Le garanzie effimere
13 Aprile 2022
A volte mi capita di essere velocemente compulsato da qualche amico avvocato su una questione applicativa della procedura penale.
L'ultima. Depositati gli atti ex art. 415-bis c.p.p. il difensore fa richiesta di interrogatorio del suo assistito.
La polizia giudiziaria (delegata evidentemente dal p.m.) contatta il legale per procedere all'atto, al fine di concordare l'espletamento dell'interrogatorio.
L'avvocato vorrebbe che fosse il p.m. ad interrogare personalmente il suo assistito. Dopo aver detto all'avvocato che il p.m. ha agito correttamente, che l'imputato può presentare una memoria, forse chiedere di rendere dichiarazioni spontanee, di fronte all'insistenza del legale suggerisco comunque, pur nella consapevolezza del rigetto, di inoltrare una richiesta scritta.
La risposta è stata negativa. Se può ritenersi corretta la decisone del p.m. invero, non può negarsi che l'intento del legislatore fosse diverso, anche in vista della rilevanza delle decisioni che il p.m. è chiamato ad assumere.
L'episodio suggerisce alcune riflessioni generali in ordine a quelle che ritengo di poter definire le garanzie effimere.
Sempre in materia va sottolineato quanto previsto relativamente alla tutela della persona offesa vittima di stalking.
L'art. 362, comma 1-ter, c.p.p., proprio per rimediare alle negative implicazioni che gli eventuali ritardi nell'assunzione delle necessarie iniziative cautelari (evidenziatesi in molte vicende), ha previsto che il pubblico ministero assuma informazioni dalla persona offesa e da chi ha presentato denuncia, querela o istanza, entro tre giorni dall'iscrizione della notizia di reato.
Nella prassi si evidenzia – anche in questo caso – la delega alla polizia giudiziaria, che peraltro dopo aver ricevuto la denuncia della vittima deve procedere al nuovo incombente.
In alcuni casi si segnala che gli uffici di procura abbiano già delegato – in bianco – la polizia giudiziaria a procedere in tutte le situazioni. Anche in questo caso, il legislatore aveva ritenuto di fare una scelta precisa. Seppur astrattamente rispettosa della previsione legislativa, essendo l'atto delegato riconducibile al p.m., non può negarsi il sostanziale declassamento della garanzia.
La criticità più accentuata è in tema di controllo dei presupposti in tema di intercettazioni di comunicazioni. La legge fissa in termini alquanto precisi le condizioni in presenza delle quali può essere autorizzata l'attività di intercettazione (art. 267, comma 1, c.p.p.), nonchè quelle per le quali può essere disposto l'uso nei luoghi di privata dimora (art. 266, comma 2, c.p.p.), nonché ancora quelle relative all'uso del captatore (art. 267, comma 2, c.p.p.).
Al di là di una accentuata aggettivazione, che implica niente più di un passaggio motivazionale e quindi agevolmente aggirabile e comunque nella maggioranza dei casi non decisivo, il controllo sui presupposti (soprattutto quello della qualificazione del fatto e della assoluta indispensabilità ai fini della prosecuzione delle indagini) richiederebbe una valutazione penetrante, legata alla acquisizione e valutazione delle indagini espletate attraverso la trasmissione del fascicolo. Se anche questo aspetto appare suscettibile di mille variabili interpretative, il discorso in ordine alle proroghe dovrebbe superare il momento burocratico, per imporre una valutazione attenta dei risultati raggiunti e delle potenzialità del protrarsi di una attività di così forte impatto sulle garanzie costituzionali.
A conferma di quanto si è sinora detto non si può non ricordare come in relazione alla motivazione dei provvedimenti cautelari, al fine di superare le forti patologie delle motivazioni che recepivano integralmente le richieste del p.m., esse stesse spesso confezionate sulla base delle informative di polizia giudiziaria, si è resa necessaria una espressa previsione correttiva di queste prassi degenerative.
Con l'art. 8 della l. n. 47/2015 è stato interpolato il comma 2, lett. c) e c-bis) dell'art. 292 c.p.p. disponendo che il giudice faccia oggetto, con autonoma valutazione, delle esigenze cautelari, degli indizi e di altri elementi a sostegno della decisione.
Non ci sono riscontri sulle ricadute di questa “novella” e di quanto abbia avuto concreta applicazione.
Non sono necessarie lunghe dimostrazioni per evidenziare le criticità della disciplina delle proroghe delle indagini preliminari. Indubbiamente si trattava di un elemento che connotava fortemente l'originaria struttura del codice di procedura del 1988, caratterizzata dal cd. sistema bifasico. Già nella sua formulazione originaria si era evidenziato come nella prassi i giudici hanno di fatto sempre autorizzato le proroghe delle indagini richieste dagli uffici di procura, senza nessuna valutazione, seppur non rigida, dei presupposti fissati dagli artt. 406 e 407 c.p.p.
Ancorché la struttura processuale si sia modificata, configurandosi la necessità di indagini complete e quindi di adeguati tempi per l'azione investigativa del pubblico ministero, resta il fatto che anche questo meccanismo è stato significativamente depotenziato e svilito, tanto che nella riforma Cartabia (art. 1, comma 9, lett. d) si è prevista una riscrittura del meccanismo delle proroghe, da un lato, cronologicamente riscritto, dall'altro, ancorato alla gravità del reato ed alla complessità delle indagini. Si tratterà di vedere, se nella nuova formulazione, il controllo del giudice diventerà maggiormente pregnante.
Parimenti, non sono necessarie soverchie argomentazioni per evidenziare come sia mancato un effettivo controllo, con le relative conseguenze processuali, soprattutto sotto il profilo sanzionatorio (inutilizzabilità del materiale investigativo assunto fuori termine) in punto di “immediatezza” dell'iscrizione oggettiva e soggettiva nel registro delle notizie di reato.
Il dato, sicuramente attribuibile, anche se solo in parte, ai limiti della formulazione della norma, ha visto anche una limitata azione di controllo da parte del giudice delle indagini preliminari.
Alla segnalata criticità cerca ora di porre rimedio la prossima riforma Cartabia.
La lett. a) del comma 9 dell'art. 1 prevede infatti che il giudice, su richiesta motivata dell'interessato, accerti la tempestività dell'iscrizione nel registro di cui all'art. 335 c.p.p. della notizia di reato e del nome della persona alla quale lo stesso è attribuito e la retrodati nel caso di ingiustificato e inequivocabile ritardo; prevedere un termine a pena di inammissibilità per la proposizione della richiesta, a decorrere dalla data in cui l'interessato ha facoltà di prendere visione degli atti che imporrebbero l'anticipazione dell'iscrizione della notizia a suo carico; e prevede altresì che, a pena di inammissibilità dell'istanza, l'interessato che chiede la retrodatazione dell'iscrizione della notizia di reato abbia l'onere di indicare le ragioni che sorreggono la richiesta.
Anche in questo caso sarà necessario verificare gli effetti della previsione nella speranza che non si configuri una nuova garanza effimera.
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