Piano di ristrutturazione soggetto ad omologa

Fernando Platania
12 Aprile 2022

L'Autore illustra la disciplina del nuovo piano di ristrutturazione soggetto ad omologa inserito nella bozza di riforma del Codice della crisi, approvata di recente dal Consiglio dei Ministri, che presenta la rilevante novità di non rendere necessario il rispetto della par condicio creditorum nella distribuzione del ricavato. Sono anche affrontati alcuni aspetti problematici dell'istituto, derivanti proprio dal parziale superamento delle tradizionali regole che presiedono le procedure concorsuali.
Premessa

Il decreto approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri il 17 marzo 2022 di modifica del Codice della crisi ha previsto, tra le varie e talvolta assai significative modifiche, in attuazione della direttiva Insolvency, l'introduzione di un nuovo istituto di risoluzione della crisi che prescinda dalla rigida applicazione delle regole concorsuali nel pagamento dei crediti qualora la proposta avanzata dall'imprenditore trovi l'approvazione di tutte le classi dei creditori nelle quali questi devono necessariamente essere suddivisi.

Si tratta di uno strumento che, potendo proporre, almeno tendenzialmente, soluzioni più duttili rispetto a quelle concordatarie (ma che richiede un assenso più ampio anche se non unanime), si colloca, in qualche misura, a metà strada tra gli accordi di ristrutturazione dei debiti e il concordato preventivo, nel quale può anche direttamente convertirsi su istanza del debitore se l'iniziativa non abbia ottenuto il necessario consenso.

La regolamentazione

All'istituto sono dedicati i nuovi artt. 64 bis e 64 ter CCI che largamente richiamano le disposizioni del concordato preventivo rendendo piuttosto complessa l'individuazione della normativa applicabile anche a causa della non felice tecnica legislativa di prevedere continui richiami a regole dettate per altri istituti salvo il limite, sempre incerto, della compatibilità, anzichè, come sarebbe stato certamente più opportuno, disciplinare ciascuna procedura secondo le sue proprie peculiarità, sia pure coerentemente con i principi generali.

L'imprenditore in crisi o insolvente, con ricorso da presentare presso il Tribunale ove ha sede l'impresa, può proporre ai suoi creditori un piano che preveda, nel mantenimento della continuità aziendale, il loro soddisfacimento in tempi che non sono predeterminati dalla legge (salvo che per i lavoratori). Come per il concordato preventivo, il debitore può presentare il ricorso riservandosi, però, di depositare il piano nel termine assegnatogli dal tribunale, non inferiore a trenta e non superiore a sessanta giorni, prorogabile per giustificati motivi e se non sono state presentate domande di liquidazione giudiziaria.

Nel caso di presentazione del ricorso per omologazione del piano di ristrutturazione con riserva, il Tribunale assume i provvedimenti indicati nell'art. 44 e, pertanto, nomina un commissario giudiziale, incaricato di riferire immediatamente al Tribunale su ogni atto di frode ai creditori non dichiarato nella domanda ovvero su ogni circostanza o condotta del debitore tali da pregiudicare una soluzione efficace della crisi; dispone obblighi informativi periodici, anche relativi alla gestione finanziaria dell'impresa e all'attività compiuta ai fini della predisposizione del piano, che il debitore deve assolvere, con periodicità almeno mensile e sotto la vigilanza del commissario giudiziale, sino alla scadenza del termine fissato per la presentazione del piano stesso.

Il Tribunale può anche revocare il decreto se accerta l'esistenza di atti di frode o quando vi è stata grave violazione degli obblighi informativi.

Entro il termine concesso dal Tribunale o unitamente al ricorso, se non è chiesto il termine, il debitore deve presentare ai suoi creditori, suddivisi in classi in cui siano separatamente inseriti tutti soggetti che si trovino in posizione giuridica simile ed abbiano interessi economici omogenei, il piano, al quale deve essere allegata, tra l'altro, una relazione di un professionista indipendente sia sulla fattibilità del piano che sulla veridicità delle scritture contabili e sul rispetto delle altre condizioni di ammissibilità (tra cui l'eventuale valore dei beni su cui è esercitata la prelazione in caso di falcidia dei crediti garantiti), oltre che la documentazione contabile di cui all'art. 39 (le scritture contabili e fiscali obbligatorie, dichiarazione dei redditi degli ultimi tre anni, dichiarazioni Irap ed Iva, bilanci degli ultimi tre anni, relazione sulla situazione economica, stato particolareggiato estimativo delle attività, certificazione dei debiti fiscali contributivi , indicazione nominativa dei creditori e dell'ammontare dei crediti ed anche delle eventuali cause di prelazione dalle quali siano assistiti, una relazione sugli atti di straordinaria amministrazione compiuti negli ultimi cinque anni).

Il Tribunale, esaminata l'istanza, deve procedere ad alcuni fondamentali adempimenti.

Nomina un giudice delegato ed un commissario (eventualmente confermando quello già in precedenza nominato); stabilisce, in relazione al numero dei creditori, all'entità del passivo e alla necessità di assicurare la tempestività e l'efficacia della procedura, la data iniziale e finale per l'espressione del voto dei creditori, con modalità idonee a salvaguardare il contraddittorio e l'effettiva partecipazione, fissando il termine per la comunicazione del provvedimento ai creditori; fissa il termine perentorio, non superiore a quindici giorni, entro il quale il debitore deve depositare nella cancelleria del tribunale la somma, pari al cinquanta per cento delle spese che si presumono necessarie per l'intera procedura ovvero la diversa minor somma, non inferiore al venti per cento di tali spese, che sia determinata dal tribunale.

In conseguenza della presentazione della domanda, i crediti di terzi per effetto degli atti legalmente compiuti sono prededucibili; i creditori non possono acquisire diritti di prelazione con efficacia rispetto ai creditori concorrenti; le ipoteche giudiziali iscritte nei novanta giorni che precedono la pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese sono inefficaci nei confronti dei creditori anteriori.

Dalla data di deposito della domanda e sino all'omologazione non trovano applicazione (come nel concordato preventivo e negli accordi di ristrutturazione dei debiti) le norme del codice civile sulla riduzione del capitale per perdite.

Alla procedura si applicano anche le disposizioni concordatarie sulle proposte concorrenti e sulle offerte concorrenti, compresa quella che obbliga il commissario a dare le informazioni necessarie per la loro presentazione; è previsto anche un cospicuo apparato protettivo della continuità aziendale in pendenza della procedura, poiché in forza delle richiamate norme sui contratti pendenti per le procedure in continuità aziendale, introdotte nel medesimo decreto, i creditori non possono, unilateralmente, rifiutare l'adempimento dei contratti in corso di esecuzione o provocarne la risoluzione, né possono anticiparne la scadenza o modificarli in danno dell'imprenditore per il solo fatto del deposito della domanda di accesso alla procedura. Inoltre, i creditori interessati dalle misure protettive concesse ai sensi dell'art. 54, comma 2, non possono, unilateralmente, rifiutare l'adempimento dei contratti essenziali in corso di esecuzione o provocarne la risoluzione, né possono anticiparne la scadenza o modificarli in danno dell'imprenditore per il solo fatto del mancato pagamento di crediti anteriori rispetto alla presentazione della domanda di accesso alla procedura. Sono considerati essenziali i contratti necessari per la continuazione della gestione corrente dell'impresa, inclusi i contratti relativi alle forniture la cui interruzione impedisca la prosecuzione dell'attività del debitore.

Sono poi richiamate le norme sui finanziamenti in prededuzione, ma non quelle che prevedono l'autorizzazione al pagamento di crediti pregressi.

Le operazioni di voto si svolgono secondo le stesse modalità previste per il concordato preventivo ed il piano diviene vincolante anche per i dissenzienti, se approvato da tutte le classi in cui sono suddivisi i creditori. L'approvazione, per ciascuna di queste, si ha per conseguita quando esprime voto favorevole la maggioranza dei crediti ammessi al voto nella singola categoria oppure, e questa è una significativa innovazione ripresa dalla novellata disciplina del concordato in continuità aziendale, allorquando in una classe, nella quale non sia stata raggiunta l'indicata maggioranza, abbia votato almeno la metà del totale dei crediti ammessi ed i due terzi dei votanti siano favorevoli (così introducendosi per la prima volta nel sistema delle votazioni nelle procedure concorsuali una sorta di quorum costitutivo e deliberativo, come accade nelle delibere delle assemblee societarie o di condominio).

L'esito della votazione è attestato dalla relazione del commissario e se negativo, può essere contestato dal debitore che può chiedere al Tribunale la verifica.

Al debitore, in conformità all'art. 64-ter, è poi consentito modificare la domanda, sia a seguito del voto negativo sia indipendentemente dalla espressione del voto, proponendo un concordato preventivo con applicazione integrale delle regole previste per questa procedura con sola riduzione dei termini per il voto.

Anche il debitore che ha presentato domanda di omologazione di concordato preventivo può chiedere l'omologa del piano di ristrutturazione fino all'inizio delle operazioni di voto.

La formazione e la verifica delle classi

Uno degli aspetti più delicati di questa nuova procedura è rappresentato dall'individuazione dei corretti criteri da seguire nella formazione delle classi (e correlativamente dalla verifica che spetta al Tribunale).

Secondo la norma, che riprende la formula definitoria dell'art. 3, lett. r), cci, in ciascuna classe vanno inseriti creditori che hanno posizione giuridica ed interessi economici omogenei per rispondere all'esigenza che tutti siano effettivamente rappresentati adeguatamente e che, nello stesso tempo, non siano surrettiziamente inglobati in classi non omogenee al fine di diluire il peso di quelli presumibilmente ostili (tanto più ove si consideri che, per il meccanismo del voto sopra sintetizzato, l'adesione della singola classe può non dipendere dal voto favorevole della maggioranza dei crediti inseriti).

Ricordato che i lavoratori subordinati e gli enti che godono del privilegio di cui all'art. 2751 bis, n.1, c.c. devono essere pagati in denaro necessariamente entro trenta giorni dalla omologazione e che sono pertanto esclusi dalle votazioni (ancorchè i loro crediti debbano comunque essere indicati per consentire la valutazione sulla convenienza della proposta), al nuovo istituto risulta espressamente applicabile l'art. 84, co. 5, per effetto del quale i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca possono essere soddisfatti anche non integralmente, purché in misura non inferiore a quella realizzabile in caso di liquidazione dei beni o diritti sui quali sussiste la causa di prelazione, così come attestata da un professionista indipendente con relazione che deve essere allegata alla domanda, ma non l'art. 85 CCI per il quale il trattamento per ciascuna classe non può avere come effetto di alterare l'ordine delle cause legittime di prelazione, in omaggio alla peculiarità di tale procedura che consente di non rispettare (integralmente) la par condicio creditorum.

Nel concordato preventivo (nella vigenza dell'attuale legge fallimentare, sul punto però non molto dissimile dal Codice della crisi) secondo la giurisprudenza (Cass. 16 aprile 2018, n. 9378) “la proposta di concordato preventivo, ove intenda prevedere la suddivisione in classi, deve necessariamente conformarsi ai due criteri fissati dal legislatore costituiti dall'omogeneità delle posizioni giuridiche e degli interessi economici. L'omogeneità delle posizioni giuridiche, quale criterio volto a garantire sul piano formale le posizioni più o meno avanzate delle aspettative di soddisfo, riguarda la natura oggettiva del credito e concerne le qualità intrinseche delle pretese creditorie, tenendo conto dei loro tratti giuridici caratterizzanti, del carattere chirografario o privilegiato, della eventuale esistenza di contestazioni nella misura o nella qualità del credito, della presenza di un eventuale titolo esecutivo provvisorio. L'omogeneità degli interessi economici, essendo un criterio volto a garantire sul piano sostanziale la par condicio, ha riguardo alla fonte e alla tipologia socio-economica del credito (banche, fornitori, lavoratori dipendenti, ecc.) e al peculiare tornaconto vantato dal suo titolare (in ragione ad esempio dell' entità del credito rispetto all' indebitamento complessivo, della presenza di coobbligati o dell' eventuale interesse a proseguire il rapporto con l' imprenditore in crisi), al fine di garantire secondo canoni di ragionevolezza una maggiore adeguatezza distributiva in presenza di condizioni di omogeneità di posizione”.

Il criterio dell'omogeneità di posizioni giuridiche (ovvero la natura privilegiata o meno del credito e la stabilità della pretesa in ragione dell'eventuale non contestazione della pretesa) risulta abbastanza agevolmente applicabile. Anche nel piano di ristrutturazione possono essere individuati, infatti, crediti che vantano prelazione ipotecaria o privilegi speciali o generali; vi possono essere anche suddivisioni basate sulla contestazione o meno dei crediti.

La differenziazione basata sull'omogeneità degli interessi economici può essere garantita tenendo conto della natura del creditore e della titolarità di garanzie di terzi ovvero anche del ruolo di fornitore dell'impresa.

Potrebbe essere possibile introdurre, però, anche un altro criterio di differenziazione; tenuto conto della possibilità di non dovere rispettare rigidamente le regole sulla distribuzione dell'attivo, potrebbe ipotizzarsi, quale ulteriore criterio di classamento (in concreto assai utile per le imprese in fase di risanamento che devono fare fronte ad iniziali tensioni finanziarie tanto più significative quanto più è profonda l'opera di ristrutturazione aziendale intrapresa), sia per i crediti privilegiati, sia per quelli chirografari, un pagamento anticipato per chi fosse maggiormente penalizzato dalla falcidia (fermo il limite minimo del valore del bene per i crediti con titolo di prelazione) ed uno, invece, posticipato per i creditori che accettassero la dilazione in cambio di un incremento della percentuale di soddisfacimento.

In questa procedura poi può essere senza problemi disposta, proprio per la possibilità di non rispettare la par condicio, l'assegnazione delle utilità diverse dal denaro (conversione in equity dei crediti, ad esempio, o datio in solutum), contestualmente alla omologazione, anche ai creditori chirografari prima dei privilegiati.

I crediti fiscali

La nuova regolamentazione non regola la questione dei crediti fiscali, malgrado sia l'art. 63 CCI, nell'ambito delle trattative che precedono la stipula degli accordi di ristrutturazione dei crediti, sia l'art. 88 CCI, in caso di domanda di concordato preventivo, prevedano che il debitore possa proporre il pagamento parziale dei crediti fiscali e previdenziali.

Non si deve, però, pensare che questa omissione escluda, di per sé, la possibilità di proporre un pagamento parziale dei crediti tributari o previdenziali e, malgrado il fatto che l'art. 85, comma 2, CCI non si applichi espressamente al piano di ristrutturazione, comunque una tale proposta imporrebbe l'inserimento dei crediti fiscali e previdenziali in apposite classi.

Tuttavia, la mancanza di una norma come quella introdotta dal decreto all'art. 63 ed all'art. 88, per cui Il tribunale può omologare gli accordi di ristrutturazione o il concordato anche in mancanza di adesione da parte dell'amministrazione finanziaria o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie quando l'adesione è determinante ai fini del raggiungimento delle maggioranze e, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista indipendente, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione o degli enti gestori di forme di previdenza o assistenza obbligatorie è conveniente rispetto all'alternativa liquidatoria, considerata la sistematica riluttanza delle amministrazioni finanziarie ad accettare ogni forma di riduzione dei pagamenti, rende assai improbabile che una proposta che coinvolga, falcidiandoli, i crediti fiscali possa raggiungere l'unanimità del voto favorevole di tutte le classi. Rimarrebbe quale sola alternativa concreta, quella di inserire nel piano le dilazioni di pagamento che fossero state autonomamente raggiunte con i creditori pubblici in base alle misure agevolative ordinarie previste dalle leggi fiscali e previdenziali, finendo potenzialmente (e forse ingiustificatamente, vista la disciplina complessiva dei crediti erariali e previdenziali dettata dal codice) per alterare, a vantaggio dei crediti fiscali, la distribuzione delle risorse assegnando a questi ultimi più di quanto attribuito agli altri creditori con privilegio generale sui mobili anche se di grado anteriore (che comunque non potrebbero mai ricevere una somma inferiore rispetto a quella che verrebbe loro assegnata in caso di liquidazione giudiziale).

I crediti prededucibili

In merito ai crediti prededucibili occorre ricordare che per Cass. 11 giugno 2019, n. 15724 in tutte le procedure concorsuali la prededuzione attribuisce non una causa di prelazione, ma una precedenza processuale, in ragione della strumentalità dell'attività, da cui il credito consegue, agli scopi della procedura, onde renderla più efficiente (concetto poi ribadito dalla più recente Cass. 31 dicembre 2021, n. 42093). Ne dovrebbe conseguire che le possibili deroghe all'applicazione degli artt. 2740 e 2741 c.c. non sono applicabili ai crediti prededucibili, poiché la prededuzione non è causa di prelazione, ma rappresenta soltanto lo strumento affinchè la procedura possa portare ai risultati divisati dal proponente.

Pertanto, sebbene anche i crediti prededucibili possano essere assistiti da prelazione, va esclusa la possibilità di falcidiarli, poiché essi sono strumentali rispetto al raggiungimento delle finalità della procedura, permettendo al debitore l'acquisizione dei flussi di cassa occorrenti per il pagamento dei crediti; le somme che possono essere destinate ai creditori anteriori, pertanto, altro non sono che le eccedenze rispetto a quelle destinate al mantenimento del ciclo produttivo che deve necessariamente essere alimentato per poter portare al risultato divisato nella proposta.

Quindi i crediti prededucibili, indipendentemente dalla loro natura privilegiata o meno sono naturalmente esclusi dall'applicazione delle regole del concorso, poiché hanno una funzione strumentale per l'adempimento delle obbligazioni sorte anteriormente rispetto alla proposta.

Non costituisce eccezione, dunque, ma semplice applicazione del principio del riconoscimento della natura prededuttiva dei crediti sorti in funzione della procedura, la regola fatta propria dalla più recente giurisprudenza (Cass. 31 dicembre 2021, n. 42093 con nota di Fichera, Le Sezioni Unite stringono i cordoni della borsa sulla prededuzione del professionista del concordato, in questo portale, 30 marzo 2022) per la quale non gode di prededuzione il credito del professionista per l'attività svolta per l'ammissione alla procedura se poi in concreto l'ammissione non vi sia stata; e costituisce sempre applicazione della medesima regola la previsione contenuta negli artt. 46, comma 4, e 98 (espressamente richiamata dalla disciplina del piano di ristrutturazione) per la quale i crediti di terzi, sorti per effetto di atti legalmente compiuti dal debitore, sono prededucibili e sono soddisfatti durante la procedura alla scadenza prevista dalla legge o dal contratto. Infatti, i crediti di terzi sorti durante la procedura si presumono funzionali alla continuazione dell'attività di impresa necessaria per acquisire i mezzi occorrenti per il pagamento dei crediti sorti ante procedura.

E' però prevista una speciale disciplina (che è diretta proprio ad assicurare che l'attività imprenditoriale successiva all'ammissione abbia come unica finalità la prosecuzione proficua della gestione nell'interesse dei creditori anteriori). Infatti, l'imprenditore, pendente la procedura, deve informare preventivamente il commissario per iscritto del compimento di atti di straordinaria amministrazione nonché dell'esecuzione di pagamenti che non sono coerenti rispetto al piano di ristrutturazione. Il commissario, deve segnalare al tribunale, che può disporre la revoca del decreto di ammissione alla procedura, l'incongruenza di tali atti rispetto al piano od anche il pregiudizio che può derivare ai creditori.

L'atto comunque compiuto dall'imprenditore nel dissenso del commissario non può considerarsi legalmente compiuto qualora abbia comportato la revoca dell'ammissione: conseguentemente il credito che ne fosse sorto non godrebbe certamente della prededuzione in una successiva procedura.

V'è, però, da chiedersi se possa sempre considerarsi atto legalmente compiuto dopo l'apertura della procedura anche quello straordinario che, pur non preventivamente segnalato o non coerente rispetto al piano, non abbia, però, determinato, perché ritenuto non significativo, la revoca del decreto di ammissione; poiché l'esclusione dalla prededuzione dipende solo dal rispetto delle norme concorsuali sul compimento dell'atto, si può pensare che il credito nascente da un atto compiuto dal debitore non autorizzato ma non gravemente lesivo degli interessi dei creditori, anche senza provocare la revoca dell'ammissione alla procedura, possa essere privato dal tribunale della prededuzione nella successiva procedura che eventualmente si aprisse.

L'adempimento del piano

Di non semplice applicazione sono le scarne regole da seguire nella distribuzione dell'attivo nella procedura del piano di ristrutturazione, qualora non sia prevista (come presumibile) la liquidazione degli assets su cui sono esercitati i titoli di prelazione. Sul punto bisogna osservare che la novella affronta l'argomento nell'art. 85, comma 6, con riferimento solo al concordato in continuità aziendale, dettando regole diverse (ma non applicabili al piano di ristrutturazione, in mancanza di espresso richiamo) rispetto a quelle dell'art. 153 CCI (richiamato dall'art. 96 CCI, applicabile, invece, anche alla procedura del piano di ristrutturazione).

Il nuovo art. 85, comma 6, dispone, infatti, che “nel concordato in continuità aziendale il valore di liquidazione è distribuito nel rispetto della graduazione delle cause legittime di prelazione; per il valore eccedente quello di liquidazione è sufficiente che i crediti inseriti in una classe ricevano complessivamente un trattamento almeno pari a quello delle classi dello stesso grado e più favorevole rispetto a quello delle classi di grado inferiore”.

La norma, che implicitamente prende posizione sulla dibattuta questione se i proventi della gestione post omologa debbano essere distribuiti secondo le regole del concorso ovvero liberamente (scegliendo, come si vede, una via mediana), non indica, comunque, i criteri secondo cui debbono essere distribuiti gli importi disponibili nella continuità aziendale ricavati dalla gestione ordinaria non riferibili a nessuno dei beni sui quali si esercita la garanzia (per un esame della questione secondo la legislazione attuale, diversa da quella del codice, Platania, L'ordine di pagamento dei creditori ipotecari e privilegiati nel concordato in continuità diretta, in Il Fallimento, 2020, 12, 1501 e, specificamente sulla novella, Galletti, Regole di priorità e distribuzione del plusvalore concordario: due passi indietro ed un'occasione importante perduta, in questo portale, 6 aprile 2022).

In base al criterio di distribuzione previsto dall'art. 153 CCI (richiamato tra le norme che disciplinano questa procedura e che riprende l'attuale art. 54 l.fall. che, si noti, non è, invece, richiamato dall'art. 169 l.fall. per l'attuale concordato preventivo), se non diversamente stabilito nel piano, tutti i creditori privilegiati (quando non si proceda alla vendita degli assets su cui è esercitato il titolo di prelazione) concorrono con i creditori chirografari nella distribuzione delle somme ricavate dalla continuità (per la parte eccedente quella occorrente a pagare i crediti sorti nella procedura) in proporzione dei crediti complessivi, finendo, quindi, per essere trattati come chirografari fino alla concorrenza del credito.

Resta inteso, però, che in caso di eventuale insuccesso anche parziale del piano, i creditori per la parte insoddisfatta potrebbero sempre far valere il titolo di privilegio nell'esecuzione ordinaria ovvero in una successiva e diversa procedura.

Effetti della procedura sulle perdite di capitale

Come per il concordato preventivo e gli accordi di ristrutturazione dei debiti, a seguito della presentazione della domanda di omologa del piano di ristrutturazione cessano di avere applicazione le norme civilistiche che impongono la riduzione del capitale per perdite fino alla omologazione; ma da quel momento tornano a trovare applicazione gli obblighi di capitalizzazione.

Va osservato (ma ciò accade anche per tutte le altre procedure in cui prosegue l'attività aziendale) che l'effetto esdebitatorio conseguente all'omologazione del piano non necessariamente può portare ad una riduzione delle perdite sufficiente a non determinare l'obbligo di ricapitalizzazione. Infatti, considerato che i mezzi prevalenti per pagare le perdite derivano necessariamente dai flussi di cassa attesi (che non possono essere iscritti nell'attivo dello stato patrimoniale), può accadere che le perdite (sia pure ridotte per effetto della falcidia) non si riducano, immediatamente dopo l'omologazione, ad un valore inferiore a quello previsto dall'art. 2447 c.c., con l'effetto che tutta la fattibilità della procedura ne risentirebbe gravemente poiché l'imprenditore-società di capitali finirebbe per rimanere in istato di liquidazione e quindi impossibilitato a procedere alla prosecuzione ordinaria dell'attività.

Non può escludersi che per mantenere la continuità aziendale debbano essere ugualmente previste nel piano operazioni di ricapitalizzazione anche mediante conversione in equity di crediti ovvero altre misure analoghe (tenuto eventualmente conto degli effetti dei provvedimenti emergenziali disposti per ridurre l'impatto delle perdite in dipendenza della crisi conseguente alla pandemia da covid-19, su cui peraltro va segnalata la decisione del Trib. Reggio Emilia 5 ottobre 2021, pubblicata in questo portale, 20 ottobre 2021 con nota redazionale, Proposta concordataria in continuità diretta: successiva perdita di capitale e disciplina di cui all'art. 6 d.l. 23/2020).

I coobligati

Non sono state previste regole nel caso in cui i crediti verso il debitore siano garantiti da terzi, contrariamente a quanto previsto per l'accordo di ristrutturazione dei debiti e per il concordato. Per l'accordo di ristrutturazione dei debiti, l'art. 59 cci prevede, per gli aderenti alla proposta, l'applicazione dell'art. 1239 c.c., per il quale la remissione accordata al debitore libera corrispondentemente il fideiussore, mentre i creditori non aderenti, per i quali si applica in estensione la proposta, possono agire senza pregiudizio nei confronti dei fideiussori, garanti e coobbligati.

Nel concordato si applica quest'ultima regola, essendo previsto che i creditori conservano impregiudicati i loro diritti nei confronti dei coobbligati, i fideiussori e gli obbligati in via di regresso (art. 117 CCI).

Quali regole pertanto trovano applicazione in mancanza di una specifica disciplina?

Va premesso, innanzitutto, che le norme non distinguono tra l'esdebitazione fondata sull'accettazione della proposta da parte dei creditori ovvero determinata dal meccanismo maggioritario; quindi, non dovrebbe essere possibile fare una distinzione analoga a quella prevista dall'art. 59 CCI.

Inoltre, per Cass. 6 settembre 2019, n. 22384, nel concordato preventivo la proposta del debitore non può contenere una clausola che preveda l'estensione dell'effetto esdebitatorio del concordato anche ai fideiussori in caso di omologa del concordato, poiché l'art. 184, comma 1, l.fall., in deroga alla regola generale posta dall'art. 1301 c.c., assicura in ogni caso ai creditori la conservazione dell'azione per l'intero credito contro i coobbligati, i fideiussori e gli obbligati in via di regresso.

Ragionando a contrariis, senza una espressa previsione legislativa di deroga, la remissione del debito provocata dalla parziale esdebitazione conseguente alla procedura, in applicazione dell'art. 1301 c.c., determina la riduzione del debito complessivo non solo per il debitore principale, ma anche per gli altri soggetti con lui obbligati ( vedasi anche la distinzione tra remissione del debito ex art. 1301 c.c. e rinuncia alla solidarietà di cui all'art. 1311 c.c. in Cass. 27 gennaio 2015, n. 1453).

Non è inutile osservare, poi, che l'effetto esdebitatorio si consegue con la omologazione del piano e non con il pagamento della somma promessa.

Ciò non esclude, naturalmente, che il creditore possa agire per ottenere il credito così come falcidiato nei confronti degli altri condebitori in solido sia prima, sia dopo, l'omologazione, i quali, a pagamento avvenuto, possono proporre, secondo le regole di cui agli artt. 160 e 161 (interamente riproduttivi degli attuali artt. 61 e 62 l.fall.) azione di regresso verso l'imprenditore ammesso alla procedura a seconda che il pagamento del condebitore avvenga prima o dopo l'apertura della procedura.

Infatti, se il condebitore solidale, prima della apertura della procedura corrisponde l'intero credito, ha diritto a sua volta di richiedere il pagamento di quanto pagato al debitore principale (nei soli limiti della parte non falcidiata); se, invece, paga solo una parte, prima dell'ammissione alla procedura, ha sempre diritto di richiedere al debitore principale il pagamento della somma effettivamente pagata (sempre tenendo conto della falcidia), ma il creditore non ancora soddisfatto ha diritto di farsi assegnare la quota di riparto spettante al coobbligato fino alla concorrenza di quanto ancora dovutogli e può sempre agire nei confronti del condebitore fino alla estinzione del suo credito (nei limiti del credito non falcidiato).

Secondo le norme del codice, la possibilità per il condebitore di proporre azione di regresso nelle procedure di liquidazione e di concordato se il pagamento avviene dopo l'apertura della procedura, è subordinata al pagamento integrale del credito (tanto che non è sufficiente neppure che l'estinzione dell'obbligazione avvenga a mezzo di transazione: Cass. 17 ottobre 2018, n. 26003); considerato, però, che l'effetto esdebitatorio, per le ragioni esposte, si estende al coobbligato in solido, si potrebbe ipotizzare che anche l'estinzione nella misura falcidiata del credito a cura del coobbligato, esaurendo ogni ragione del creditore principale, possa legittimare il regresso. Bisognerà, però, attendere le decisioni dei giudici su questa assai complessa questione.

Risoluzione ed annullamento del piano di ristrutturazione

Per espresso richiamo contenuto nell'art. 64 bis CCI, trovano applicazione le disposizioni dettate dal Codice per la risoluzione e l'annullamento del concordato. Conseguentemente ciascuno dei creditori, ed anche il commissario giudiziale su istanza dei creditori, possono chiedere la risoluzione se l'inadempimento non sia di scarsa importanza, entro il termine di un anno dalla scadenza dell'ultimo adempimento previsto.

Il procedimento è regolato secondo le norme generali previste dagli artt. 40 e 41 del Codice e può comportare l'apertura della liquidazione giudiziale (fatta sempre salva la possibilità per il debitore di accedere ad altra procedura).

Come per il concordato preventivo regolato dal Codice, la dichiarazione di liquidazione giudiziale risulta possibile solo se sia stato risolto il piano di ristrutturazione, a meno che lo stato di insolvenza non sia stato determinato da debiti sorti successivamente al deposito della domanda.

La recentissima Cass. civ., Sez. Un., 14 febbraio 2022, n. 4696, la quale ha deciso che, in base alla attualmente vigente disciplina della legge fallimentare, il debitore ammesso al concordato preventivo omologato può essere dichiarato fallito, anche prima ed indipendentemente dalla risoluzione del concordato ex art. 186 l. fall., se risulta inadempiente agli obblighi assunti dal concordato, ha, però, distinto gli effetti a seconda che la dichiarazione di fallimento intervenga quando ancora sia possibile la risoluzione del concordato ovvero successivamente. Quindi: “I) qualora il fallimento sia stato dichiarato quando è ancora possibile instare per la risoluzione exart. 186 l.fall. della procedura concordataria, i creditori non sono tenuti a sopportare gli effetti esdebitatori e definitivi del concordato omologato, a norma dell'art. 184 l.fall., posto che l'attuazione del piano è resa impossibile per l'intervento di un evento come il fallimento che, sovrapponendosi al concordato medesimo, inevitabilmente lo rende irrealizzabile; II) qualora invece sia scaduto il termine per la risoluzione del concordato di cui all'art. 186, comma 3, l.fall. (…) ed il piano concordatario si sia dunque consolidato, senza che i creditori (pur potendo) si siano attivati per chiedere la risoluzione, il debitore continua ad essere obbligato al suo adempimento e i creditori (anche nuovi) e il P.M. possono promuovere le iniziative dirette a fare accertare l'insolvenza del debitore ‘nella misura falcidiata'".

Sebbene la disciplina della risoluzione sia diversa nel codice della crisi rispetto a quella della legge fallimentare, il principio di diritto sopraenunciato può trovare applicazione anche alle procedure che verranno instaurate dopo l'entrata in vigore del codice, con l'effetto che la risoluzione della procedura eviterà il consolidarsi dell'effetto esdebitatorio; mentre in caso di apertura della fase di liquidazione, senza risoluzione della procedura minore, in ragione dell'insolvenza per debiti contratti successivamente alla sua apertura, il debitore continuerà ad essere obbligato al suo adempimento nei termini previsti dal piano omologato.

L'art. 64-bis esclude l'estensione, al piano di ristrutturazione, del potere del giudice delegato di procedere alla cancellazione delle ipoteche e delle altre formalità pregiudizievoli anche quando nel piano sia prevista la vendita di assets non strategici destinati al pagamento dei creditori, in ragione del fatto che tali vendite non devono essere svolte in forma competitiva.

E' possibile che questa scelta, però, possa portare al sorgere di contenzioso allorquando il ricavato della vendita risulti inferiore al credito garantito per la ipotizzabile opposizione del creditore ad autorizzare, comunque, la cancellazione della formalità.

Azioni revocatorie e responsabilità

E' stato aggiornato l'art. 166, comma 3, lett. e), CCI ,con la previsione dell'esenzione dalla revocatoria, anche ordinaria, degli atti e pagamenti effettuati in adempimento del piano di ristrutturazione omologato (come già accadeva per il concordato preventivo e per l'accordo di ristrutturazione dei debiti).

Trovano applicazione alle azioni revocatorie anche le osservazioni prima esposte in tema di compimento di atti legalmente compiuti in relazione a quelli non coerenti con il piano o non preventivamente segnalati.

Merita di essere segnalato, in tema di responsabilità degli amministratori per atti lesivi della par condicio creditorum durante la fase liquidativa, una recente pronuncia del Tribunale di Milano (Trib. Milano 14 settembre 2021, n. 7286 con commento di A. Illuminati, Pagamenti preferenziali e lesione della par condicio creditorum: presupposti dell'azione risarcitoria promossa dalla curatela fallimentare, in Il Societario, 1 aprile 2022), che ha osservato che il principio della par condicio non avrebbe un valore assoluto dovendo essere declinata tenendo conto degli ulteriori obblighi gravanti sull'amministratore.

A maggior ragione, l'esecuzione di pagamenti, nel corso di una procedura concorsuale nella quale il rispetto della par condicio è legislativamente superato, qualora realizzati in conformità del piano approvato con le maggioranze necessarie, sotto il controllo degli organi della procedura, non dovrebbe dare adito a responsabilità a carico degli amministratori o dell'imprenditore anche in una eventuale successiva fase di liquidazione giudiziaria.

Conclusioni

Risulta difficile ipotizzare il successo che potrà avere questo nuovo istituto nella soluzione della crisi aziendale. stanti i punti critici rappresentati dalla mancanza di adeguata disciplina dei crediti fiscali, dall'oggettiva difficoltà di incontrare il consenso di tutte le necessariamente piuttosto numerose classi dei creditori su un piano che potrebbe penalizzare grandemente alcune categorie, nonché dal prevedibile costo, piuttosto elevato.

Forse l'aspetto più significativo è dato dal rafforzamento della tendenza legislativa alla progressiva erosione del principio della par condicio, anche a prezzo di scaricare il peso maggiore del risanamento sui soli creditori non strategici dell'azienda in crisi.

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