, ord., 10 gennaio 2019, n. 402).

Tale consolidato orientamento ermeneutico deve, tuttavia, confrontarsi con le peculiari caratteristiche del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.

Benché, infatti, come chiarito anche di recente dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass. civ., sez. un., sent., 13 gennaio 2022, n. 927) l'opposizione a decreto ingiuntivo non sia una "actio nullitatis" o un'azione di impugnativa nei confronti dell'emessa ingiunzione, bensì un ordinario giudizio sulla domanda del creditore sottesa all'originario ricorso monitorio, essa conserva delle regole sue proprie, non solo in ragione della possibilità di ottenere in corso di causa la concessione /sospensione della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo opposto (artt. 648 e 649 c.p.c.), ma anche in punto di oneri processuali che fanno capo all'opponente il quale, anche se convenuto in senso sostanziale, è attore dal punto di vista formale e ha l'obbligo di dare impulso al processo con la notifica dell'atto introduttivo e l'iscrizione a ruolo dell'opposizione, stabilizzandosi, altrimenti, il provvedimento monitorio ai sensi dell'art. 647 c.p.c.

All'ipotesi di mancata costituzione in giudizio dell'opponente la giurisprudenza parifica, in punto di conseguenze, la tardiva costituzione, rispetto al termine fissato dall'art. 165 c.p.c., sicché, in simile ipotesi, l'opposizione dovrà essere, anche d'ufficio, dichiarata improcedibile e il giudice dovrà dichiarare definitivamente esecutivo il provvedimento monitorio opposto (Cass. civ., sez. III, sent., 6 giugno 2006, n. 13252).

Del tutto corretta appare, quindi, la deduzione dei giudici di legittimità secondo cui la dichiarazione di improcedibilità dell'opposizione per tardiva costituzione dell'opponente è destinata ad incidere, non soltanto, in via diretta, sul giudizio di opposizione, ma anche, in via riflessa, sul diritto di credito fatto valere col provvedimento monitorio, determinando, tale statuizione, la definitività del decreto ingiuntivo opposto e, di conseguenza, l'incontestabilità della pretesa creditoria dell'attore in senso sostanziale. Da tale principio discende la conseguenza per cui l'opposto, anche in appello, ha sempre (nei limiti, evidentemente, del giudicato interno) interesse ad ottenere una pronuncia di improcedibilità dell'opposizione, ancorché svincolata dalla decisione sul merito della controversia, non potendo il giudice del gravame, una volta ritenuta fondata l'eccezione, accedere all'esame del merito dell'opposizione, con conseguente possibilità per l'appellante di articolare il vizio processuale anche quale unico motivo di gravame.

Riferimenti

Sulle conseguenze della tardiva costituzione a ruolo dell'opponente nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo si vedano Cass. civ., sez. I, sent., 27 novembre 1998, n. 12044; Cass. civ., sez. I, sent., 22 giugno 1999, n. 6304; Cass. civ., sez. I, ord., 4 settembre 2004, n. 17915; Cass. civ., sez. I, sent., 8 marzo 2005, n. 5039; Cass. civ., sez. III, 3 luglio 2008, n. 18203; nonché Cass. civ., sez. un., sent., 9 settembre 2010, n. 19246.

Sull'interesse a proporre appello al fine di dedurre vizi meramente procedurali del giudizio di primo grado, non implicanti regressione al primo giudice, si veda Cass. civ., sez. VI, ord., 10 gennaio 2019, n. 402.