ll reclamo di cui all'art. 630, comma 3, c.p.c. è atto endoprocessuale soggetto alla disciplina dell'obbligatorio deposito telematico?

Sergio Matteini Chiari
07 Aprile 2022

Le Sezioni Unite hanno chiarito che il reclamo ex art. 630, comma 3, c.p.c. avverso provvedimento di estinzione del processo esecutivo non è atto endoprocessuale, bensì atto introduttivo di nuova fase di giudizio, e non è, pertanto, soggetto alla disciplina del deposito telematico obbligatorio ai sensi dell'art.16-bis, comma 1, d.l. 179/2012, convertito, con modificazioni, nella l. 221/2012.
Massima

Il reclamo ex art. 630, comma 3, c.p.c. avverso provvedimento di estinzione del processo esecutivo non è atto endoprocessuale, bensì atto introduttivo di nuova fase di giudizio, e non è, pertanto, soggetto alla disciplina del deposito telematico obbligatorio ai sensi dell'art.16-bis, comma 1, d.l. 179/2012, convertito con modificazioni nella l. 221/2012.

Il caso

Nell'ambito di una procedura esecutiva immobiliare le parti concordavano sospensione ai sensi dell'art. 624-bis, comma 1, c.p.c..

Successivamente, ad istanza dei debitori esecutati ed ai sensi dell'art. 630, comma 2, c.p.c., il G.E. dichiarava l'estinzione della procedura per inattività delle parti, ordinando procedersi alla cancellazione del pignoramento.

Il creditore procedente ed alcuni dei creditori intervenuti proponevano reclamo avverso tale provvedimento, ai sensi dell'art. 630, comma 3, c.p.c., e, nell'ambito della relativa procedura, i debitori esecutati eccepivano l'inammissibilità del reclamo giacché non depositato telematicamente ma in forma cartacea.

Il Collegio adito accoglieva il reclamo.

Tale pronuncia veniva confermata in sede di appello.

Con riguardo all'eccezione proposta dai debitori esecutati, la Corte di merito rilevava che, pur avendo natura di atto endoprocessuale, il reclamo instaura una fase incidentale di cognizione nell'ambito del processo di esecuzione, «in tal modo introducendo un nuovo procedimento che viene autonomamente iscritto a ruolo». Pertanto, doveva ritenersi che la presentazione di tale tipologia di atto in forma telematica fosse facoltativa e non obbligatoria e che, in ogni caso, in assenza di una espressa comminatoria di inammissibilità ed in base al principio di conservazione degli atti nulli, la relativa nullità si sarebbe dovuta ritenere sanata dal raggiungimento dello scopo dell'atto, posto che il reclamo, sebbene espresso in forma cartacea, aveva consentito la regolare instaurazione del contraddittorio.

Avverso tale pronuncia i debitori esecutati proponevano ricorso per cassazione.

Con ordinanza interlocutoria 21 luglio 2021, n. 20844, la Sez. III della Suprema Corte, ritenendo che il ricorso avesse prospettato una questione di particolare importanza, consistente nella necessità di verificare se il reclamo al Collegio, di cui all'art. 630, comma 3, codice di rito, dovesse essere considerato come atto introduttivo di un autonomo procedimento contenzioso e, pertanto, escluso dall'obbligo di proposizione in via telematica o, in alternativa, quale atto inserentesi nel procedimento esecutivo già iniziato e, in tal caso, con la necessità di utilizzare la forma telematica, rimetteva gli atti al Primo Presidente, che disponeva l'assegnazione alle Sezioni Unite.

La questione

Alle Sezioni Unite è stata rimessa la questione di identificare la natura del reclamo ex art. 630, comma 3, c.p.c., se di atto endoprocessuale oppure di atto introduttivo di un autonomo procedimento contenzioso, onde stabilire se esso dovesse essere obbligatoriamente proposto in formato telematico oppure – come avvenuto nel caso di specie – anche in forma cartacea.

Le soluzioni giuridiche

i) Con il motivo recante la proposizione della questione ritenuta di particolare importanza dalla Sezione remittente, i ricorrenti denunciavano violazione e (o) falsa applicazione degli artt. 630, comma 3, e 178, commi 3, 4 e 5, c.p.c., dell'art. 16-bis, comma 2, d.l. 179/2012, convertito con modificazioni nella l. 221/2012, e degli artt. 121 e 156, commi 1 e 3, c.p.c., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, del medesimo codice.

A supporto, i ricorrenti deducevano che al reclamo avverso l'ordinanza dichiarativa dell'estinzione del processo esecutivo doveva riconoscersi natura di atto endoprocedimentale prosecutorio di un processo già iniziato e non già, come ritenuto dalla Corte di merito, di atto introduttivo di fase incidentale di nuovo giudizio di cognizione, conseguendone l'obbligatorietà della sottoscrizione e della trasmissione con modalità telematiche, giusta il disposto del richiamato art. 16-bis, comma 2; conseguendone la giuridica inesistenza del reclamo redatto e sottoscritto in forma cartacea, con conseguente insanabilità del vizio.

ii) Le Sezioni Unite non hanno condiviso il pensiero dei ricorrenti ed hanno sancito che il reclamo di cui all'art. 630, comma 3, c.p.c. non è un atto c.d. endoprocessuale soggetto alla disciplina dell'obbligatorio deposito telematico.

iii) Preliminarmente le S.U. hanno affermato che, ai sensi del primo comma del citato art. 16-bis, «nei procedimenti civili, contenziosi o di volontaria giurisdizione, innanzi al tribunale», la regola dell'obbligatorietà del deposito in formato telematico degli atti comunemente definiti come endoprocessuali onera unicamente i difensori delle parti «precedentemente costituite», mentre per le parti non precedentemente costituite vale la regola dell'alternatività, a scelta dell'interessato, tra il deposito telematico e quello cartaceo in forza del comma 1 bis della stessa disposizione, ove si detta che «nell'ambito dei procedimenti civili, contenziosi e di volontaria giurisdizione innanzi ai tribunali e … alle corti di appello è sempre ammesso il deposito telematico di ogni atto diverso da quelli previsti dal comma 1».

Le S.U. hanno, quindi, osservato che al fine di individuare gli atti c.d. endoprocessuali costituisce fattore dirimente verificare se «le parti», munite del difensore, siano o meno «precedentemente costituite».

A seguire, le S.U. hanno chiarito che quest'ultima espressione non può essere intesa come riferita soltanto alla nozione di costituzione in giudizio in senso tecnico (da intendere - giusta la disciplina dettata dagli articoli 165, 166 e 171 c.p.c. - quale «formalità collegata alla contumacia, e che non trova perciò applicazione laddove non sia prevista dalla legge e non sia correlativamente contemplato il procedimento in contumacia»), ma anche, più in generale, «alla acquisizione della veste di parte in senso formale nel procedimento incardinato dinanzi al giudice adito, veste che, almeno in senso lato, compete a ciascuna parte in qualunque procedimento destinato a svolgersi dinanzi al tribunale»; considerato anche che, ove il primo comma dell'art.16-bis si volesse leggere nel senso che esso recepisce la nozione di costituzione in senso tecnico, e lo si coniugasse con le previsioni di ulteriori commi (il secondo e il terzo) della norma «si finirebbe per ammettere che l'art. 16-bis nulla dispone quanto al deposito telematico in una larga parte di procedimenti anche contenziosi disciplinati dal codice di procedura civile, che non prevedono specificamente l'adempimento della costituzione».

Le S.U. hanno ulteriormente chiarito che, ai sensi della disposizione dettata dal primo comma dell'art. 16-bis, una volta che le parti sono entrate in contatto con il giudice, a mezzo del loro primo atto, che può a discrezione delle medesime essere depositato telematicamente o in cartaceo, ogni deposito successivo deve essere ormai (a decorrere dal 30 giugno 2014) obbligatoriamente eseguito in formato telematico, fintanto che il rapporto parti-giudice non debba essere nuovamente instaurato, o perché la parte non è più la stessa, o perché non è più lo stesso il giudice.

Le S.U. hanno, altresì, affermato - richiamando Cass., sez. III, 1 luglio 2005, n. 14096 - che mediante il reclamo contro l'ordinanza che dichiara l'estinzione o rigetta la relativa eccezione, di cui all'art. 630, comma 3, c.p.c., si apre un giudizio sul contrapposto interesse sostanziale dei creditori e del debitore a conseguire il risultato utile dell'espropriazione ovvero a riottenere la libera disponibilità dei beni pignorati o di quanto è stato ricavato dalla loro espropriazione e che tale procedimento ha natura cognitiva e, pur dipanandosi sullo sfondo dell'esecuzione forzata, si colloca «del tutto al di fuori di essa», palesando, altresì, una chiara natura impugnatoria(giacché, ove non proposto nei termini, consegue stabilizzazione della decisione adottata), «tale da determinare una netta cesura tra la fase esecutiva e quella cognitiva»; conseguendone la non riconducibilità del reclamo in questione al novero degli atti endoprocessuali, considerato in proposito anche che, pur non essendovi mutazione delle parti, per effetto dello stesso (rivolto al G.E., ma rimesso alla decisione di altro giudice, il Collegio, con cui al momento della sua proposizione non si è ancora instaurato rapporto), «si instaura una nuova relazione parti-giudice, tale ricondurre il reclamo medesimo al novero degli atti introduttivi sottratti alla disciplina dell'obbligatorio deposito telematico».

Date tali premesse, le S.U. hanno concluso affermando che il reclamo doveva ritenersi correttamente depositato in formato cartaceo.

Osservazioni

i) Per prima cosa, deve osservarsi che la soluzione data dalle Sezioni Unite al quesito posto è appieno da condividere.

E', invero, da escludere – considerate le assai pregevoli considerazioni, qui solo sinteticamente riportate, svolte nella sentenza in commento, tutte puntualmente motivate - che mediante il reclamo di cui all'art. 630, comma 3, c.p.c. si attui un meccanismo di mera translatio iudicii, configurandosi, invece, un autonomo procedimento di cognizione con natura impugnatoria, da svolgere innanzi a giudice (il Collegio) diverso dal G.E., del tutto estraneo alla procedura esecutiva, pur se ad essa funzionalmente collegato.

ii) La Sezione della Suprema Corte remittente aveva proposto un duplice quesito: a) se il reclamo di cui al terzo comma dell'art. 630 c.p.c. avesse o meno natura di atto endoprocessuale; b) per l'ipotesi di risposta affermativa al primo interrogativo, quali fossero le conseguenze del deposito cartaceo dell'atto, come nella specie, in luogo di quello telematico.

Le S.U., data la soluzione accolta, non hanno ritenuto di soffermarsi sulla seconda delle ricordate questioni.

La Sezione della Suprema Corte remittente ha rilevato che sulla tematica involgente la questione qualificata di particolare importanza non era individuabile un orientamento della giurisprudenza di legittimità univoco, non essendo stata espressamente risolta né con riferimento all'ambito dell'esecuzione forzata, né, in generale, con riguardo alla tematica delle conseguenze derivanti dall'inosservanza delle forme di deposito degli atti processuali in via telematica.

Nell'ordinanza interlocutoria vengono richiamate due pronunce: a) Cass. civ., sez. I, 17 luglio 2019, n. 19151, attinente alla materia dell'esecuzione concorsuale, secondo cui il ricorso in opposizione allo stato passivo poteva essere depositato in forma cartacea, essendo le modalità telematiche previste in via esclusiva soltanto per gli atti del curatore e di alcuni altri soggetti della procedura; con esclusione, dunque, che all'inosservanza del deposito telematico conseguisse la nullità insanabile e comunque l'inesistenza dell'atto; ferma, comunque, restando la sanabilità dell'eventuale vizio dell'atto introduttivo del giudizio per raggiungimento dello scopo della costituzione del rapporto processuale; b) Cass. civ., sez. I, 31 gennaio 2019, n. 2930, attinente alla materia dei procedimenti speciali di cognizione, secondo la quale nel rito c.d. Fornero, il giudizio di primo grado, pur unitario, si articola in due fasi procedimentali e l'introduzione della fase di opposizione richiede un'autonoma costituzione delle parti, conseguendone che il ricorso in opposizione può essere depositato in forma cartacea, non ricorrendo i presupposti per l'applicazione dell'art. 16-bis citato.

Sulla tematica in esame, peraltro sempre al di fuori degli ambiti dell'esecuzione forzata, si registrano ulteriori precedenti in sede di giurisprudenza di legittimità.

Con riferimento al processo «analogico» risulta essere stato affermato che, nelle controversie in materia di lavoro e previdenza, la riassunzione del giudizio innanzi al giudice dichiarato competente a seguito di dichiarazione di incompetenza del primo giudice adito non comporta l'instaurazione di un nuovo giudizio, ma, ai sensi dell'art. 50 c.p.c., espleta esclusivamente la funzione di consentire la prosecuzione del giudizio originario (Cass., sez. lav., 19 marzo 2008, n. 7392; nello stesso senso, con riguardo a riassunzione effettuata a seguito di interruzione del processo per morte di una delle parti o del difensore, Cass., sez. II, 21 luglio 2004, n.13597; Cass., sez. I, 9 maggio 2018,n.11193; Cass., sez. I, 5 dicembre 2020, n. 6193).

iii) Sulle implicazioni del deposito degli atti (sia introduttivi di giudizio, sia endoprocessuali) in forme diverse da quelle prescritte la Suprema Corte si è più volte espressa, peraltro con riguardo a fattispecie differenti da quella venuta all'attenzione in questa sede, e la soluzione costantemente data è quella di seguito descritta.

Con riferimento ad atti introduttivi di giudizio, è stato più volte affermato il principio secondo cui il deposito per via telematica, anziché con modalità cartacee, di tali atti, ivi compreso l'atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo, non dà luogo ad una nullità della costituzione dell'attore, ma ad una mera irregolarità, sicché ove l'atto sia stato inserito nei registri informatizzati dell'ufficio giudiziario, previa generazione della ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della giustizia, è integrato il raggiungimento della scopo della presa di contatto tra la parte e l'ufficio giudiziario e della messa a disposizione delle altre parti (v. Cass. civ., sez. II, 12 maggio 2016, n. 9772 e Cass., sez. VI, ord. 23 gennaio 2019, n. 1717; per un'ulteriore fattispecie, si veda anche Cass. civ., sez. I, 17 luglio 2019, n. 19151, citata nel precedente paragrafo).

Richiamando il medesimo principio ed applicandolo ad atto qualificato endoprocessuale (nella specie: atto di riassunzione di giudizio di appello sospeso, depositato in formato cartaceo anziché telematico), Cass. civ., sez. VI, ord. 7 luglio 2020, n. 14009 ha affermato che l'utilizzo di una modalità di deposito diversa da quella conforme alle prescrizioni processuali vigenti ratione temporis, non incidendo sugli elementi essenziali ed indispensabili perché l'atto produca gli effetti suoi propri, non comporta l'inesistenza dell'atto ed, anzi, configura una mera irregolarità non integrante nullità, in mancanza di una espressa comminatoria in conformità al disposto di cui all'art. 156, comma 1, c.p.c.; considerato anche che l'atto aveva consentito la presa di contatto tra la parte e l'ufficio giudiziario ai fini della prosecuzione del giudizio, in concreto utilmente avvenuta senza vulnus alcuno per le prerogative e i diritti delle parti nel processo, in un sistema processuale che prevede, a chiusura del sistema, la sanatoria per raggiungimento dello scopo di cui all'ultimo comma dell'art. 156 c.p.c..

iv) In sede di giurisprudenza di merito entrambe le questioni proposte dalla Sezione remittente risultano essere state più volte affrontate.

Si registrano vari orientamenti.

a) Secondo l'orientamento maggioritario, all'atto in riassunzione deve riconoscersi natura endoprocessuale (Trib. Lodi 4 marzo 2016, Ilprocessotelematico.it 18 marzo 2016; Trib. Palermo 10 maggio 2016, ivi, 8 giugno 2016;Trib. Vasto 28 ottobre 2016, ivi, 21 novembre 2016; Trib. Perugia 1 dicembre 2016, ivi, 3 gennaio 2017; Tribunale Benevento 27 aprile 2017, DeJure; Trib. Potenza 18 maggio 2017, Ilprocessotelematico.it 14 luglio 2017; Trib. Cremona 8 gennaio 2019, ivi, 5 marzo 2019;Trib. Avellino 25 ottobre 2019, DeJure), conseguendone obbligo di deposito in modalità telematica.

Tuttavia, si registrano differenti pensieri per ciò che concerne le conseguenze della suddetta qualificazione.

Da un lato – corrente maggioritaria - vi è chi sostiene (con riferimento a fattispecie diverse dal reclamo ex art. 630 c.p.c.) l'inammissibilità dell'atto di riassunzione depositato in forma cartacea, giacché soltanto ove redatto e depositato in forma telematica (modello legale) esso assume la natura di atto quale delineato dalla norma (v. i citati provvedimenti dei Tribunali di Lodi, Vasto, Benevento, Potenza, Cremona e Avellino, nonché Trib. Nocera Inferiore 25 luglio 2018, DeJure, e Trib. Avellino 24 giugno 2020, ibidem).

Da un altro lato vi è, invece, chi sostiene che il «vizio» (id est: deposito in forma cartacea) dell'atto è da ritenere sanato – in applicazione dell'art. 156, comma 3, c.p.c. - ove sia raggiunto lo scopo cui è destinato (in tal senso, Trib. Palermo e Trib. Perugia precedentemente citati; v. anche Trib. Trani 5 settembre 2016, Quotidiano giuridico 5 ottobre 2016, secondo cui è da ritenere ammissibile il reclamo cautelare depositato in forma cartacea anziché telematica, indipendentemente dalla qualificazione del ricorso come atto endoprocessuale, stante l'inesistenza di norme che sanzionino con l'inammissibilità il deposito degli atti in forma diversa da quella telematica, purché la costituzione per tale via sia conforme alle prescrizioni di legge che la disciplinano, in ossequio ai principi di libertà delle forme e del raggiungimento dello scopo; v., altresì. Trib. Spoleto, sez. lav., 15 novembre 2018, DeJure, che richiama il principio di conservazione degli atti imperfetti).

Incidentalmente, va rilevato che lo scopo da raggiungere deve essere quello della costituzione del rapporto processuale.

b) Secondo un altro orientamento, è da negare all'atto di riassunzione e al reclamo ex art. 669-terdecies c.p.c. la natura di atto endoprocessuale (v., rispettivamente, Trib. Arezzo 12 giugno 2018, Ilprocessotelematico.it 19 ottobre 2018, e Trib. Roma 8 novembre 2016, ivi 2016, nonchéTrib. Spoleto citato).

c) Infine, con riguardo alla fattispecie di nostro diretto interesse, va richiamata - quale precursore, per alcuni aspetti, della soluzione accolta dalle.U. nella sentenza in commento - la pronuncia della Corte di appello di Reggio Calabria, sez. lav., 24 dicembre 2020, Quotidiano giuridico 10 marzo 2021, secondo cui l'atto di riassunzione deve essere considerato un atto introduttivo di un nuovo giudizio (non essendo il reclamante costituito presso il giudice ad quem; essendovi necessità, da parte del reclamante, di chiedere l'apertura di un nuovo fascicolo, con assegnazione di un diverso numero di ruolo generale, nonché di ottenere l'emissione di un decreto per eseguire la vocatio in ius) e non un atto endoprocessuale.

v) Per quanto di interesse in questa sede, va rammentato che lo stesso giudice delle leggi ha chiarito che le disposizioni processuali «non sono fine a se stesse, ma funzionali alla miglior qualità della decisione di merito» e che a tale principio (di effettività della tutela) «si ispira pressoché costantemente - nel regolare questioni di rito - il vigente codice di procedura civile» (C. cost. 12 marzo 2007, n. 77).

vi) E' principio consolidato quello secondo cui i provvedimenti con i quali venga dichiarata l'estinzione del processo esecutivo in ipotesi diverse da quelle tipizzate dal codice (provvedimenti di c.d. estinzione atipica della procedura) sono impugnabili esclusivamente con l'opposizione agli atti esecutivi e non già col reclamo ex art. 630 c.p.c., il quale, ove proposto, deve essere dichiarato inammissibile anche d'ufficio (v. Cass., sez. VI, 22 giugno 2017, n. 15605 e Cass., sez. III, 29 aprile 2020, n. 8404 e,. in sede di merito, App. Catanzaro 10 ottobre 2019, Red. Giuffrè 2020, e Trib. Novara, 4 gennaio 2021, ivi, 2021).

(Fonte: Il Processo Civile)

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