Affido paritetico (e mantenimento diretto) per la ritrovata serenità del figlio
11 Aprile 2022
Massima
Non vi sono ragionevoli motivi per ridurre i tempi di permanenza del figlio minorenne presso il padre poiché questa limitazione di tempo potrebbe essere vissuta male dal bambino che, in un contesto di affidamento paritetico, ha ritrovato in parte la sua serenità. Il caso
La Corte d'Appello di Perugia conferma l'affido paritetico nonché il mantenimento diretto del figlio minore e respinge il reclamo ex art. 739 c.p.c. presentato dalla madre contro il provvedimento del Tribunale che aveva disposto il collocamento del bambino presso entrambi i genitori, con tempi uguali e senza prevedere alcun assegno di mantenimento, visti i redditi omogenei degli ex coniugi. I giudici di seconde cure hanno valutato che proprio grazie alla frequentazione paritetica garantita dalla pronuncia di primo grado il bambino abbia superato parte degli aspetti critici legati alla separazione dei genitori, riuscendo a ritrovare una certa armonia. Per tale ragione, la Corte d'Appello non ha ritenuto di accogliere la richiesta della madre di ridimensionare la frequentazione del figlio con il padre perché questa riduzione “potrebbe essere vissuta male dal bambino che in questo modo ha invece ritrovato almeno in parte la sua serenità”. Nella stessa pronuncia la Corte d'Appello ha pure confermato la correttezza della sentenza di primo grado nella parte in cui stabilisce che non è dovuto alcun assegno di mantenimento tra gli ex coniugi, e ciò in ragione dei rispettivi redditi, prevedendo che, nel periodo di permanenza del figlio presso di sé, ciascun genitore provveda a lui senza pagare nessun importo all'altro. L'iter logico-giuridico del Tribunale di Perugia deve esser parso molto solido alla Corte d'Appello che ha confermato come, nel caso di specie, l'interesse superiore del bambino risieda nella sua permanenza con entrambi i genitori con tempistiche paritarie, aderendo pure alle valutazioni economiche relative al diniego dell'assegno di mantenimento alla luce di redditi e oneri simili dei genitori. La questione
Fermo restando l'affido condiviso previsto dalla l. n. 54/2006 che stabilisce il principio della comune responsabilità genitoriale sui figli minorenni, nel concreto, presso quale genitore essi devono essere collocati, ovvero presso quale genitore avranno la loro residenza abituale e, di fatto, vivranno? Le soluzioni giuridiche
Mai del tutto risolta è la questione del collocamento dei figli minori a seguito della separazione o divorzio dei propri genitori. In questa nota ripercorrerò alcune delle pronunce di merito e di legittimità, oltre che fare riferimento ad alcune fonti europea e internazionali, che su questo controverso tema si sono susseguite negli ultimi decenni: sarà interessante vedere come vi siano state e siano tutt'oggi esistenti posizioni contrastanti tra diversi Tribunali, ed in particolar modo tra Tribunali e Corte di Cassazione. Quest'ultima da sempre ha mostrato una certa diffidenza verso il regime dell'affido paritetico, privilegiando il principio del collocamento prevalente del figlio minore presso un genitore (solitamente la madre). Una breve considerazione personale prima di passare all'analisi delle varie soluzioni giuridiche: con la riforma Cartabia del processo civile, che sappiamo riconoscere spazio e legittimità alla mediazione familiare in seno al processo separativo, l'intenzione del legislatore è quella di promuovere il perseguimento della ricerca di soluzioni specifiche e non stereotipate per ogni singola famiglia che attraversa il delicato momento della separazione e del divorzio. Proprio questo importante lavoro “preparatorio” svolto dai genitori in mediazione familiare può avere apprezzabili effetti deflattivi sul carico di contenzioso che già grava i nostri Tribunali, consentendo all'Autorità giudicante di lavorare più agilmente a un semplice recepimento (omologazione) degli accordi già raggiunti dai genitori in prima persona, fatta salva la verifica che gli stessi non siano contrari a norme imperative e di ordine pubblico. Come sappiamo, la legge n. 54/2006 ha sancito il principio dell'esercizio della comune responsabilità genitoriale sui figli minori, stabilendo il regime di affido condiviso del minore e ponendo così le figure genitoriali sullo stesso piano. Da questo momento in poi la scelta dell'affido esclusivo costituisce - o quantomeno dovrebbe costituire - eccezione limitata ai casi di manifesta carenza o inidoneità educativa di un genitore, di un suo sostanziale disinteresse al figlio o di sua obiettiva lontananza. Se in ordine a questo aspetto la giurisprudenza è stata chiara, lo stesso non può dirsi per il collocamento dei minori, nonostante le chiare previsioni delle normative europee e internazionali, dei protocolli di alcuni Tribunali italiani e di buona parte della giurisprudenza di merito a cui farò qui di seguito breve cenno. La Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia, ratificata in Italia con legge n. 176/1991, riconosce “il diritto del fanciullo separato da entrambi i genitori o da uno di essi, di intrattenere regolarmente rapporti personali e contatti diretti con entrambi i suoi genitori, a meno che ciò non sia contrario all'interesse preminente del fanciullo” (art. 9, comma 3). Con risoluzione 2079 del 2015, il Consiglio d'Europa ha inviato gli stati membri a promuovere la shared residence definita come “quella forma di affidamento in cui i figli dopo la separazione della coppia genitoriale trascorrano tempi più o meno uguali presso il padre e la madre”. Nello stesso anno anche la “Commission sur l'egualitè et la non-discrimination” dell'Assemblea Parlamentare del Consiglio Europeo (doc. 138707) si è espressa in tal senso, sottolineando l'importanza della residenza alternata e quindi dei tempi di frequentazione paritetica dei genitori da parte dei figli, prestando particolare attenzione al ruolo genitoriale paterno troppo spesso non considerato alla stregua di quello materno. Il documento invita a rendere la residenza alternata un principio cardine della bigenitorialità, anche nei casi in cui i bambini siano molto piccoli. Sulla medesima linea si collocano i protocolli di alcuni Tribunali italiani, quali quello di Brindisi e Salerno, oltre quello di Perugia che al suo art. 8 prevede che: “È opportuno che i genitori, nel richiedere l'affido condiviso dei figli, prevedano nelle proprie istanze tempi paritetici o equipollenti di frequentazione dei figli minorenni con entrambi i genitori, mettendo in atto il cosiddetto affido fisicamente condiviso, tenendo conto delle esigenze dei figli minorenni e di entrambi i genitori”. E ancora, il Tribunale di Catanzaro con il provvedimento n. 443/2019 ha richiamato quanto disposto dall'art. 337-ter c.c. “che non pare riferirsi esclusivamente all'affidamento legale condiviso, ma anche alla custodia fisica condivisa”, ribadendo che il collocamento paritetico è preferibile “laddove ve ne siano le condizioni di fattibilità e, quindi, tenendo sempre in considerazione le caratteristiche del caso concreto”. E ancora, il Tribunale di Firenze con decisione del 19 luglio 2016, dopo aver effettuato l'ascolto del minore, ha disposto un regime di visite paritetico per i genitori prevedendo una frequentazione del figlio a settimane alterne presso l'abitazione di ciascun genitore In dissonanza con le pronunce fin qui nominate la Suprema Corte che, pur chiarendo, con sentenza Cass. n. 9764/2019, che la bigenitorialità deve portare a una situazione di fatto idonea a garantire la presenza di ciascun genitore nella quotidianità del minore, con recente ordinanza Cass. n. 3652/2020 è tornata a ribadire il principio del collocamento prevalente. Ecco qui un passaggio saliente di tale pronuncia: “la regolamentazione dei rapporti fra genitori non conviventi e figli minori non può avvenire sulla base di una simmetrica e paritaria ripartizione dei tempi di permanenza con entrambi i genitori ma deve essere il risultato di una valutazione ponderata del giudice di merito che, partendo dalla esigenza di garantire al minore la situazione più confacente al suo benessere e alla sua crescita armoniosa e serena, tenga anche conto del suo diritto a una significativa e piena relazione con entrambi i genitori e del diritto di questi ultimi a una piena realizzazione della loro relazione con i figli e all'esplicazione del loro ruolo educativo”. Peraltro, sappiamo bene come il collocamento prevalente porta con sé certi automatismi quali l'assegnazione della casa coniugale e/o familiare e la determinazione di un contributo al mantenimento dei figli a favore del genitore collocatario prevalente, così trascurando il principio di bigenitorialità e, per contro, esasperando la conflittualità tra i genitori. Osservazioni
Molto spesso, in fase separativa, il problema principale e più controverso è costituito dall'affidamento e contestuale collocamento dei figli minori o economicamente non autosufficienti presso uno dei genitori. Ad oggi, l'affido esclusivo previsto dall'art. 337-quater c.c. sembra essere l'estrema ratio nel nostro ordinamento sulle modalità di affido di un minore poichè il nostro ordinamento predilige, a tutela del “supremo interesse del minore” il sistema del cosidetto affido condiviso. L'art. 337-ter c.c. rubricato “provvedimenti riguardo ai figli” regolamenta in maniera dettagliata i rapporti tra genitori e figli a seguito della separazione tra genitori, specificando diritti e obblighi dei medesimi verso i minori e disciplinando, al contempo, il regime di affidamento dei minori. Ciò che però non viene disciplinato in alcun modo è il collocamento del minore, riservando questo aspetto alla valutazione che il giudice di merito assume di volta in volta con riguardo al caso specifico. L'art. 6, co. 2 della Legge sul divorzio indicava quale modalità di affidamento il c.d. “affidamento congiunto e alternato”: tale forma di affidamento è, ad oggi, ampiamente superata dalla l. 54/2006 che indica nell'istituto dell'affidamento a entrambi i genitori la normale soluzione, immediata conseguenza della crisi coniugale. Vediamo in tal modo come l'affidamento condiviso rappresenti un'evoluzione di quello congiunto e in entrambi i casi la responsabilità è esercitata da ambedue i genitori. Lo scopo principale a cui tende l'affido condiviso è il collocamento paritario del minore distribuendo, così, in maniera più equilibrata le responsabilità a cui sono chiamati in eguale misura entrambi i genitori. Regolando la permanenza dei figli in tempi uguali, infatti, potrebbe realizzarsi in maniera immediata e più agevole l'obiettivo contenuto nell'art. 337-ter c.c., portando inevitabilmente anche alla rivalutazione del sistema di mantenimento indiretto del figlio (e relativa corresponsione dell'assegno di mantenimento), e ritenendo più agevole una forma di mantenimento diretta, cosiddetta “alternata”. Ad oggi, il collocamento paritario è un modello non ancora molto diffuso nel panorama giurisprudenziale italiano, così fortemente radicato a quelle forme di affido condiviso con collocamento prevalente che ben dovrebbero, invece, collocarsi nella prassi applicativa del periodo antecedente allariforma della legge 54/2006. Eppure l'applicazione del modello di collocamento paritario pare, in concreto, la soluzione preferibile per la corretta salvaguardia del principio della bigenitorialità. A riguardo, tra le altre fonti europee e internazionali già citate, anche il Trattato di Lisbona nel quale è sancito il principio secondo cui il bambino ha “diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con due genitori, salvo qualora ci sia contrario al suo interesse” (art. 24, comma 3). Tale principio è stato condiviso pure dalla Corte di Strasburgo e solo ultimamente, come visto nella rassegna di alcune pronunce di merito, da diversi Tribunali italiani. Ricordiamo, in più, quello di Catanzaro, che nel 2019 si è espresso favorevolmente rispetto al collocamento paritario, allorquando, valutato il caso concreto, ha ritenuto la sua applicazione “possibile e preferibile” evidenziando, al contempo, come nella pratica giurisprudenziale italiana tale formula è ancora oggi poco utilizzata. La scarsa applicazione dell'affido condiviso con collocazione paritaria del minore da parte della giurisprudenza italiana è, senza troppi dubbi, dovuta al fatto che si è radicati a una forma di “collocamento prevalente del minore” presso uno dei due genitori, dove questo genitore quasi sempre corrisponde alla figura materna. È un problema di natura socio-culturale e si concretizza in un mancato riconoscimento della parità dei ruoli dell'uomo e della donna sotto il loro profilo genitoriale. Questa parità, invece, si ritrova ampiamente in altri paesi d'Europa dove viene senza dubbio raggiunta e preferita dalle Autorità giudicanti, ma ancor prima dagli stessi genitori, la “share custody” del figlio minorenne. A ciò si aggiunga quale motivo di scarsa applicazione della collocazione paritaria nella prassi l'applicazione dei provvedimenti conseguenti al collocamento prevalente presso uno dei due genitori, come l'assegnazione della casa familiare al coniuge “collocatario” e l'assegno di mantenimento in favore del coniuge presso il quale il figlio è prevalentemente collocato. Tali provvedimenti frenano notevolmente l'applicazione della custodia condivisa dei figli e al contempo risultano essere causa di continui scontri tra ex coniugi, fomentando la conflittualità tra gli stessi e portando, come conseguenza, a perdere di vista “il supremo interesse del minore”, oltre che svuotando completamente di senso il contenuto e la portata della legge 54/2006. |